La Stampa, 26 ottobre 2017
Nella città soffocata dalle polveri dell’Ilva: «Taranto sta morendo, coprite quei depositi»
Per trovare le polveri velenose che ammazzano l’aria di Taranto non bisogna guardare in alto, ma verso terra. Qui al quartiere Tamburi, case popolari e quieta povertà, le mura degli edifici, i marciapiedi, l’asfalto, le auto, insomma tutto è coperto da una finissima polvere rossa. Sulla pelle pizzica, dicono.
Questa polvere l’ha portata la tramontana dall’area «parchi minerali» dell’acciaieria Ilva, a duecentocinquanta metri dalle case. È un’area grande come 80 campi da calcio, dove sono accumulati in due «montagne» il materiale ferroso e il carbone necessari alla produzione. Ma altri cumuli probabilmente contengono rifiuti speciali, polverino d’altoforno, materiale intrappolato dai filtri, metalli pesanti, scaglie e chissà cos’altro.
In Europa, normalmente, i parchi minerali sono chiusi, coperti, sigillati; a Taranto sono all’aperto, e tali resteranno almeno fino al 2023. Ogni anno 700 tonnellate di quella roba voleranno in aria, destinazione polmoni, malattie, morti. Ma legalmente: i dodici decreti varati finora da Monti, Letta, Renzi e Gentiloni per salvare lo stabilimento e l’acciaio italiano prevedono l’insequestrabilità della fabbrica durante l’esecuzione delle prescrizioni dell’Aia, l’Autorizzazione Integrata Ambientale. Ma allo stesso tempo hanno gradualmente posticipato dal 2015 al 2023 la copertura, molto costosa, dei parchi minerali. E infine, sancito l’immunità penale per i proprietari di Ilva per danni e morti, sempre fino al completamento dell’Aia.
Da lunedì le autorità hanno proclamato tre «Wind Days»: giornate in cui la gente di Tamburi sarebbe obbligata a restare in casa. Martedì il forte vento ha generato turbini di polvere proveniente dai «parchi» Ilva: i valori delle Pm10 sono schizzati oltre i 200 microgrammi per metro cubo di aria (il limite di legge è di 50). La nuova amministrazione comunale, guidata dal sindaco Rinaldo Melucci (Pd, vicino a Michele Emiliano), ha deciso di chiudere le scuole del quartiere. Una misura concreta, sia pure simbolica, «visto che comunque i bimbi l’aria inquinata se la respirano a casa, per strada o nei giardini», concede il vicesindaco e assessore all’Ambiente Rocco De Franchi. «Ma intanto è la prima volta che viene presa – spiega – e poi ha una valenza politica: si certifica, danneggiando il diritto allo studio dei piccoli, che la situazione non è normale né sopportabile». Massimo Castellana, del Comitato Genitori Tarantini, plaude ma chiede «che le fonti di inquinamento vengano chiuse, senza se e senza ma. Abbiamo avuto troppi morti e malattie». La signora Michela Giarusso, a spasso con la sua bimba Antonella, otto anni e oggi niente scuola, non ci crede troppo: «Noi non contiamo nulla, non interessiamo».
Nella piazza della chiesa di Gesù Divin Lavoratore – dove dietro l’altare un Cristo iperrealista benedice ciminiere ed operai, e dove ci sono stati tanti funerali per malattie da Italsider – il signor Ignazio, gestore del Minibar, ricorda «che c’è voluta una sottoscrizione dei cittadini per dotare l’ospedale di un medico specializzato in oncologia pediatrica». Poco più oltre, in via De Vincenti, una lapide lancia la «maledizione» dei residenti contro «coloro che possono fare e non fanno nulla per riparare». Su una casa i figli dell’operaio Peppino Corisi, rispettando le sue ultime volontà, dopo la sua morte hanno appeso un’altra targa: «Ennesimo decesso per neoplasia polmonare».
Poco distante, c’è un campo di calcio murato: per trent’anni i ragazzi hanno giocato su terra con berillio. Accanto c’è il cimitero di San Brunone. I bianchi marmi di tombe e lapidi sono rosa, ormai. Si sente il ruggito della grande fabbrica, da cui ci separa solo la statale. Per vedere i «parchi», senza chiedere il permesso all’azienda, bisogna salire in una struttura, al terzo piano, tra le tombe. Dalle finestre appaiono le ben poco rassicuranti montagne di materiale, e terrapieni cinti da catene di copertoni.
È comprensibile che i potenziali acquirenti di Ilva – Mittal e Marcegaglia – puntino a ridurre l’occupazione, aumentare la produzione, e rinviare la spesa di due miliardi per i «parchi». Ma i cittadini che colpa hanno? Alessandro Marescotti, storico esponente del gruppo ambientalista Peacelink, ricorda che a Bruxelles pende una procedura d’infrazione contro l’Italia per il mancato rispetto delle norme europee, sia pure «silenziate» dai decreti legge.
E adesso si sta muovendo anche il Comune: martedì il sindaco ha annunciato che impugnerà al Tar il Dpcm con cui il governo ha fissato i paletti del nuovo piano ambientale per Ilva. «Ma è molto probabile anche che ci muoveremo in sede europea, inserendoci sulla procedura d’infrazione già avviata». La guerra dell’aria, a Taranto, non è finita.