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 2017  ottobre 26 Giovedì calendario

Sul Rosatellum cinque fiducie per Gentiloni

Il governo Gentiloni deve essere fortissimo, ieri ha chiesto per cinque volte la fiducia al Senato e per cinque volte l’ha ottenuta.

 

Non scherzi, è successo un casino.

Già, già. Il problema è che la fiducia è stata posta sulla legge elettorale e la buona educazione vorrebbe che la legge elettorale fosse un’emanazione del Parlamento e non del governo. Mettere la fiducia è invece un tipico atto del governo, che serve in qualche modo a costringere il Parlamento. La fiducia fa cadere qualunque emendamento, è un’offerta prendere o lasciare, non si dibatte, non si emenda. C’era poi un’altra questione in piedi: l’altro giorno, saputo che Renzi non intendeva ragioni e pretendeva che sul Rosatellum si votasse presto e bene, senza discussioni inutili (stiamo traducendo nel nostro linguaggio brutale il pensiero autentico del segretario), i bersanian-dalemiani, riuniti nella sigla Art. 1 - Movimento Democratico e Progressista (in breve: Mdp) hanno annunciato l’uscita dalla maggioranza che sostiene Gentiloni. Anche qui, una consolidata regola di democrazia, quale l’abbiamo conosciuta dai governi De Gasperi in poi, vorrebbe che l’uscita ufficiale di un partito dalla maggioranza fosse seguita da una verifica politica, cioè il presidente della Repubblica, secondo prassi, avrebbe dovuto aprire una crisi, come minimo chiamare Gentiloni e chiedergli di presentarsi ai deputati e ai senatori per verificare l’esistenza o meno di una maggioranza. Mattarella, che da mesi chiede una legge elettorale coerente tra Camera e Senato, e ha in calendario la legge di bilancio, ha invece lasciato perdere. Le premesse al casino, come le chiama lei, sono queste.

 

Che è successo in concreto?

Gentiloni e il Rosatellum hanno passato senza problemi la prova delle fiducie, poste sui cinque articoli della legge elettorale. La seduta di ieri è anche una bella lezione di tecnica parlamentare. Oltre al banale sì (Pd, Ap, Ala, qualche autonomo) e al banale no (M5s, Si, Mdp) ci sono quelli che erano d’accordo sulla legge, ma non fino al punto di votare la fiducia, e costoro (Forza Italia, Lega, Gal) si sono fatti mettere in congedo o semplicemente non si sono presentati. In questo modo hanno abbassato anche il numero legale e reso più facile il raggiungimento di una maggioranza. Badando però che il numero legale non mancasse, perché in questo caso la votazione sarebbe andata a monte. E a questa delicatezza hanno provveduto alcuni leghisti, rientrati di corsa al momento topico, e alcuni piddini contrari alla legge - come Chiti, Mucchetti, Micheloni, Tocci, Manconi, Ruta - che hanno votato no e però sono rimasti in aula salvando il numero legale. Si può esser contro, certe volte, ma non troppo.

 

Il Rosatellum è legge?

Ancora no. Lo votano definitivamente oggi. Mi toccherà farci un altro articolo per spiegarne nel dettaglio il funzionamento.

 

Ci stiamo dimenticando il discorso di Napolitano. Si annunciavano fuoco e fiamme.

Non troppo fuoco e neanche troppe fiamme. Il presidente emerito ha avuto parole di comprensione per Gentiloni, pressato dal cattivo Renzi. «Singolare e sommamente improprio far pesare sul presidente del Consiglio la responsabilità di una fiducia che garantisse la intangibilità della proposta in quanto condivisa da un gran numero di partiti. Il presidente Gentiloni, sottoposto a forti pressioni, ha dovuto aderire, e me ne rammarico». E ancora: «Si può far valere l’indubbia esigenza di una capacità di decisione rapida da parte del Parlamento fino a comprimere drasticamente ruolo e diritti sia dell’istituzione sia dei singoli deputati e senatori?». A questa domanda, squisitamente retorica, Prodi, Berlusconi, Monti, Letta, Renzi e Gentiloni - cioè gli ultimi sei presidenti del Consiglio - risponderebbero di sicuro: sìiii, dato che hanno fatto ricorso a ogni occasione ai decreti legge, col consenso dello stesso Napolitano al tempo capo dello Stato. Il quale ha poi annunciato che avrebbe votato la fiducia al governo («bisogna salvaguardare la stabilità e il ruolo italiano nello sviluppo dell’unità europea»), e però alla fine è risultato assente.

 

I grillini?

È sceso a Roma per l’occasione anche Grillo. Dopo un po’ di parapiglia in aula col senatore Giarrusso, che ha fatto il gesto dell’ombrello contro Verdini quando è passato sotto la presidenza, quelli di Ala hanno protestato, i grillini hanno intonato «onestà onestà» e votato con una benda bianca davanti agli occhi. Intanto la bionda De Petris (Si) occupava il banco della presidenza, poi lo lasciava, poi lo occupavano quelli del M5s... Niente di grave, alla fine, sia Palazzo Madama che Montecitorio hanno visto di peggio. I grillini hanno sfogato la loro indignazione con un comizio sulla piazza del Pantheon, dove Grillo, Di Maio e Di Battista, si sono di nuovo bendati con una fascia bianca. Di Battista ha ammonito il presidente della Repubblica: «Mattarella ci pensi bene prima di firmare questa legge». Ma Mattarella firmerà, al cento per cento.