La Stampa, 26 ottobre 2017
Due bombe a orologeria sui conti
Con la sua decisione di ieri sulle pensioni la Corte costituzionale, giudicando legittimo il «bonus Poletti» del 2015, ha certamente dato un dispiacere a 6milioni di pensionati ma ha evitato alle casse dello Stato un vero salasso confermando l’attuale meccanismo di recupero dell’inflazione. Nella peggiore delle ipotesi, infatti, una sentenza di segno opposto sarebbe costata ben 30 miliardi. Ma superato un primo scoglio, altri due ostacoli ancora più pericolosi si profilano all’orizzonte.
Il primo è rappresentato dall’idea che si possa far marcia indietro rispetto all’aumento automatico a 67 anni dell’età pensionabile. È una richiesta molto forte dei sindacati già pronti alla mobilitazione (e molto sentita da tanti lavoratori), e da ieri è anche una richiesta dell’intero Pd. «Pensiamo agli ultimi, alle pensioni e agli stipendi da aumentare, non alle chiacchiere», ha proclamato Matteo Renzi ormai da giorni in piena campagna elettorale. Per il ministro dell’Agricoltura e vicesegretario del Pd, Maurizio Martina, «non tutti i lavori sono uguali, non tutti i lavoratori hanno la stessa aspettativa di vita» e per questo «le norme volute dal governo Berlusconi e poi modificate da Monti sull’aumento automatico dell’età pensionabile vanno riviste e per questo serve un rinvio dell’entrata in vigore del meccanismo». Sulla stessa linea il coordinatore del Pd Lorenzo Guerini, convinto che «il Parlamento abbia tutto il tempo per rimediare», come suggeriva martedì anche il ministro del Lavoro Poletti, come pure Gianni Cuperlo, Antonio Misiani ed il ministro della Giustizia Andrea Orlando. Che assegna una valenza molto politica ad un’operazione del genere, visto che si augura che «queste come altre modifiche possano riaprire l’interlocuzione con le forze che stanno alla nostra sinistra».
Ma a che prezzo tutto questo? Secondo le stime dell’Inps congelare l’età della pensione ai livelli attuali di qui al 2035 costerebbe ben 141 miliardi di euro. Non meno costoso per le casse pubbliche si presenta poi il passaggio al nuovo regime del «Quantitative easing» con la Bce che si prepara ad allungare anche di 9 mesi il programma di acquisto di titoli pubblici dimezzando però l’importo a 30 miliardi al mese. Per l’Italia il venir meno di questo «scudo» farebbe schizzare il nostro spread oltre quota 200 aumentando di almeno 25miliardi in tre anni gli interessi sul debito. Quando basta per pregiudicare per diversi anni la nostra crescita.