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 2017  ottobre 21 Sabato calendario

Signori in rosso: il lato pop della rivoluzione

FALCE E MARTELLO Fu un pittore di Pietrogrado a proporre al Consiglio dei commissari del popolo il progetto ad acquerello di un emblema per il nuovo Stato: una falce e un martello incrociati, circondati da spighe, con una spada sguainata nel mezzo. Lenin, colpito da quell’immagine, disse: «Interessante, ma perché la spada? Noi non abbiamo bisogno di conquiste. La nostra è una guerra di difesa, la spada non è il nostro emblema. (…) la spada va tolta dallo stemma dello Stato socialista». Per ribadire la decisione cancellò l’arma con una matita nera: «Per il resto lo stemma è buono».
INNO Nel 1917 i rivoluzionari cantavano ancora la Marsigliese e non l’Internazionale.
ROSSO I colori della divisa dello zar erano stati spazzati via da fiumi di coccarde rosse. «Togliti quell’orrore!» ingiunse la principessa Jussupova al suo autista che per prudenza se ne era messa una.
ARREDAMENTO Nel quadro di Isaak Brodsky Lenin allo Smolny c’è l’abc dell’arredamento (minimal) moderno: fodere bianche sulle poltrone, pareti nude, parquet senza tappeti, spazi vuoti. Come nella camera del giovane Lenin, oggi visitabile, in cui ognuno degli oggetti, dal calamaio al catino per la toeletta, era finalizzato unicamente al lavoro del (sobrio) “agitatore”, che viveva di tè e pane nero.
FAME «Pane e aringhe!», gridava il proletariato in piazza contro lo zarismo. La fame era un’ossessione.
ORTO A Ekaterinburg la famiglia imperiale prigioniera consumava razioni uguali a quelle dei soldati di guardia. Per sopravvivere Nicola II era obbligato, sotto stretta sorveglianza, a coltivare l’orto e a tagliare la legna per il camino.
BARBE I pizzetti di Lenin e Trotsky liquidarono le ampie barbe di Marx e di Engels e quella patriarcale dello zar Nicola II. In un caminetto dell’ultima dimora dei Romanov venne ritrovata parte della barba dello zar. Secondo una graduatoria del Times, la barba di Marx è «più famosa di quella di Gesù» mentre quella di Lenin è solo in sesta posizione.
CAMICIE Lenin indossava come molti borghesi russi dell’epoca una camicia bianca a collo morbido. Il futurista Majakovskij ne ostentava una provocatoriamente gialla.
MATRIMONIO Nel 1917, tre mesi dopo avere preso il potere, i bolscevichi con due decreti introdussero il matrimonio civile e il divorzio. Per annullare le nozze era sufficiente comunicarlo per posta all’autorità e pagare un’imposta di tre rubli.
LIBERO AMORE Per una rivoluzionaria come Aleksandra Kollontaj il libero amore era essenziale per l’emancipazione della donna. «L’amore è come un bicchier d’acqua», sosteneva, un atto semplice, senza implicazioni. Un punto di vista non condiviso da Lenin, malgrado i suoi amori extraconiugali. «Benché io non mi consideri assolutamente un asceta, sono convinto che la cosiddetta “nuova vita sessuale” dei giovani e sovente degli adulti sia decisamente borghese. Tutto questo non ha niente a che fare con l’amore libero, così come noi comunisti lo intendiamo».
INSALATA RUSSA Presto la cucina tradizionale venne condannata come reazionaria. Tra le vittime ci fu anche l’attuale insalata russa, fino ad allora chiamata “insalata Olivier”, dal nome di un celebre chef, Lucien Olivier, padrone del ristorante moscovita L’Ermitage, che la inventò nell’Ottocento. La ricetta, rimasta segreta fino alla morte del cuoco nel 1883, prevedeva ingredienti costosi e quindi immorali aragosta, gelatina, lingua, tartufo, aspic, capperi e filetti d’acciughe rapidamente sostituiti con patate, carote e altre verdure fredde.
DOMESTICHE Paladina delle donne, la Kollontaj scriveva: «Al posto della donna che pulisce il proprio appartamento, la società comunista può impiegare manodopera che la mattina va di casa in casa a fare le pulizie. Alla donna che oggi si affanna tra le pentole, passando le poche ore libere della sua giornata a preparare il pranzo e la cena, la società comunista offrirà pubblici ristoranti e mense comunitarie. La lavoratrice non sarà più costretta a spezzarsi le reni sulla tinozza, o a rovinarsi gli occhi rammendando le calze e rattoppando la biancheria: dovrà solo portarla ogni settimana alle lavanderie collettive, e ritirarla poi lavata e stirata. Liberandola dalla schiavitù domestica, il comunismo rende la vita della donna più ricca e felice».
TRENO Nella fantasia popolare del 1917 il lussuoso treno dello zar fu sostituito dal vagone piombato su cui Lenin era tornato clandestinamente in Russia.
SOLDATESSE A difendere il Palazzo d’Inverno c’era anche il Battaglione femminile della morte, una valorosa brigata d’assalto composta da soldatesse con i capelli rasati a zero, che resistettero a lungo.
OMOSESSUALITÀ Nella nuova Russia l’omosessualità non era più un reato, ma l’opinione pubblica era meno aperta dei legislatori.
CAPPELLI Lenin sostituì una borghese bombetta nera con quello che sarebbe diventato il suo emblema, il berretto a visiera dei proletari. I soldati della rivoluzione usavano la
Budënovka, un cappello di lana col paraorecchie e la stella rossa, indossabile sotto l’elmetto.
CRANIO La calvizie di Lenin attirava l’attenzione. Rosa Luxembourg commentò: «Guarda la sua testa ostinata, testarda. È proprio la testa di un contadino russo con pochi tratti vagamente asiatici». Lo scultore Aronson la paragonava a quella di Socrate. Secondo altri invece ricordava Verlaine. «Si ha quasi la sensazione che quella superficie emani una luce», sospirava il compagno Lunacharsky.
PINCE-NEZ Quando la scultrice Clara Sheridan, parente di Churchill, chiese a Trotsky di togliersi il celebre pince-nez che le impediva di cogliere i suoi tratti, lui confessò che senza si sentiva smarrito e disarmato. Era una parte di sé.
TRAVESTIMENTO Per non farsi riconoscere dalla polizia zarista, Lenin rinunciò alla barba e, oltre a un paio di occhiali, adottò una parrucca che rimase attaccata al berretto quando salutò la folla.
PORCELLANA La manifattura imperiale, ribattezzata Fabbrica statale di porcellana di Petrograd, nuovo nome di San Pietroburgo, realizzò piatti decorati con falce e martello. Dall’influenza di artisti come Kandinskij nacquero prodotti splendidi e arditi, come “Equilibrio”, la tazza da tè di Malevich.