29 ottobre 2017
APPUNTI PER GAZZETTA - EMERGENZA INCENDILASTAMPA DI STAMATTINAA differenza di quanto è successo a Pechino tre anni fa, quando i concorrenti corsero i 42 chilometri e mezzo con le mascherine, nel capoluogo torinese 5000 atleti potranno correre la maratona di oggi senza particolari protezioni anche se riceveranno informazioni su come difendersi dalla cattiva qualità dell’aria
APPUNTI PER GAZZETTA - EMERGENZA INCENDI
LASTAMPA DI STAMATTINA
A differenza di quanto è successo a Pechino tre anni fa, quando i concorrenti corsero i 42 chilometri e mezzo con le mascherine, nel capoluogo torinese 5000 atleti potranno correre la maratona di oggi senza particolari protezioni anche se riceveranno informazioni su come difendersi dalla cattiva qualità dell’aria. La prima: bere molta acqua per mantenere le mucose idratate. La seconda: ridurre lievemente la velocità di marcia. La terza: fermarsi in caso di difficoltà respiratorie. La decisione è stata presa ieri in Prefettura nel corso di un vertice voluto dal Comune e a cui hanno partecipato anche i tecnici dell’Arpa e dell’Asl, e che si è concluso che «non sono state rilevate particolari criticità» nella qualità dell’aria.
La scelta delle istituzioni è legata al fatto che ieri il grande lavoro di vigili del fuoco e volontari Aib ha permesso di contenere la forza degli incendi riducendo anche le concentrazioni di polveri sottili che, pur restando sopra il livello di guardia, sono arrivate sotto quota cento microgrammi per metro cubo. Le rilevazioni orarie registrate in una delle stazioni di Torino (la Rubino, nella periferia sud della città) hanno evidenziato un picco di concentrazioni di polveri sottili di 82 microgrammi al metro cubo a mezzogiorno, sceso a 76 alle 18. I dati saranno però validati solo oggi dall’Arpa.
Picchi da paura
Lo stretto rapporto tra fumi degli incendi e peggioramento della qualità dell’aria, del resto, è testimoniato dal dato certificato dall’Arpa registrato nella stazione di Beinasco, alle porte di Torino, dove venerdì la concentrazione di Pm10 è stata sette volte superiore alla soglia di rischio, cioè 354 microgrammi/m3. E quei dati sono stati segnalati in tutta la cintura di Torino, da Borgaro a Grugliasco, da Collegno a Settimo, fino a Moncalieri e Nichelino. Il fatto che anche a Pinerolo sia stata toccata quota 204, mentre in genere la città non supera i valori di guardia, ha subito fatto scattare il paragone tra Torino e Pechino.
Anzi, ieri i dati erano addirittura peggiori della capitale cinese visto che il sito aqicn.org classificava con il colore verde la qualità dell’aria di Pechino, cioè «buona», e con il colore viola, cioè «molto malsana», quella di Torino. Angelo Robotto, direttore dell’Arpa Piemonte, non nasconde la situazione di emergenza: «I valori sono sicuramente di particolare rilevanza e attenzione ma si tratta di picchi dovuti a una situazione straordinaria». Dati - il Pm10 a quota 354 è il valore più alto registrato in Piemonte dal 2000 ad oggi dalla rete di Arpa Piemonte - che «devono essere pesati e ponderati con cautela» all’interno di valori ordinari di qualità dell’aria che sono «critici ma in miglioramento proprio a partire dal 2000». E in effetti si è passati dai 264 giorni di sforamento dei limiti fatti registrare all’inizio di questo millennio ai 75 di quest’anno. Dal punto di vista delle polveri sottili, dunque «non si può paragonare la qualità ordinaria dell’aria di Torino - prosegue Robotto - con quella di Pechino». E i dati rilevati dall’Arpa, per quanto riguarda il monossido di carbonio nei comuni di Mompantero, Rivoli, Cantalupa (Frazione S. Martino), Sparone e Cumiana, sono «tutti inferiori ai limiti di rilevabilità».
Domani alt diesel euro 2
Oggi, comunque, non ci saranno limitazioni alla circolazione dei veicoli a Torino per effetto dell’ordinanza condivisa dal Comune, Città Metropolitana e Regione Piemonte per «non limitare la libertà di spostamento delle persone» a causa dell’emergenza incendi. Questo pomeriggio, però, almeno secondo le previsioni dell’Arpa, nelle zone pedemontane e nelle pianure adiacenti, il ritorno del vento Foehn potrebbe favorire nuovamente il trasporto dei fumi degli incendi boschivi verso la pianura torinese. Ma, al di là del contributo dei fumi alla concentrazione delle polveri sottili, il livello di Pm10 continua a superare il livello di guardia e così domani a Torino dalle 8 alle 19 sarà vietata la circolazione delle auto private con motori diesel Euro 0, 1 e 2 e per quelli alimentati a benzina, gpl e metano Euro 0.
REPUBBLICA.IT
Emergenza incendi in Valsusa. La situazione si sta facendo più critica di ora in ora, gli evacuati sono ormai più di mille. In alcuni punti, in particolare a Novalesa, le fiamme hanno raggiunto i 70 metri di altezza. L’autostrada per il Frejus è stata chiusa nel tratto tra Oulx e Chianocco perchè un rogo sta lambendo la carreggiata. Tutti sgomberati i 650 abitanti del comune di Mompantero dove le fiamme stanno raggiungendo le case. A Susa, a causa del fumo è stata evacuata una casa di riposo: i suoi 197 anziani ospiti sono stati distribuiti in istituti di riposo e alberghi della zona. Il sindaco Sandro Plano ha allestito un centro di accoglienza nell’istituto delle suore Beato Rosas dove la Croce rossa e tutti i volontari stanno fornendo supporto logistico.
Questa notte, insieme ai vigili del fuoco e ai carabinieri che hanno gestito l’evacuazione, è stato necessario anche l’intervento della Croce Rossa di Susa per trasportare una donna che non poteva camminare e che vive proprio in borgata Trinità, a due passi dal paese. La donna è stata trasportata all’ospedale di Susa. Un mezzo 4x4 della Croce Rosa sono saliti verso le borgate più colpite per distribuire acqua agli uomini al lavoro: vigili del fuoco e i volontari antincendi boschivi lavorano da questa notte per salvare la manciata di case in pietra e legno che compongono le borgate del Comune. Situazione gravissima a Mompantero, dove i 650 abitanti di fronte all’avanzata delle fiamme sono stati tutti sgomberati, dopo che nella notte erano state evacuate due frazioni a causa del fuoco arrivato a lambire il cuore del paese. Tutta colpa del vento che ha riacceso focolai che sembravano essere sotto controllo.
Dalla frazione Seghino, una delle zone più colpite in Valsusa, evacuata venerdì in parte e poi definitivamente questa notte con una nuova ordinanza che riguarda anche il Seghino inferiore, sono andati via tutti, anche il gruppo di ragazzi che nelle ultime due notti era rimasto a presidiare il paesino creando con le manichette dell’acqua dei cordoni intorno alle case in modo da poter mantenere il terreno bagnato e creare una barriera per il fuoco. In mattinata proprio nella zona del Seghino sono state sentite due forti esplosioni, probabilmente riconducibili a vecchi ordigni bellici sprofondati nel terreno.
E per fronteggiare l’emergenza - sono undici i roghi in corso nella regione - arrivano anche dalla Croazia i Canadair che servono per domare le fiamme sulle montagne del Piemonte. I due mezzi - ottenuti dopo l’appello del Piemonte al ministro Marco Minniti - sono atterrati questa mattina a Genova e poi sono ripartiti per il Canavese. Gli aerei sono stati attivati da Bruxelles su richiesta del governo italiano nell’ambito del Meccanismo europeo di protezione civile e saranno operativi a supporto dei velivoli della flotta antincendio dello Stato per concorrere alle operazioni di spegnimento degli oltre 20 roghi che stanno devastando i boschi tra Torinese e Cuneese e che hanno già divorato tremila ettari di boschi. "Il ministro Minniti ha garantito che tutti i Canadair operativi sono impegnati in Piemonte - dice il presidente della Regione Piemonte Sergio Chiamparino, che continuando i sopralluoghi nelle zone colpite dagli incendi, oggi è stato in visita a Sparone e Locana, in valle Orco - La copertura finanziaria per intervenire nei soccorsi è garantita e la Regione è vicina ai territori colpiti da questa emergenza".
Bruciano le montagne nel Torinese, una nube di fumo avvolge la pianura Navigazione per la galleria fotografica 1 di 29 Immagine Precedente Immagine Successiva Slideshow
Piena emergenza anche a Mompantero, Locana e Sparone, mentre il fronte cuneese sembra essere maggiormente sotto controllo. Dopo un sopralluogo in valle di Susa oggi il presidente della Regione Sergio Chiamparino ha visitato il Canavese. Teso l’incontro con il sindaco di Locana Bruno Mattiet che da giorni denuncia i ritardi negli interventi. Il primo cittadino ha minacciato di portare le chiavi del municipio in prefettura.
mompantero
Le fiamme sulle montagne di Mompantero stanno correndo verso il paese. Sono già quattro le borgate evacuate, le ultime due stanotte, con un’ordinanza urgente firmata dal sindaco Piera Favro. Sessanta le persone evacuate nella notte. Abitavano a Pietrastretta sul lato nord, e Trinità, quest’ultima è già parte dell’abitato del piccolo comune della Valle di Susa che conta in tutto circa 650 abitanti.
Chi non ha trovato una sistemazione per la notte si è rifugiato in municipio dove da una settimana le porte sono sempre aperte per gestire l’emergenza e dove ogni poche ore si riuniscono i responsabili che stanno gestendo le operazioni di soccorso.
Questa notte, insieme ai vigili del fuoco e ai carabinieri che hanno gestito l’evacuazione, è stato necessario anche l’intervento della Croce Rossa di Susa per trasportare una donna che non poteva camminare e che vive proprio in borgata Trinità, a due passi dal paese. La donna è stata trasportata all’ospedale di Susa. Un mezzo 4x4 della Croce Rosa sono saliti verso le borgate più colpite per distribuire acqua agli uomini al lavoro: vigili del fuoco e i volontari antincendi boschivi lavorano da questa notte per salvare la manciata di case in pietra e legno che compongono le borgate del Comune.
Dal Seghino, evacuato venerdì in parte e poi definitivamente questa notte con una nuova ordinanza che riguarda anche il Seghino inferiore, sono andati via tutti, anche il gruppo di ragazzi che nelle ultime due notti era rimasto a presidiare la situazione creando con le manichette dell’acqua dei cordoni intorno alle case in modo da poter mantenere il terreno bagnato e creare una barriera per il fuoco. L’acqua però ha iniziato a scarseggiare. "Ora siamo dovuti scappare anche noi, ci affidiamo ai ragazzi che stanno facendo di tutto per salvare le nostre case", dicono i residenti della frazione sui cui sentieri ancora si leggono le scritte delle battaglie No Tav del 2005.
Ancora una volta è stato il vento a far cambiare di colpo una situazione che sembrava essersi tranquillizzata ieri mattina quando il presidente Sergio Chiamparino ha visitato le zone devastate dagli incendi. Le fiamme sono tornate ad ardere altissime a due passi dalle case e i vigili del fuoco sono schierati da ore per cercare di fermarle prima che raggiungano le baite. Ora però non sono soltanto le case più in alto sul fronte della montagna ad essere in pericolo. "Il fuoco è sceso in fretta, è praticamente in paese", spiegano i soccorritori. I mezzi dei vigili del fuoco ormai sono schierati ai bordi del centro abitato del comune.
La priorità a Mompantero sono le abitazioni e le persone. I vigili del fuoco lavorano senza sosta per riportare sotto controllo l’incendio che nella notte ha ripreso vigore sulla montagna ed è sceso rapidamente verso valle e verso il paese. Dalle 4 di stanotte vigili del fuoco, carabinieri, croce rossa e volontari antincendio boschivi hanno lavorato per evacuare altre tre borgate. Tre persone in frazione San Giuseppe sono state portate via a braccia dalla croce rossa di Susa perché avevano difficoltà motorie e sono state trasportate all’ospedale di Susa. Ora le evacuazioni sono terminate, a Susa il sindaco Sandro Plano ha allestito un centro di accoglienza nell’istituto delle suore Beato Rosas dove la croce rossa e tutti i volontari stanno fornendo supporto logistico. Da Susa partono anche 200 pasti per gli altrettanti soccorritori impegnati sul fronte degli incendi.
VARESOTTO
Si sono riaccesi alcuni focolai nel Parco regionale Campo dei Fiori di Varese e sono tornati in azione i Canadair. Le operazioni si sono concentrate nella parte superiore dell’area verde, lontano dalle case, dove sono visibili colonne di fumo. Sono al lavoro decine di operatori, tra vigili del fuoco e volontari della protezione civile, per mettere in sicurezza l’area. Varese, incendio a Campo dei Fiori, i vigili del fuoco al lavoro per tutta la notte Condividi Secondo quanto riferito dai vigili del fuoco il punto di maggior rischio si trova nei pressi di una pineta. Se venisse raggiunta dalle fiamme, le operazioni di spegnimento sarebbero molto più difficili. Anche per questo entrerà in azione un secondo Canadair insieme ad un elicottero. Proseguono poi gli sforzi dei vigili del fuoco per impedire alle fiamme di raggiungere l’osservatorio astronomico e le antenne con i sistemi di telecomunicazione alle porte di Varese. Varese, brucia il Campo dei Fiori: l’elicottero prende acqua dal lago per spegnere il rogo Navigazione per la galleria fotografica 1 di 25 Immagine Precedente Immagine Successiva Slideshow L’incendio nel parco regionale Campo dei Fiori è divampato un paio di giorni fa. Finora sono stati ridotti in cenere oltre venti ettari di bosco e una cinquantina di persone sono state fatte allontanare ieri per precauzione dalle loro abitazioni a Comerio, un comune che si trova a ridosso del parco. Campo dei Fiori è un’area verde protetta che ospita anche il complesso del Sacro Monte, patrimonio dell’Unesco, e ville liberty di inizio ’900.
La sala operativa della Protezione civile è sempre mobilitata anche per gli altri focolai lombardi ancora attivi. La situazione è stata aggiornata dall’assessora alla Protezione civile della Regione Lombardia, Simona Bordonali che ha anche reso noto che sono in arrivo quattro Canadair dall’estero. "La Regione Lombardia sta facendo la propria parte e sta collaborando con gli enti a tutti i livelli - ha detto l’assessora -. Con i quattro Canadair in arrivo dall’estero confidiamo di domare le fiamme. Ringrazio tutte le persone impegnate nelle attività di spegnimento".
In Valtellina il propagarsi delle fiamme ha costretto a lasciare la sua casa nel borgo isolato di Sostila, in Val Fabiolo, anche Faustino Mottalini, ex radiologo in pensione che vive da eremita nel piccolo paese dedicandosi alla fotografia. Le fiamme hanno raggiunto il territorio di Forcola portando sia all’allontanamento precauzionale di Mottalini da Sostila sia alla chiusura, per alcune ore, della strada per Tartano. I 500 residenti del paese sono rimasti isolati durante le operazioni di spegnimento, ora concluse. Un elicottero e un fuoristrada dei vigili del fuoco, inoltre, sono intervenuti nel Comasco per recuperare un gruppo di escursionisti rimasto bloccato da un incendio sulle pendici del monte San Primo, a quota 1.200 metri. Il rogo, favorito dalla siccità e dal vento forte, si è sviluppato nei boschi di Veleso, sopra la frazione di Erno
MARIO TOZZI
Sappiamo che le condizioni meteorologiche particolari di questo ottobre 2017 hanno contribuito in maniera fondamentale al ripetersi e al propagarsi degli incendi. E ormai conosciamo il ruolo cruciale che il cambiamento climatico gioca nell’innescare e far perdurare condizioni favorevoli ai roghi. Ma, se vogliamo comprendere le ragioni di questo fenomeno, che sta rovinando il Piemonte e che rischia di interessare tutta Italia, conviene scendere a terra, e magari anche sotto.
Se è ormai chiaro che la drammatica diminuzione delle precipitazioni provoca la siccità superficiale, bisogna tener conto di un’altra siccità, ben più grave: quella delle falde sotterranee, le vere spugne geologiche da cui dipende la salute degli ecosistemi vegetali e animali. Una falda depauperata o depressa sotto i suoi limiti di ricarica usuali rende più secchi boschi e pianure e appassisce complessivamente il verde su tutto il territorio. E qui non conta più soltanto la mancanza di piogge, ma anche il consumo esagerato e lo spreco di acqua.
Uno spreco le cui basi non si pongono solo nella stagione estiva torrida, bensì soprattutto in quelle precedenti, magari durante gli inverni in cui cade pochissima neve. Per ragioni esclusivamente di profitto, l’acqua dolce viene riconvertita in neve artificiale a ritmi che incrementano il ricorso ulteriore ai cannoni sparaneve, visto che continua a non nevicare, in un drammatico circolo vizioso che non si riesce né a risolvere né a spezzare. Tantomeno con la richiesta di uno stato di emergenza che non dovrebbe essere incoraggiata, se non quando tutto il possibile non fosse stato fatto in termini di previsione e sorveglianza.
Una volta poi che l’incendio viene appiccato, può accadere che il vento aggiunga problematiche, ma è sempre a terra che le situazioni diventano critiche e precipitano. In condizioni naturali gli incendi sono fenomeni inevitabili che rinnovano paesaggio e flora. Si estinguono da soli e vengono alla fine riassorbiti da ecosistemi sani che così si rigenerano. Ma da quando gli uomini abitano stabilmente la Penisola gli incendi spontanei non si propagano più e l’autocombustione è diventata un fenomeno di fantasia: quasi tutti gli incedi sono dolosi (raramente colposi). Per questa ragione sono più pericolosi: sono diventati meno prevedibili e vengono appiccati quando l’attenzione è bassa, rispondendo a strategie speculative la cui soppressione sarebbe l’unico modo per fermare il fuoco. Su questo contesto artificialmente compromesso influisce in maniera negativa la situazione delle nostre campagne e montagne, cambiate radicalmente nel corso di questi ultimi cinquant’anni. Il sottobosco non ripulito con attenzione costituisce un’esca fantastica, così come gli eventuali accumuli di tronchi e legname abbandonato. Non vengono più intagliate le fasce tagliafuoco che, almeno, servivano a evitare la propagazione degli incendi. Senza piogge ogni ceppo è diventato potenzialmente un focolaio. Il meteo locale fa il resto.
Ma non è problematica che si possa risolvere dal cielo. Si discute molto delle difficoltà di manovra dei Canadair in condizioni critiche di visibilità, ma ci si dimentica di sottolineare che quando si ricorre all’aiuto aereo, la battaglia contro gli incendi è già persa. Quella battaglia va combattuta, se possibile prima, a terra, contrastando gli inneschi e controllando le possibilità di espansione delle fiamme. Anche se le leggi vietano di costruire nelle zone incendiate, non è facile ricostruire il perimetro dei boschi una volta che sono stati inceneriti ed è così comunque più facile costruire o chiedere di farlo in aree che non presentano più, evidentemente, il pregio che la foresta gli conferiva. I parchi naturali, visti come un vincolo alle ansie costruttive o di sfruttamento turistico, sono poi il secondo motivo di attacco con il fuoco, con l’aggravante che si tratta in molti casi di foreste primigenie, che si ricostituiscono solo in secoli. Una perimetrazione accurata dei boschi, il catasto obbligatorio delle aree incendiate, il divieto assoluto di ricostruire nelle aree bruciate e la sorveglianza satellitare nelle aree protette possono ridurre il rischio, a patto di trovare e perseguire i criminali del fuoco, unico deterrente che sembra funzionare davvero.
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LA STAMPA CRONACA DI IERI
La nube ha il colore opaco della caligine. Arriva a metà mattina, trascinata dal foehn, il vento caldo che soffia da Ovest e porta in città il fumo che da giorni devasta le vallate tra Torino e la Francia. A quell’ora Davide Di Stasio, netturbino dell’Amiat, l’azienda che raccoglie i rifiuti in città, è nel pieno del suo turno di lavoro. Spazza i marciapiedi, certi suoi colleghi da giorni indossano le mascherine. «Dopo sei ore in strada, quando le tolgono, sono scure. Nere. Io non la metto e forse sbaglio. L’aria è pesante, orribile».
Nel cielo di Torino c’è una quantità di polveri sottili quasi nove volte superiore ai limiti di legge. Alle 11 una delle centraline dell’Arpa rileva un valore di Pm10 di 459 microgrammi al metro cubo. La media del giorno prima è altissima: 199. L’aria ha un odore nauseante. Laura Stefani spinge il passeggino preoccupata: «C’è puzza. Quasi non mi fido a uscire con mia figlia. In centro è un disastro. Forse l’unica è fare due passi al parco, almeno c’è un po’ di verde». No, non fa alcuna differenza: da quasi venti giorni la città è avvolta in una nuvola di smog, su cui è ieri mattina è calato un denso pennacchio di fumo sprigionato dagli incendi.
Torino soffoca, il Piemonte brucia. Dall’inizio della settimana 2 mila ettari di terreno sono andati in fiamme. L’equivalente di 2.800 campi da calcio. Secondo Coldiretti ci vorranno quindici anni per ricostruire i boschi inceneriti. Il fronte del fuoco è lungo decine e decine di chilometri ma continua a spostarsi, spinto dal vento e forse anche dai piromani. Parte dalla Val di Susa, investe la Val Chisone, si spinge in Valchiusella e Valle Orco, sconfina nel Cuneese: Val Varaita e Valle Stura, dove è stata chiusa la statale del Colle della Maddalena che porta in Francia. Centinaia di persone sono state evacuate dalle loro case. Per dare la caccia ai piromani da oggi sui sentieri si muoveranno anche quaranta alpini. Ne arriveranno altri, nei prossimi giorni
La Regione ha chiesto lo stato di emergenza: «Purtroppo non si prevede un miglioramento significativo delle condizioni, quindi resta lo stato di massima allerta fino a tutta la settimana prossima», spiega Sergio Chiamparino. Finora sono state impiegati più di 2 mila uomini, tra vigili del fuoco, volontari, Protezione civile, e 500 mezzi, più 8 canadair. Il Piemonte ha stanziato fondi aggiuntivi per le ditte che forniscono gli elicotteri, dato che le 500 ore annuali da contratto sono esaurite.
Eppure il fronte delle polemiche è ampio e velenoso. Solo ieri, dopo cinque giorni di roghi, il Prefetto ha convocato un vertice in cui si è deciso tra le altre cose di mobilitare l’Esercito, disponibile da tre giorni ma mai coinvolto. Gli alpini avranno compiti di vigilanza: pattugliare le aree sensibili per fare da deterrente contro piromani e sciacalli. Decisione tardiva, secondo alcuni. Anche la Regione è sotto accusa per aver sottovalutato la situazione. Pochi giorni fa l’assessore all’Ambiente Alberto Valmaggia assicurava che la situazione era sotto controllo ed erano sufficienti gli uomini inviati sul fronte, salvo poi, qualche ora dopo, allertare le squadre extraterritoriali.
È in atto una triplice emergenza, in Piemonte. Le piogge sono il 98% in meno rispetto allo stesso periodo dello scorso anno, la crisi idrica è feroce. I roghi stanno devastando boschi e vallate e rischia di non esserci abbastanza acqua per spegnerli: un centinaio di agricoltori ha messo a disposizione i trattori per trasportare le autobotti. L’aria, infine, è irrespirabile.
Le regole vengono stravolte: con livelli di smog mai visti il Comune di Torino ha deciso di congelare le misure anti inquinamento e revocare i blocchi ai motori diesel, che mai come ora sarebbero utili, però rischiano di scatenare il caos limitando gli spostamenti delle persone. La vita di tutti i giorni, le attività ordinarie, sono messe in pericolo. «Sono abituata a usare la bicicletta, ma in questi giorni quando scendo ho il fiatone e, in generale respiro a fatica», racconta Valentina Rabino. «Certi giorni gli occhi bruciano e lacrimano». La Regione ha deciso di sospendere per tutta la prossima settimana la caccia nelle zone più colpite dai roghi. A Torino una società di calcio, il Vanchiglia, ha sospeso gli allenamenti per lo smog. E gli organizzatori della Maratona a lungo sono stati in dubbio se annullare la corsa di domani. Si terrà. Sotto un cielo cupo.
ESPLOSIONI
Come in territorio di guerra. Con le truppe armate, ma di acqua, schierate a valle, gli elicotteri che sorvolano la montagna e sganciano le loro bombe salvifiche per i boschi divorati da decine di roghi. Con le esplosioni, fortissime, che si alzano da questo monte che guarda il paese di Cumiana, pochi chilometri da Torino. Hanno proibito addirittura ai vigili del fuoco di andare a piedi sulla montagna di San Sisto. È troppo pericoloso. Per le fiamme che avanzano velocissime, certo, ma anche per quelle continue esplosioni che si alzano dai boschi. Le più lievi sembrano colpi di fucile, quasi come se qualche cacciatore sfidando il fuoco si fosse infilato là in mezzo. Ma poi, all’improvviso, arrivano gli scoppi che sembrano bombe. Con il suono che si rimbomba e si amplifica nel valloni invasi dal fumo e scende fin qui, al poligono militare, dove venti e più anni fa sparavano anche con i cannoni. «È roba dell’esercito lanciata tra gli alberi chissà quanti anni fa» dicono. O sono bombe della Seconda guerra mondiale, quando da queste parti c’erano i partigiani. E i tedeschi. E gli aerei sganciavano le bombe.
«Ma stanotte, avesse sentito che colpi arrivavano dalla montagna, c’era da aver paura» racconta Mario Ussei, 79 anni. «A un certo punto hanno tremato anche i vetri delle finestre». Come in guerra. Solo che adesso nessuno spara. E saltano per aria proiettili e le granate sepolte da decenni in un terreno che, da qualche giorno, si è fatto rovente. Un colpo, un altro e un altro ancora. E intanto l’elicottero dei vigili del fuoco continua a giurare e scaricare secchiate da 400 litri d’acqua su quei boschi. E il fuoco a scendere verso le borgate, a minacciare la chiesa di San Valeriano. Dicono che nella zona del fuoco i pompieri e i volontari degli Anti incendi boschivi potranno andarsi soltanto tra qualche giorno. E dicono che più il fuoco si avvicinerà al poligono più si sentiranno esplosioni. E in fondo non è neanche un male se va così: le case da qui sono lontane, e se arriva al poligono si fermerà. Lì c’è soltanto terra e poche sterpaglie. Lì si fermerà il fuoco.
PAESE POVERO
La sindaca sta per firmare lo sgombero «immediato e senza indugio» anche di se stessa. Sono le 2 di pomeriggio del sesto giorno di paura, a 800 metri d’altitudine il termometro segna 26 gradi. Un vento caldo e ostinato da ovest continua ad alimentare questo balletto infernale di fiamme, che risalgono di cresta in cresta, saltando gli orridi e le valli in direzione opposta. Hanno già viaggiato per 12 chilometri. Ora il fronte del fuoco sta minacciando tre borgate. Devono andarsene tutti da lì, lasciare alpeggi, baite e bestie. Anche la sindaca Piera Favro deve preparare le valigie. Per 42 anni e tre mesi è stata maestra delle scuole elementari, sono i giorni più difficili della sua vita. «Siamo un paese povero, non abbiamo altra ricchezza che questa» dice guardando in alto. «Ho una tremenda tristezza addosso».
L’unica ricchezza qui è la natura. Sono i boschi di castagni. I faggi, i larici, i roveri. La pineta del Pampalù. L’oasi del Rocciamelone con le praterie in quota e quel piccolo pezzo di montagna, con un micro clima unico, che era il regno delle orchidee. «Sta bruciando tutto, stiamo perdendo la nostra stessa storia», dice la sindaca mentre in auto sale la strada tutta curve che porta verso le borgate in pericolo. Sono le frazioni Bianchi, Seghino Inferiore e Seghino Superiore.
Questa è una terra di battaglie. C’è la targa in memoria di Albino Favro, «partigiano della Stellina caduto per la patria il 20 giugno del 1944». Ci sono le scritte dei No-Tav, che proprio qui celebrano la data del 31 ottobre 2005, quando respinsero le forze dell’ordine. E sopra ogni cosa, un cielo tossico, denso di nuvole gialle e nere che oscurano l’orizzonte, fanno lacrimare gli occhi e bruciano in gola. «È stata una notte difficilissima, mai visto niente del genere», dice la sindaca. Racconta della preoccupazione del maresciallo dei carabinieri Antonio Soggiu e dell’impegno profuso da tutti. Di quella squadra di 20 vigili del fuoco che, circondati dalle fiamme, erano quasi in trappola: «Esperti, eppure hanno rischiato di morire». Racconta dei fumi nell’aria irrespirabile, così spessi da impedire agli elicotteri di volare carichi di acqua per lavare via questo incubo.
Non piove da giugno. Tutti ricordano l’ultimo temporale. Dopo quella volta, solo qualche spruzzo. Neanche una goccia ad ottobre. Il ghiacciaio è sparito. Il costone è giallo, completamente arido. I gusci delle castagne rotolano già incendiati lungo i sentieri, estendendo il fronte del fuoco. Ogni lembo di questa terra secca, a 30 chilometri dalle piste da sci, è altamente infiammabile. «Se il fuoco raggiunge la pineta del Pampalù sarà un disastro, lì ci sono i ripetitori telefonici delle forze dell’ordine e delle televisioni». La sindaca porta l’ordinanza anche a sua sorella Angela. «Non voglio andarmene fino all’ultimo», dice lei. «Questa è la casa costruita da nostro padre Beniamino. Lavorava alle acciaierie di Susa. Ha messo qui tutta la sua vita. Ogni singolo giorno di fatica».
Non c’è niente di peggio di questa impotenza. Non sentire neppure il rumore dei Canadair. Ognuno ha un posto da salvare, un piccolo rifugio, una casa del cuore. Borgata Truc. La Ganduglia. L’alpeggio Costa Rossa. «Chiamberlando sta bruciando», dicono i soccorritori che vengono giù con le facce nere di fumo. Lorenzo De Nardi è qui per la casa di suo padre: «È morto a luglio, non riesco a pensarci. Il lavoro di una vita che finisce così e io, come uno stupido, inutile…». La strada è per le autobotti e per gli sfollati. Manca l’acqua anche in alta quota. Gli invasi sono vuoti. «Forse ne è rimasta un po’ dalla sorgente del Rocciamelone», dicono. Ogni tanto le fiamme spuntano dalla nebbia. Allora si ridefinisce la geografia. «Mamma come scende!». «Sarà a mezz’ora dalle case».
Ezio Gianrellini, baffi lunghi e bianchi, ha vegliato per tre giorni e tre notti la sua baita. Ma ora non lo fanno più passare: «Nessuno sa dirmi se esiste ancora». Salgono i carabinieri del gruppo forestale. Scendono sette anziane con le valigie. Diciassette residenti della prima borgata evacuata. Erik e Oscar, due ragazzi, invece vogliono restare su a fronteggiare l’incendio. Sono due volontari. Come Davide Favro, 24 anni, alla prima chiamata della sua vita: «Domenica ho finito il corso. Ed ora sono qui, spaventato».
In Val di Susa si combatte ormai da una settimana. Il fuoco era partito domenica mattina sopra a Bussoleno. Come sia successo, non è chiaro. Tutti parlano di inneschi. Qualcuno di un barattolo di marmellata pieno di liquido infiammabile ritrovato, altri di una lampada cinese accesa vicino alla Sacra di San Michele, che sarebbe la prova del fatto che qualcuno si stia impegnando a devastare la valle. Ma i carabinieri dicono di non avere prove concrete che dimostrino il dolo. Non ancora, perlomeno.
«Però è difficile credere all’autocombustione», dice amaramente la sindaca Piera Favro. «Tutto questo non può essere partito per cause naturali o per una sigaretta. Mi ha colpito che mentre noi eravamo qui nel disastro, il terzo giorno, all’improvviso, si è acceso un focolaio sul versante opposto della valle. Per fortuna è stato spento in fretta. Ma è come se qualcuno si stesse divertendo con questa tragedia».
Di notte il fuoco si mostra nitidamente. Lingue rosse si staccano a leccare il cielo, per rituffarsi giù ad arroventare tutto. La Val di Susa brucia ancora.
INTERVISTA
Non nasconde le difficoltà Luigi D’Angelo, direttore operativo per il coordinamento delle emergenze del Dipartimento della Protezione Civile.
Non si può fare di più?
«Innanzitutto va precisato che è la Regione a avere tutte le competenze e la responsabilità sulla prevenzione e gestione dell’antincendio boschivo. Vuol dire che spetta a loro agire per evitare che si creino incendi o per mettere in atto i meccanismi di risposta nel caso in cui l’incendio scoppi comunque. Lo Stato interviene a concorso, su richiesta, quando l’incendio è esteso o si trova in zone non raggiungibili dalla flotta della regione».
Qualcuno sostiene che le risorse messe a disposizione non siano sufficienti.
«In estate la flotta si compone di una quarantina tra Canadair e elicotteri della forze armate. In questo periodo le necessità sono senza dubbio inferiori, molti mezzi vanno in manutenzione. Ne restano in attività una decina. Oggi ne abbiamo utilizzati 7 e sono assolutamente adeguati alla richiesta».
Si doveva agire più rapidamente, accusano altri.
«Due Canadair sono a Genova, per volare fino in Piemonte impiegano mezz’ora. Oggi in totale in Piemonte c’erano 5 Canadair, un elicottero S-64 dell’esercito, un elicottero della Difesa. Utilizzare altri mezzi sarebbe stato controproducente per gli spostamenti».
Che cosa si prevede? Quanto tempo si impiegherà per spegnere il fuoco?
«Purtroppo le circostanze non aiutano. C’è siccità e molto vento. Anche se le temperature non sono elevate, questi due elementi rendono tutto più difficile. Purtroppo le previsioni non lasciano speranze, anche nei prossimi giorni ci saranno le stesse condizioni climatiche, è impossibile dire quanto tempo ci vorrà per spegnere l’incendio. Quello che possiamo dire è che ci impegneremo finché sarà richiesto il nostro intervento».
GENOVA
Il beep che accompagna l’arrivo dei fax all’interno della sala piloti dell’hangar del Colombo di Genova è incessante, continuo. Ogni foglio è una missione, una linea di fuoco da combattere, un’abitazione o delle persone da salvare. Sono le 13.40 di ieri quando il «Canadair 21» riceve l’ordine di decollare. Direzione monte Rocciamelone, Val di Susa, da giorni divorata dalle fiamme. L’itinerario viene stabilito a tavolino da chi coordina i soccorsi, così come la zona del lancio dell’acqua. Andrea e Simone, rispettivamente pilota e co-pilota della Babcock - la ditta che materialmente gestisce la flotta di 19 aerei anti incendio dei vigili del fuoco - indossano già la tuta blu. Hanno mezz’ora per decollare dall’aeroporto di Genova diventato in queste ore la base operativa dei cinque Canadair utilizzati per l’emergenza roghi in Piemonte. Sono venti in tutto, i piloti. I motori dei canadair sulla pista sono sempre accesi, i serbatoi pieni di carburante. Per decollare serve poi soltanto l’autorizzazione della torre di controllo. Dopo il decollo c’è il carico dell’acqua. Un’operazione che in dodici secondi al massimo permette di prelevare seimila litri di acqua. «Quasi sempre facciamo il primo carico in mare mentre successivamente cerchiamo laghi o corsi d’acqua nelle zone vicine agli incendi». I lanci vanno avanti per tre ore fino a quando c’è carburante poi si fa un pieno nell’aeroporto più vicino e quindi si riparte. Sei ore difficili in balia di venti, correnti d’aria e della necessità di doversi avvicinare il più possibile al fronte del fuoco. Facendo attenzione, però, a non urtare i cavi dell’alta tensione. «Questo è il rischio maggiore, la parte più pericolosa del volo». È necessario essere precisi per non sprecare lanci in un momento di emergenza. E dunque occorre che il canadair arrivi vicino, vicinissimo al rogo. Qualche volta anche a costo di correre qualche rischio in più : «Ma non siamo degli eroi - raccontano nella sala piloti del Colombo - facciamo solo il nostro lavoro, siamo dei professionisti come tanti altri. Non cerchiamo etichette o meriti. Ci preme solo salvare l’ambiente e i nostri boschi».
IL COLPEVOLE È L’UOMO
«L’unico dato certo è che l’incendio è cominciato per mano dell’uomo. Faremo ogni sforzo per trovare il responsabile». Il colonnello Carlo Ferrucci è venuto a vedere di persona. È il comandante del gruppo forestale dei carabinieri. Per trent’anni ha lavorato in Calabria, da due è in Piemonte, conosce bene i boschi e lo strazio provocato delle fiamme. È lui il titolare delle indagini. Ed è qui, allora, sui suoi stessi passi, che bisogna tornare. Dove presto saranno al lavoro quattro «specialisti repertatori» chiamati dalla Regione Campania. «Dovete immaginarli come dei Ris delle montagne», spiega il colonnello Ferrucci. «Si occuperanno di suddividere il terreno in porzioni differenti, campioneranno a varie profondità, faranno analisi chimiche in cerca di eventuali tracce di sostanze acceleranti». Dovranno capire, in buona sostanza, come e perché un piccolo incendio sotto il costone della montagna sia diventato un disastro di queste proporzioni.
A Bussoleno, quindi. Località Calusetto. Una settimana fa. Erano le 9,30 di domenica 22 ottobre quando è arrivata la prima chiamata alla centrale operativa dei vigili del fuoco. Il fumo si vedeva dall’autostrada, lo hanno segnalato diversi passanti. Sembrava un incendio di dimensioni contenute, anzi lo era. Ma c’era molto vento, un vento forte da Ovest verso Est. E quelle fiamme circoscritte, alla fine, si sono estese per 14 chilometri, nel corso di 7 giorni e 7 notti di devastazioni ad alta quota: larici, querce, castagni, abeti, orchidee, alpeggi, baite e vecchie borgate di montagna.
«È successo esattamente qui» dice Angelo Buscio, 51 anni, operaio in un cantiere edile della zona. È sua l’unica casa davanti al punto di innesco. Non proprio, davanti. Bisogna camminare alcuni minuti lungo un sentiero di sterpaglie, lasciarsi sulla destra due vigne aride e disseccate, come tutta la vegetazione di rovi, roverelle, tronchi segati, fogliame ed erba gialla. Ed ecco il punto dove lavoreranno i repertatori. La prima sorpresa è che ci sono cinque bocchettoni per l’acqua a uso agricolo, che spuntano nel nero carbonizzato lasciato dalle fiamme. «Si chiamano teste per l’irrigazione a pioggia», spiega il signor Buscio. «Tutte hanno la modifica necessaria per poter essere usate dai volontari dei vigili del fuoco, basta avere una chiave e la manichetta da 45». Sono state usate? «No, perché i volontari non avevano la chiave. Così mia moglie, verso le 11 di quella mattina, ha indicato il pozzetto da cui potevano collegarsi, poco più sotto. Da lì hanno preso l’acqua e alimentato i naspi, lunghi tubi neri, tirandoli fino a qui per cercare di spegnere». Intanto il vento sollevava le fiamme verso l’alto, mulinelli di foglie secche e lapilli incendiati, vortici roventi. Le fiamme iniziavano il loro inesorabile contagio. Altre chiamate segnalavano un incendio, adesso più vasto, sempre nello stesso punto. Era già all’Argiassera, a 650 metri di altitudine. Poi a Campobello, 820 metri. Poi a Falcimagna, 850 metri.
«Non voglio accusare nessuno, ma una maggiore tempestività forse…», dice il signor Buscio. «Anche io, con mio figlio, mi sono dato da fare. Ma è tutto così secco qui intorno. Non piove da mesi. Nel giro di poche ore le fiamme erano partite».
Ma come può essere iniziato l’incendio? «Non per incanto, certo. Nemmeno per un fulmine. Qualcuno deve averci messo del suo. La cosa che mi colpisce è questa: è la seconda volta che capita proprio qui. Come nel 2003». Anche il vicesindaco di Bussoleno, Ivano Fucile, ricorda la coincidenza: «Era già successo nello stesso punto esatto. E molti fanno notare che le fiamme, qui come nelle altre valli, a Cumiana, Cantalupa e Locana, hanno riguardato i cosiddetti Sic, i siti di interesse comunitario. Sono piccole oasi naturali. Come se ci fosse una specie di accanimento per le zone di particolare pregio ambientale. Ma nessuno ha delle prove. Siamo nel novero delle chiacchiere e delle suggestioni».
Molti rincorrono il sospetto che diversi piromani siano entrati in azione, proprio in questi giorni, per fomentare l’incendio. Ed ecco ancora il colonnello Ferrucci, che invece deve fare le indagini e stare ai fatti: «Sono appena andato a verificare nei 7 punti che mi erano stati indicati come nuovi focolai. In nessuno di questi abbiamo trovato un innesco o tracce sospette. Nessuna evidenza del passaggio di qualcuno. Per essere chiaro: non ci sono le condizioni per alimentare la psicosi di un incendiario seriale. Credo che una vegetazione estremamente secca, il rotolamento dei gusci delle castagne incendiati e il vento forte possano essere spiegazioni sufficienti per quanto accaduto». Ma l’origine dell’incendio, no. Non può essere stato un fenomeno naturale.
In Val di Susa il vento ha concesso una tregua. I canadair hanno lavorato tutto il giorno scaricando acqua sulle fiamme, volando avanti a indietro dal lago del Moncenisio. Il fumo è più rarefatto, forse il peggio è passato. Inizierà la conta dei danni. Adesso in località Calusetto non si vede niente. Solo un tratto di bosco carbonizzato, dove la mano dell’uomo ha innescato il disastro e gli investigatori verranno a cercare la verità.