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 2017  ottobre 29 Domenica calendario

Il caso della baby modella morta: la moda cerca regole

Il trucco, l’abito, la sfilata. Poi di nuovo allo specchio, altra mise, altra uscita. Lei ha retto finché ha potuto, poi è crollata a terra ed è morta in un ospedale di Shanghai dopo due giorni di agonia. È la tragica storia di Vlada Dzyuba, poco più di una bambina, una modella di 14 anni che da tre mesi era sbarcata in Cina dalla città russa di Perm. Secondo la ricostruzione del Siberian Times, la ragazzina non aveva un’assicurazione medica e il decesso è stato causato da una meningite cronica aggravata da un grave esaurimento nervoso, dopo 13 ore di sfilate massacranti. «Mi telefonava e mi diceva mamma, sono così stanca, voglio solo dormire – ha raccontato la madre Oksana – Poi le è salita la febbre, io la chiamavo in continuazione pregandola di andare in ospedale». La morte di Vlada è già diventata un caso internazionale: molte giovanissime indossatrici russe, spesso siberiane, vengono reclutate in Cina, e Mosca ha chiesto spiegazioni sulle condizioni di lavoro a cui sono sottoposte.

I DIVIETI
Certo non tutto il mondo è paese, ma nel fantasmagorico regno della moda spesso si oltrepassano i limiti: di orari, di età, di stanchezza, di magrezza, modelle che non mangiano, che vomitano per restare scheletriche, che combattono contro il loro corpo come Vlada. A volte qualcuno apre gli occhi: è di settembre l’accordo tra Lvmh e Kering, i due maggiori gruppi mondiali del lusso (nelle loro fila marchi come Christian Dior, Louis Vuitton, Gucci, Saint Laurent, Fendi) che hanno detto basta alle indossatrici troppo magre. I due colossi hanno vietato le passerelle a ragazze che indossino taglie inferiori alla 38 e ragazzi sotto la 48, stabilendo anche il divieto di pedana e di shooting fotografici per chi non ha compiuto 16 anni nel caso in cui debbano rappresentare gli adulti.
Con i modelli davvero baby può essere anche peggio, come ha documentato la scrittrice Flavia Piccinni nel suo libro Bellissime, edito da Fandango. «Ho assistito a casi in cui alle bambine non veniva dato neanche da bere perché poi avrebbero fatto la pipì o sporcato il vestito e rovinato il trucco – racconta Piccinni – Sono vittime di adultizzazione precoce, con una focalizzazione estrema dell’aspetto fisico che porta a disturbi alimentari o alla dismorfofobia, una patologia psichiatrica che fa immaginare difetti fisici inesistenti. In Francia da qualche mese è entrata in vigore la Loi Mannequin, ma in Italia non esiste una Carta della moda. Solo l’11 ottobre, per la Giornata mondiale delle bambine e delle ragazze, è stato presentato un disegno di legge».

IL MEDICO SUL SET
«Il settore va regolamentato – spiega la prima firmataria Flavia Anitori, senatrice di Alternativa Popolare – la legge precedente risale a cinquant’anni fa. Si prevede che alle sfilate sia sempre presente un medico, che le bambine sotto i 6 anni non vengano truccate, che i bambini fino a 3 non sfilino più di due ore al giorno, e passando tra varie fasce d’età quelli tra 11 e 15 anni lavorino fino a 7 ore con un massimo di 35 a settimana. Con questa legge la modella russa si sarebbe salvata».
«Quando ero presidente di AltaRoma avevamo fatto una proposta di legge con la Melandri – dice Stefano Dominella presidente della maison Gattinoni – e per un po’ effettivamente gli stilisti hanno usato le taglie 40 reali, poi molti sono tornati a quella che definisco l’esaltazione della figura che non c’è dentro il vestito. Comunque i modelli sotto i 16 anni in Italia devono essere accompagnati da un genitore e non possono fare più di tre sfilate al giorno». «Anche noi siamo molto attenti – aggiunge lo stilista Antonio Grimaldi – Ho smesso di utilizzare una celebre azienda di casting quando ho saputo che lasciava le modelle rinchiuse per ore senza cibo. Facciamo questo lavoro per amore, è fondamentale che le persone siano trattate bene». «Volevo ritrovare il mio cervello» ha detto la modella Victoire Maçon Dauxerre che nel 2015 ha scritto il bestseller Jamais assez maigre, mai abbastanza magra, diario del suo calvario quando era arrivata a pesare 47 chili per 1,78 metri. «Siamo oggetti, numeri, nelle sfilate non veniamo chiamate neppure con il nostro nome. Non mi sentivo più una donna, ma una stampella».