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 2017  ottobre 28 Sabato calendario

Catalogna, l’ora di Soraya

L’ex presidente della Catalogna, Carles Puigdemont, è apparso ieri per pochi minuti sull’emittente Tv3 e ha detto: «La nostra volontà è continuare a lavorare per costruire un paese libero. E il modo migliore di reagire per difendere le conquiste è un’opposizione democratica all’articolo 155. Ci vuole pazienza, perseveranza e prospettiva. Dobbiamo preservarci da repressione e minacce, senza mai abbandonare un atteggiamento civico e pacifico. Non vogliamo la ragione della forza». Parole interessanti, accompagnate dalla dichiarata volontà di disobbedire ai diktat di Madrid. Forse ancora più interessanti, però, sono le bandiere che sventolavano alle spalle del leader secessionista: quella catalana e quella dell’Unione Europea.  

Puigdemont fida molto sull’aiuto dell’Unione Europea.
Purtroppo per lui è una fiducia mal riposta, almeno fino a questo momento. Né l’Unione Europea né gli altri (a parte la Scozia, l’Abkhazia, la Lapponia, la Corsica e un minimo persino il Belgio) mostrano la minima comprensione per i ribelli di Barcellona. Il la è stato dato dal presidente del Consiglio europeo, Donald Tusk, con un tweet di 140 caratteri precisi: «Per l’Ue non cambia nulla. La Spagna resta il nostro unico interlocutore». Con quest’unico avvertimento, in un secondo tweet: «Spero che il governo spagnolo favorisca la forza degli argomenti e non l’argomento della forza». È la stessa espressione che Tusk aveva usato per criticare - a giorni di distanza - la risposta violenta di Madrid al referendum del 1° ottobre, ricevendo l’applauso di Carles Puigdemont. I portavoce della Merkel, di Theresa May, lo stesso Emmanuel Macron lo dicono nettamente: «Per noi esiste solo la Spagna e quanto alla Catalogna si tratta di una regione della Spagna». Il presidente della Commissione europea, Jean-Claude Juncker: «L’Europa non ha bisogno di altre crepe». Antonio Tajani, presidente dell’Europarlamento: «Nessuno riconoscerà la dichiarazione d’indipendenza della Catalogna». il Dipartimento di stato americano: «La Catalogna è parte integrante della Spagna». Stessi concetti nelle prese di posizione italiana (ha parlato il nostro ministro degli Esteri, Angelino Alfano), Ceca, lituana fino ai serbi, che hanno tirato in ballo il Kosovo. Ricorderà che il Kosovo proclamò la propria indipendenza dalla Serbia e la metà del mondo fu pronta a riconoscere quel gesto unilaterale. Ma c’erano stati dieci anni di massacri... Puigdemont ha avuto una serie di colloqui con i leader kosovari, nel tentativo di trovare, in quel fatto del 2008, una fonte anche giuridica per le proprie mosse.  

Possibile che l’Europa non si adoperi per trovare una via di mezzo tra l’intransigenza di questi e di quelli?
È un ostacolo la posizione della Spagna, indisponibile a qualunque intervento esterno. L’evento poi non ha precedenti: senza una richiesta di aiuto da parte di Madrid, i leader europei non saprebbero che fare. C’è il precedente della separazione tra Cechia e Slovacchia (1993), ma la Cecoslovacchia non faceva parte della Ue e i due si separarono d’accordo. Il referendum scozzese, tre anni fa, era riconosciuto da Londra. La vicenda jugoslava con i relativi bagni di sangue non fa testo.  

Che può succedere adesso?
A Madrid c’è stata una grande manifestazione a favore dell’unità del Paese. La procura generale spagnola sta mettendo a punto l’incriminazione per sedizione del presidente, dei membri del governo e forse anche di qualche parlamentare. Prenderà provvedimenti da domani. In generale il pericolo viene da qualche colpo di testa oppure da un comportamento troppo rude della polizia. La polizia spagnola dovrebbe imparare da quella italiana, in genere straordinariamente capace di intervenire senza intervenire. Ieri Roberto Toscano ha ricordato un vecchio giudizio di Andreotti secondo il quale la politica spagnola, già al suo tempo, mancava di finezza.  

Chi governerà la Catalogna adesso che il governo locale è stato esautorato?
La Gazzetta Ufficiale (il Boletin Oficial del Estado) ha pubblicato ieri mattina il decreto con il quale il governo di Spagna assume le funzioni e le competenze che corrispondono al presidente della Generalitat della Catalogna. Nel testo ratificato ieri dal Senato è previsto che le funzioni di presidente della Generalitat siano assunte dal capo dell’esecutivo (Rajoy), tuttavia, in un passaggio successivo, si precisa che il premier delega a sua volta tutte le competenze alla sua vice, Soraya Saenz de Santamaria. Soraya è dunque, per volere di Madrid, nello stesso tempo presidente e vicepresidente della Catalogna. Almeno fino al 21 dicembre, quando si voterà.  

Chi è questa Soraya?
Una durissima, a quanto pare. Avvocato dello Stato prima di entrare in politica, 46 anni, fedelissima di Rajoy, pasionaria dell’unità del Paese. È una bella donna e, a differenza del barbettato Rajoy, ha una gran presenza televisiva, dettaglio grazie al quale le si pronostica un futuro politico luminosissimo. Dipende anche da quello che farà nei prossimi sessanta giorni.