Vanity Fair, 25 ottobre 2017
La sottile linea verde
Sulle montagne della contea di Hwacheon. lungo la frontiera tra le due Coree, ci sono alcuni capanni dai quali degli uomini osservano i cerbiatti e i goral – una specie di camoscio grigio – che saltellano sui fianchi delle scarpate. Non sono cacciatori ma soldati, che battono i denti tutto l’inverno per sorvegliare la DMZ, la Zona Demilitarizzata. Nel 2010, il fotografo Jongwoo Park ha realizzato un reportage in questa zona. «Era caduto un metro di neve», ricorda. «Gli animali non trovavano cibo e spinti dall’appetito si avvicinavano a noi». Una mattina d’aprile, allo spuntare dei primi raggi di sole. Park esce dalla sua capanna e vede due goral posizionati ai lati opposti di una barriera di filo spinato. «Si guardavano come due amici, o come membri di una stessa famiglia», ricorda. 11 fotografo si avvicina lentamente ma gli animali se ne accorgono. Uno dei due goral scappa via. L’altro guarda con malinconia quello che avrebbe potuto essere suo amico se fosse stato dal lato giusto della barriera. «È stata una scena struggente: mi ricordava le famiglie coreane separate dopo la guerra».
Accedere a questa zona di frontiera è praticamente impossibile. L’unico civile ad avere avuto accesso fino ad allora alla DMZ è stato il direttore della facoltà di ecologia dell’Università di Seul. Il docente ha organizzato spedizioni allo scopo di catalogare la fauna e la flora. Per convincere lo Stato maggiore dell’esercito coreano a concedergli l’ingresso, Jongwoo ha proposto di realizzare un documentario che celebri l’armistizio del 1953, ma sa che più che un faccia a faccia con la Storia, il suo sarà un viaggio nella natura.
Sulla striscia di 4 chilometri che si estende lungo i 248 chilometri di frontiera, piante e animali hanno ripreso il sopravvento. «Prima della guerra qui esistevano dei villaggi, ma poi sono scomparsi», spiega Jongwoo. Vestito in uniforme militare, elmetto e giubbotto antiproiettile, il fotografo percorre i sentieri sminati, seguendo le pattuglie dell’esercito sudcoreano. 1 goral, così agili sulle creste scoscese, sembrano non sapere cosa fare davanti alle barriere di filo spinato. Eppure qui sono più al sicuro che in qualsiasi altro luogo della Terra: nessun animale carnivoro vivrebbe nella DMZ. Gli unici predatori della zona sono le mine, ricordo lasciato daH’uomo.
Come il resto del Paese, la regione ha subito una lunga occupazione giapponese, poi la Seconda guerra mondiale. È stala calpestata dall’Armata Popolare di Corea quando, nel giugno del 1950, i «comunisti» hanno invaso Seul, e calpestata di nuovo tre mesi dopo, in senso inverso, quando le forze del Sud, guidate dal generale MacArthur, hanno ripreso il controllo di Pyongyang (la vicenda è raccontata nel film del 2016 Operation Chromite. con Liam Neeson nella parte di MacArthur, ndr). Poi ancora calpestata nel gennaio 1951 quando i «volontari del popolo cinese», inviati da Mao Tse-tung, hanno respinto i «capitalisti» e ripreso il controllo di Seul.
L’altalena tra le superpotenze finisce nel giugno 1951 e il fronte si stabilizza sul 38° Parallelo che attraversa il parco dei goral. L’armistizio del 1953 non porterà ad alcun trattato di pace. Questa zona demilitarizzata di 4 chilometri separa le due Coree, ma la frontiera è «immaginaria», il che, comunque, non autorizza i soldati dei due schieramenti a varcarla.
Nel 1976, due capitani americani tentano di tagliare un pioppo che ostruisce la vista del loro posto di osservazione. Pensano di essere in Corea del Sud, si ritrovano invece davanti i soldati del Nord, che li massacrano a colpi di scure. Le autorità di Pyongyang sosterranno che l’albero era stato piantato da Kim U-sung, fondatore della Corea del Nord e primo della dinastia dei Kim. Per rappresaglia, l’allora presidente americano Gerald Ford invia un commando ad abbattere il pioppo.
Difficile immaginare che cosa avrebbe fatto Donald Trump al suo posto. Appena insediato, nel gennaio 2017, il 45° presidente degli Stati Uniti fa della Corea del Nord una delle sue priorità. In aprile, finge addirittura di aver inviato «un’armada molto potente» verso la Corea del Nord. La minaccia in realtà non sarà mai attuata.
Impoverito, isolato, il trentatreenne presidente Kim Jongun sa che deve la sua salvezza solo alla potenza militare: vuole quindi dotarsi di missili intercontinentali con testate nucleari. Oggi Kim sbandiera di aver «quasi» raggiunto lo scopo. Infuriato per l’ennesimo pacchetto di sanzioni votate dal Consiglio di Sicurezza delfOnu PII settembre, minaccia di «affondare il Giappone» e di «ridurre in cenere gli Stati Uniti». Il 15 settembre, un missile nordcoreano sorvola il Giappone e finisce nel Pacifico. L’emittente televisiva giapponese Nhk interrompe i programmi, su milioni di telefoni cellulari vengono inviati messaggi d’allarme, e le sirene suonano. Kim Jong-un si sente rafforzato dalla consapevolezza che la minaccia di una guerra nucleare complica il compito dei 28.500 marines di stanza sul territorio sudcoreano.
È lontano il tempo in cui i leader delle due Coree apparivano mano nella mano, impegnandosi per un regime di pace. Nell’ottobre 2007, sulla strada per Pyongyang, dove doveva incontrare il suo omologo Kim Jong-il, il presidente sudcoreano Roh Moo-hyun ha attraversato la DMZ a piedi, dichiarando allora: «Questo confine vietato deve scomparire». Ma questa è. paradossalmente, la grande paura delle associazioni per la difesa dell’ambiente come la Korean Federation for Environmental Movement, che organizza visite di sensibilizzazione, e la fondazione americana Turner, che si batte affinché la DMZ sia proclamata parco naturale.
Per loro la fine delle tensioni tra le due Coree sarebbe sinonimo di progetti infrastrutturali, industrializzazione e urbanizzazione galoppante. Purtroppo possono stare tranquille.