Panorama, 19 ottobre 2017
Di Battista ci é o ci fa?
La paternità regala serenità. E in effetti, a tratti, Alessandro «Dibba» Di Battista diventa pure un tipo dolce. Per esempio, alle «regionarie» del Lazio del 15 ottobre, quelle che hanno incoronato Roberta Lombardi candidata governatrice dei 5 Stelle, si è lasciato andare a più di una confidenza: «Ho notato che mio figlio si è addormentato con le canzoni di Anna Oxa» ha rivelato «e allora volevo uscire e comprare tutti i suoi dischi. Queste sono le mie nottate, e sono nottate felici, poi la mattina abbiamo il Rosatellum...».
Da un lato, quindi, il figlio Andrea che dispone alla tranquillità, dall’altro la legge elettorale che induce al nervosismo. D’altronde lui, con Beppe Grillo, con Davide Casaleggio e con l’intero stato maggiore pentastellato sono consapevoli che con il Rosatellum sarà impossibile vincere le elezioni. E c’è un’aggravante: il «Non Statuto» dei Cinque stelle impone al massimo due elezioni. La conseguenza è che dentro il movimento in tanti stanno pensando di stare fermi un giro per giocarsi la possibilità di andare al governo alla successiva occasione. TVa questi c’è, appunto, anche l’appena trentanovenne Dibba. In verità aveva avanzato l’ipotesi di superare il vincolo della doppia elezione ma Grillo si è immediatamente e fermamente opposto: «Non se ne parla nemmeno», ha decretato. Ma con i sondaggi e una legge elettorale penalizzanti, ed saurita nel 2018 la corsa di Luigi Di Maio (pure lui alla seconda elezione) bisognerà trovare un candidato premier per il 2023 (o quando sarà). E chi meglio del popolarissimo Di Battista?
Il neo papà sta seriamente pensando di saltare il turno elettorale del 2018 non solo per stare alla finestra, ma anche per utilizzare il tempo a disposizione e formarsi meglio e di più. Un’ipotesi è quella di intraprendere la carriera di giornalista di esteri per studiare quelli che chiama «gli investimenti in felicità» presenti in tutti i Paesi del pianeta. D’altronde, lui il mondo è abituato a frequentarlo. «Dopo la laurea me ne volai in Guatemala, andai a vivere in una comunità di ex guerriglieri e imparai lo spagnolo dando lezioni di chitarra...», racconta Dibba nella sua autobiografia, intitolata A testa in su. Un libro per la verità non bellissimo: a metà tra un «diario della motocicletta» alla Che Guevara e un aneddoto da bar dell’Alvaro Vitali di «Gigi il bullo».
Insomma, anche A testa in su dimostra che il ragazzo ha bisogno di studiare. Se vuole proporsi come governante di livello, non può affidarsi alla sua unica, grande forza attuale: l’esagerazione. Perché poi, quando gli scappano, le spara davvero grosse, al punto da fargli detenere tuttora il premio intemazionale, conferitogli del New York Times, per la peggiore «fake news» mai diffusa da un politico. Di Battista, forse dopo una ricerca troppo frettolosa su Google, due anni fa aveva sentenziato che il 60 per cento della Nigeria «è in mano al leader integralista Boko Haram e il resto all’ebola». Tutto falso. Peraltro aveva già proposto, nel suo esordio da esperto di politica estera, un «dialogo costruttivo» con l’isis. Nel 2013 spiegò sul suo blog: «Il terrorista non lo sconfiggi mandando più droni, ma elevandolo a interlocutore». Poi arrivarono le decapitazioni, le bombe e un po’ di kamikaze a insanguinare l’Europa e Dibba fu costretto a riconsiderare quell’ipotesi di amabili chiacchierate in una sala da tè, con i terroristi dell’lsis.
Forte di una laurea al Dams di Bologna, qualche esperienza di cooperazione in Sudamerica e la stima incondizionata del (fu) guru Gianroberto Casaleggio, Di Battista è stato a lungo indicato come il profilo più autorevole come ministro degli Esteri in un eventuale governo a Cinquestelle. Ora, con il Rosatellum, la questione pare superata: e comunque, le sue gaffe internazionali hanno allarmato le diplomazie intemazionali. Dibba ha scambiato un presidente francese, Hollande, per un premio Nobel. Peggio: ha confuso Auschwitz, quella dei lager, con Austerlitz, quella della battaglia di Napoleone. Quanto all’Italia, sui vaccini, per esempio, tuonò: «Facciamoli, ma devono essere gratuiti»; «Lo sono già, si informi», infierì Beatrice Lorenzin.
Cresciuto in un paesino poco lontano da Roma, a Civita Castellana, studi nella Capitale, Ale è cresciuto sotto la rigida disciplina di un papà che si è autodefinito «fascista» in diverse interviste e che gli ha consentito una discreta copertura economica per le esperienze di studio e di vita all’estero. A Fabrica di Roma, vicino Viterbo, l’azienda di famiglia, la Dibitech, da anni si propone come azienda leader della componentistica da bagno, con punte di eccellenza nei cassonetti «in plastica, con incorporata una pompa in grado di triturare ed espellere automaticamente acque calde, acide e grasse, deiezioni fecali e carta igienica, provenienti sia dal bagno che dalla cucina». Vittorio, quel padre imprenditore con un passato nel Msi, di recente ha difeso il figlio in piazza dai «forconi» fino a venir quasi alle mani con il loro leader, il generale Pappalardo. Dibba ha gradito: «C’è chi ha come padre Tiziano, io ho Vittorio e ne vado fiero», ha detto.
Vegetariano che però mangia pesce, aspirante star tv bocciata prima della selezione finale di Amici di Maria De Filippi, laziale poco presente allo stadio, poliglotta ma con incertezze sull’italiano – memorabile un «Lei non mi interrompi!» da Lilli Gruber – in politica Dibba è aggressivo ma abile nello smarcamento, quando c’è da non restare impaludati nelle insidiose marette grilline. Da qui il soprannome, velenosissimo, attribuitogli dai colleglli: «Anguilla». E infatti, anche stavolta Dibba potrebbe farsi sfuggente davanti alla prevedibile sconfitta di Di Maio. Il suo (quasi) amico.