Il Sole 24 Ore, 25 ottobre 2017
L’Asia tra l’imperatore cinese e l’incognita Trump
Donald Trump non ha certo dimestichezza con le sottigliezze della politica asiatica. Ma certo si sarà accorto che nel suo prossimo viaggio si troverà di fronte due interlocutori politicamente rafforzati: i leader delle due principali economie regionali, emersi entrambi al vertice dei loro Paesi nel 2012 e freschi di rinnovata incoronazione. Uno, Xi Jinping, ormai assunto nell’Olimpo della storia cinese dopo l’ultimo congresso del partito, che ne ha cementato il potere personale come disegnatore di una visione politica che odora di vero balzo in avanti verso l’egemonia regionale e di lunga marcia verso una primazia globale. L’altro, Shinzo Abe, si è visto riconfermare una maggioranza parlamentare di due terzi che lo proietta verso la storia, come possibile premier più longevo del Giappone dai tempi della prima costituzione Meiji alla fine dell’Ottocento.
Un tweet di congratulazioni molto caloroso è arrivato ad Abe dal premier indiano Narendra Modi, che l’ha chiamato «my dear friend», e con il quale intende rafforzare ulteriormente le relazioni indo-giapponesi (mentre il segretario di Stato Usa Rex Tillerson ha esplicitato la volontà di rafforzare i legami con New Delhi in funzione di contenimento della Cina). Se la “nuova era” cinese preconizzata da Xi allarma in primis altri Paesi asiatici, solo la conferma dell’impegno americano verso la regione può dare vigore al loro avvicinamento.
Per il momento, come osserva Ian Bremmer (Eurasia Group), una buona notizia per Trump, alla vigilia del suo viaggio, è la netta vittoriale elettorale di Abe – di gran lunga l’alleato più stretto nella regione -, che garantisce il miglioramento dei legami bilaterali nella Difesa e l’appoggio a una linea dura verso la Corea del Nord, moltiplicando le pressioni su Pechino perché continui a rafforzare le sanzioni (sul commercio, invece, Abe farà melina per evitare di avviare negoziati bilaterali). Se poi cercherà di cambiare la Costituzione ultrapacifista varata sotto l’occupazione americana, non troverà obiezioni a Washington, che lo incoraggerà anche a continuare a offrire appoggio e assistenza ai Paesi in contenzioso territoriale con Pechino. «La Corea del Nord è un peso e una distrazione per Tokyo – osserva Narushige Michishita dell’Istituto di ricerche Grips –. La strategia giapponese è intesa a mantenere pace e stabilità nella regione di fronte all’ascesa cinese: questo è il vero problema». Secondo molti analisti, sul breve i due leader rafforzati potranno però procedere a un miglioramento dei rapporti bilaterali. Non a caso Abe è andato, nel giorno in cui ha sciolto la Camera Bassa, nell’hotel di Tokyo dove si celebravano i 45 anni di normalizzazione dei rapporti bilaterali, scambiando messaggi con il premier cinese. E ha invitato Xi in Giappone nel 2018, dopo una sua desiderata visita in Cina, oltre a proporre entro fine anno un vertice a tre con Seul. È in attesa di risposte dal nuovo imperatore che sta a Pechino.