Il Sole 24 Ore, 29 ottobre 2017
La formula che vede i tassi Usa al 4,2%
È un po’ l’eterno candidato. E, soprattutto, il candidato di tutti, democratici e repubblicani. Non potrebbe essere altrimenti: è nel nome di John Taylor – il docente dell’università di Stanford indicato come possibile presidente della Fed – che viene svolta oggi la politica monetaria in quasi tutto il mondo. Prende da lì il nome della regola che – nel bene e nel male – descrive e al tempo stesso guida le scelte delle banche centrali.
La regola di Taylor si inserisce in un lungo dibattito sulla politica monetaria, iniziato dal dimenticato – ed è un peccato – Henry Simons: i banchieri centrali, che hanno il potere di spingere un’economia in recessione, devono seguire una regola, o possono compiere scelte discrezionali? Nel lavoro del ’93 Taylor propose la sua formula – individuata indipendentemente anche da Dale W. Henderson e Warwick McKibbin – che oltretutto riassumeva abbastanza bene la politica della Fed tra l’87 e il ’92. Aveva quindi sia un valore analitico che uno prescrittivo; e così è stata usata, nelle diverse forme che ha assunto nel tempo. La regola individua il tasso di interesse ottimale in dipendenza di due fattori principali: la distanza dell’inflazione e della crescita dai rispettivi obiettivi (neanch’essi discrezionali). Ai due “bersagli” Taylor attribuì un peso uguale perché questo prevedeva il mandato della Fed, ma non mancano versioni della formula che attribuiscono rilevanza prevalente, o esclusiva, alla dinamica dei prezzi.
La regola permise a Taylor di argomentare che tra il 2001 e il 2005, la Fed tenne i tassi troppo bassi facendo surriscaldare il credito e ponendo le basi della Grande recessione. Fu il periodo in cui la banca centrale Usa diceva di praticare una sorta di risk management contro il pericolo di deflazione, ammettendo quindi di tenere compresso il costo del credito. Utilizzando oggi la formula originaria di Taylor i tassi Usa dovrebbero essere al 4,2% (o appena sotto, secondo altre elaborazioni) mentre sono al 1-1,25%. Applicando nella formula, come è più corretto in questa fase e come propone la stessa Fed, un tasso di interesse neutrale dell’1% (o addirittura a zero) – invece dell’originale 2% – la formula suggerirebbe tassi al 3,2% (o al 2,2%); mentre la regola di Taylor, modificata, proposta dalla Fed porta a risultati persino più alti (tra il 4,4% e il 2,4%). Nasce così la fama di «falco» di John Taylor, temuto dai mercati.
Non mancano le critiche. Alcune ricerche – guidate da Jess Benhabib e riprese dall’ex presidente della Fed di St. Louis James Bullard – attribuiscono all’adozione della regola di Taylor la nascita di un’economia con due forti poli di attrazione, uno dei quali caratterizzato da bassi tassi e bassa inflazione, che rendono impossibili le previsioni. Un’ipotesi che suggerirebbe l’adozione di una regola diversa.