Il Messaggero, 25 ottobre 2017
I segreti del cuore d’atleta
Il 30 ottobre prossimo cade il quarantesimo anniversario della morte di Renato Curi, giocatore del Perugia, deceduto per infarto sul campo di calcio che ora porta il suo nome. Si stava svolgendo la partita Perugia-Juventus.
Piccoli e grandi passi, da allora, ha fatto la cardiologia ma l’imprevisto sul campo come in pista è, purtroppo, sempre in agguato. Anche se parliamo di sportivi super allenati. Per questo si continua a fare ricerca sulla morte improvvisa. Di come è cambiata la cardiologia dello sport dagli anni 50 ad oggi, si è parlato recentemente durante il congresso di elettrocardiografia clinica che si è svolto a Roma aperto da Paolo Zeppilli cardiologo specialista in Medicina dello sport al Gemelli di Roma.
LE GARE
In Italia, secondo la Fondazione Castelli, si contano quasi 100 morti all’anno durante le competizioni sportive. Il decesso improvviso è più frequente negli uomini. I più colpiti sono gli sportivi a basso livello agonistico, dilettanti o partecipanti a tornei amatoriali. Negli atleti di oltre 35 anni, come colpevole, potrebbe essere presa in considerazione una malattia coronarica. Negli atleti più giovani, invece, sono più probabili patologie genetiche, miocarditi, miocardiopatie o malattie aritmogene del ventricolo destro o sinistro.
Oggi abbiamo numerosi strumenti per valutare lo stato del cuore degli atleti, che in un tempo neppure tanto lontano (i primi lavori italiani su sport e cuore sono degli anni 60) non erano neppure immaginabili. Resta però inalterata l’importanza di un’attenta raccolta dei sintomi, di una visita accurata e dell’elettrocardiogramma. È giusto avere a disposizione l’ecocardiogramma, la scintigrafia miocardica o la risonanza magnetica e, in alcuni casi più particolari, le analisi genetiche per poter diagnosticare mutazioni dei geni pericolose per il cuore. Queste metodiche però, non possono essere usate indiscriminatamente per tutti, devono essere limitate, visti i costi, a casi ben selezionati.
LE ANALISI
L’elettrocardiogramma, invece, come ha ricordato l’aritmologo Pietro Delise, è una delle analisi in cui il rapporto costo/beneficio è sicuramente molto positivo. Costa pochissimo e ci può dare numerose informazioni sullo stato del nostro cuore, in particolare nella medicina dello sport. Bisogna saperlo leggere bene. Soprattutto quello degli atleti. I cambiamenti dell’elettrocardiogramma, infatti, spesso possono sembrare espressione di una patologia ed invece sono solo espressione dell’adattamento cardiaco all’allenamento. Variano in relazione al tipo di disciplina che si pratica ed all’intensità dello sforzo che si produce. Viceversa, alcune patologie presenti possono non essere diagnosticate o per una non corretta lettura o per una alterazione minima dell’elettrocardiogramma.
In un’analisi su 2352 atleti italiani che hanno partecipato alle Olimpiadi tra il 2004 ed il 2014, pubblicata nel luglio di quest’anno sull’European Heart Journal, si è documentata la presenza di una patologia cardiaca nel 3.9% dei soggetti, con una, sia pur piccola, percentuale di malattie importanti come miocardiopatie o aritmie gravi. E questo in una popolazione altamente selezionata e ben studiata.
L’attuale legge italiana prevede che, per chi vuole fare attività sportiva non agonistica, basti solo un certificato fatto dal pediatra (nei bambini) o dal medico di base con un elettrocardiogramma che deve essere recente (non più di un anno) unicamente per i soggetti sopra i 60 anni. Non è previsto un elettrocardiogramma da sforzo se non per l’idoneità agonistica. Eppure, in palestra o sui campi da tennis ci vanno giovani e meno giovani che, forti del certificato, pensano di essere Federer e fanno degli sforzi eccessivi senza alcuna reale conoscenza dello stato del loro cuore.
Direttore Cardiologia intensiva Policlinico A. Gemelli- Università Cattolica