ItaliaOggi, 28 ottobre 2017
C’è una frana negli iscritti Pd. Renzi arriva in treno, ma non va a visitare le sezioni
Matteo Renzi sta girando la Penisola in treno e cerca di riannodare i rapporti con realtà sociali e di volontariato: una bella virata rispetto al partito liquido ipotizzato in un primo tempo. Riuscirà a recuperare consenso? Il fatto è che il problema del Pd sono (anche e soprattutto) le sezioni, tanto che sul territorio pure qualche dirigente renziano si spinge a confidare che forse era meglio visitare prima i circoli per ridare slancio al partito e poi occuparsi di laboratori e centri studi.
Infatti la disaffezione colpisce duramente e non si tratta solo dell’effetto-scissione.
Al di là delle polemiche sul tesseramento qui e là nelle varie sezioni lungo la Penisola (in parte fisiologiche poiché finalizzate ai rapporti di forza congressuali) vi è un dato che esplicita chiaramente la crisi di partecipazione nel Pd ed è quello che si riferisce alla sua tradizionale roccaforte, Modena, dove alle elezioni comunali del 1980 il Pci ottenne il 54,2% (!) dei voti, asfaltando la Democrazia Cristiana che si fermò al 24,03%.
Numeri bulgari passati alla storia. Che cozzano con la realtà di oggi e il flop del tesseramento (e dei votanti). I numeri ufficiali sono da débâcle: il Pd modenese ha perso negli anni 3 iscritti su 4, 2 di questi si sono allontanati negli ultimi quattro anni. Nel 2013, in provincia di Modena, gli iscritti al Pd erano 11.201 e gli elettori 70.442. Nel 2016 gli iscritti sono passati a 6.125 mentre gli elettori sono diventati 36.120.
Dati incresciosi ma reali, sottolineano i dirigenti locali. Si è parlato, in altre realtà, di iscrizioni di immigrati e di tessere fantasma. Qui il controllo è ancora rigoroso. Ed è quindi la cartina di tornasole dello stato di salute del partito. Qualche scaramuccia precongressuale a Bologna (l’assise s’è conclusa l’altro giorno) non inficia questo giudizio ma va comunque registrata, col sindaco Virginio Merola, nato a Santa Maria Capua Vetere, in provincia di Caserta, che aveva lamentato: «Io non so come andrà a finire questo congresso, ma vedo molte iscrizioni di gente che viene dalle mie parti». Piccata la risposta del segretario, Franco Critelli, nato a Catanzaro: «I meridionali? E che dire delle otto donne dell’Est venute a bussare per iscriversi a un partito di cui nulla sapevano?». Aggiunge: «Quelle affermazioni sul tesseramento rischiano di gettare un’ombra pesante sulla credibilità di tutta la nostra comunità di donne e uomini che credono in questo partito e si impegnano quotidianamente a tutti i livelli. Le ombre non ci sono, perché qui in Emilia-Romagna il Pd ha sempre fatto le cose per bene e i congressi si stanno svolgendo con regole chiare e trasparenti».
Polemichette locali ma se togliamo dai dati ufficiali gli iscritti di cui si può dubitare, l’erosione ha addirittura qualche tacca in più. Del resto se nella città ex più comunista d’Italia, appunto Modena, la situazione è questa, la musica non cambia nella regione-simbolo, l’Emilia-Romagna. Nel 2013, in Emilia-Romagna, gli iscritti al Pd erano 76.033 e gli elettori 405.505. Nel 2016 gli iscritti sono calati a 47.281, mentre gli elettori sono diventati 214.658.
Ammette Lucia Bursi, ex segretario provinciale del Pd modenese: «La trasformazione più rilevante degli ultimi anni è indubbiamente il progressivo calo dei tesserati, fenomeno che coinvolge tutti i partiti sia a livello nazionale che a livello locale. Per quanto ci riguarda si tratta di un calo importante, che solo il lavoro fatto nei circoli per promuovere il tesseramento ha consentito di circoscrivere, anche se solo in parte».
La crudità delle cifre vale più di tante analisi politologiche. Del resto l’organizzazione interna è uno dei buchi neri della gestione Renzi. Basti pensare a Roma, dove è stata addirittura chiusa la sede più storica del partito, quella dei Giubbonari, con ancora sul muro l’insegna di marmo del vecchio Pci. Una cancellazione che la dice lunga sul travaglio organizzativo. Del resto perfino a Bologna, dove i giornalisti stranieri venivano per resocontare sulla via emiliana al comunismo, la vecchia sede, nel centro storico, è stata venduta all’università (per pagare i debiti) e il partito è emigrato in periferia.
Non c’è solo il tesseramento. Vi sono altri indici che dovrebbero preoccupare Matteo Renzi. Il Pd emiliano, cioè il nocciolo duro del suo partito, ha perso più di un milione di euro di introiti dalle Feste dell’Unità (passati dai 2.475.135 euro del 2014, ai 1.355.039 del 2017) ed è stato sconfitto alle ultime amministrative in Emilia in ben 5 comuni, di cui 3 superiori ai 15 mila abitanti (Finale Emilia, Pavullo Vignola). In più vi è la fuga dei volontari, che ha costretto, tra l’altro, a non effettuare alcune Feste dell’Unità (anche questo ha influito sugli introiti) e la decimazione dei funzionari. Solo a Modena il partito nel 2013 aveva 25 dipendenti, nel 2018 saranno 9.
«Non nego le difficoltà», aggiunge Lucia Bursi, «ma il sindaco di Modena, Stefano Bonaccini, è diventato presidente della Regione, e siamo riusciti a fare eleggere un europarlamentare, Cécile Kyenge. Infine, nel 2016, al referendum costituzionale, la provincia di Modena è stata una delle nove province italiane in cui ha prevalso il Sì. Continuiamo a serrare le fila e lavorare con grande impegno nonostante l’attività politica abbia vissuto uno snodo difficile con la scissione».
Il treno di Renzi non è transitato (ancora) dall’Emilia ma s’è fermato a Carrara, dov’è rimasto alla larga dalla sezione Pd in cui i dirigenti sono impegnati in notti dei lunghi coltelli. C’è addirittura chi ha minacciato di fare intervenire la procura per verificare le presunte irregolarità: tessere intestate alla stessa persona, recapiti telefonici inesistenti o riferiti a persone ignare, addirittura capi di altri partiti incaricati di raccogliere adepti, più una parlamentare accusata di avere depositato 500 tessere di nuovi iscritti in un colpo solo. La posta in gioco è il controllo (al congresso) della sezione, con in pista due candidati, uno renziano e l’altro orlandiano. Dice Luca Ragoni, coordinatore della commissione elettorale: «Nel momento in cui mi sono arrivate lamentele dei vari segretari di circolo che al controllo delle schede hanno trovato falsi iscritti e anomalie varie, è stato mio dovere sospendere tutto in modo che i vari circoli possano farsi le idee chiare di quanti e chi siano questi tesserati. Che da noi superano in numero quelli di Firenze ed è strano».
Un caos che ha spinto un dirigente storico carrarese del partito, ora consigliere comunale, Cristiano Bottici, a sbattere la porta: «Non rinnovo la tessera, avevo intravisto una rigenerazione in grado di ridare un senso alla politica ma la sensazione è che nulla sia cambiato».
Renzi è risalito sul treno lasciando il Pd nelle sabbie mobili. Ma la fotografia di quanto sta succedendo a Carrara (col congresso rinviato, per ora, a novembre) e dei disastrosi numeri di Modena e dell’Emilia-Romagna indicano una febbre che il giglio magico fa male a sottovalutare.