il Fatto Quotidiano, 25 ottobre 2017
Call center – L’esercito dei precari in cuffia. Pagati per sgridare la clientela
“Ragazzi, i tempi! Forza, chiudi la chiamata!”. L’addetto al call center di una compagnia telefonica sente questa frase decine di volte al giorno. A ripetergliela, dietro la sua postazione, è il team leader, il capo-reparto che controlla il lavoro degli addetti in cuffia. Quasi sempre, però, dall’altra parte della cornetta c’è un cliente che, sentendosi fregato dall’offerta firmata o vittima di un disservizio, impreca contro il povero centralinista e non vuole mettere giù. Allora va convinto, ma con le buone.
Le quattro grandi compagnie telefoniche – Telecom, WindTre, Vodafone e Fastweb – hanno circa 30 mila addetti al servizio clienti. Un esercito che è vittima trasversale delle loro pratiche commerciali. Quando una persona pensa di essere stata raggirata se la prende con loro, non potendo parlare con chi ha escogitato l’astruso piano tariffario.
I 30 mila addetti è solo una stima di fonti sindacali. Nessuna società fa sapere il numero ufficiale: se diffuso, dicono, “aiuterebbe la concorrenza”. Asstel, associazione confindustriale dei big della telefonia, dice di non conoscere il dato. A maggio, il ministro dello Sviluppo, Carlo Calenda, ha stipulato un protocollo con i 13 maggiori committenti di call center italiani (quindi anche Tim, WindTre, Vodafone e Fastweb) per disincentivare le delocalizzazioni in Romania o in Albania, spesso fatte per risparmiare sugli stipendi. Ogni impresa si è impegnata a tenere in Italia almeno l’80% dei lavoratori del call center in appalto e di evitare gare al massimo ribasso. Tim e le altre, infatti, non sempre svolgono direttamente le attività di customer care ma usano società esterne come Almaviva, quella che a dicembre ha licenziato 1.666 lavoratori a Roma e ha chiesto sacrifici economici ai propri dipendenti in altre sedi. Nell’ambito del protocollo Calenda, dunque, si dovrebbe sapere quanti siano, azienda per azienda, gli addetti in cuffia interni alle compagnie, quanti quelli delle società in appalto e quanti quelli all’estero. Il ministero, però, non ha mai reso pubblico il dato, cosa che sarebbe fondamentale per verificare il rispetto degli impegni da parte delle società. Con l’aiuto dei sindacati delle telecomunicazioni, abbiamo provato a fare i conti. Telecom ha circa 11.400 addetti interni e altri 4.500 in società esterne (tra le quali Almaviva, Abramo e ComData). WindTre, invece, fa quasi tutto in appalto (6.200 dipendenti delle commissionate) con soli 450 in house. Di Vodafone è certo che ai 2.500 interni vanno aggiunti almeno 1.100 tra Almaviva e Abramo, più altri lavoratori di società più piccole e un centro in Romania. Fastweb, infine, 300 li ha in casa e gli altri, probabilmente 2 mila, li divide in appalto tra ComData e Teleperformance.
Circa 30 mila lavoratori – molti part time da 700 euro al mese – schierati, loro malgrado, nella difesa quotidiana dei colossi della telefonia. “Per queste persone – dice Giorgio Serao di Fistel Cisl – si è fatto ancora troppo poco”. Irene è una lavoratrice Almaviva, per anni impiegata sulla commessa Wind. Sei ore al giorno per uno stipendio che gli ammortizzatori sociali hanno ridotto a circa 800 euro al mese. “I clienti chiamano quasi sempre per lamentarsi – spiega – Noi dobbiamo essere empatici, ma difendere il nostro committente. Dietro di noi i team leader chiedono costantemente di chiudere le chiamate entro tre minuti”. Fabiana, nome di fantasia, ha lavorato per Vodafone: “I nostri capi ci dicono che costiamo quattro volte i nostri colleghi rumeni – afferma – Siamo valutati in tre modi: dobbiamo riuscire a riattaccare in meno di 3 minuti e mezzo; se il cliente non richiama nei successivi sette giorni è considerato indice di gradimento. Infine, all’utente viene chiesto di giudicare il servizio ricevuto con un’intervista. Il problema è che il cliente è portato a dare comunque voto negativo quando il disservizio non viene risolto, anche se siamo stati cortesi”. Ricapitolando: essere gentili, non reagire agli insulti, difendere il datore di lavoro ma lasciare il cliente soddisfatto in massimo tre minuti e mezzo. Facile, no?