la Repubblica, 25 ottobre 2017
Il ritorno dei Simoncelli. Sull’ultima pista di Marco. «Lui rivivrà in un libro»
SEPANG Domani attraversa il paddock e poi va in pista. Sono passati sei anni. «Ma non lo so, se arrivo fino alla curva 11. Che strano: per la prima volta torno qui, dove è morto Marco, e mi sembra una cosa normale. Forse perché ce l’ho sempre in testa, il mio ragazzo. Che poi non è mica vero, il tempo non lenisce i dolori: ogni giorno che passa è peggio». Paolo Simoncelli di nuovo a Sepang, insieme alla moglie Rossella. È venuto perché da quest’anno ha una sua squadra in Moto3, il Team Sic58. «Una cosa normale», ripete. Però guarda per terra, si tortura i baffoni. «Gli altri andranno a rendergli omaggio, come fanno sempre: grazie. Però io chissà. Forse dopo, quando non ci sarà più nessuno: magari col fotografo Tino Martino, che proprio lì – fuori pista, dove era finito Marco – ha piantato una palma ed è stato il gesto più bello di tutti. L’ha messa allora che in terra c’erano solo pietre, ma la palma mi dicono stia crescendo bella forte. Allegra, vitale». Domenica scorsa Paolo era a Phillip Island, e quella prima a Motegi. «Avete visto quanti tifosi ha ancora il Sic?». Incredibile. Migliaia di persone con la maglietta, il cappellino o una bandiera: numero 58. «Quanti selfie si sono fatti con me, come mi stringevano forte: soprattutto i giapponesi, che sono piccolini ma non riuscivo a respirare». In Australia un signore lo ha abbracciato e si è messo a piangere. «Non capisco cosa avesse Marco di tanto speciale. Perché di piloti purtroppo ne sono scomparsi tanti, ma solo con lui succede così. Dicono: il sorriso, la simpatia. Aveva dentro qualcosa di straordinario. La gente lo sa, non dimentica». Paolo dice che un po’ di foto le ha scattate anche lui. «Un po’? Saranno centinaia, voglio farci un libro. Sono i tatuaggi che la gente si è fatta per ricordarlo: dall’Argentina alla Germania, dal Texas all’Olanda». La sequenza che salta fuori dal telefonino è impressionante: il volto del Sic e il 58 su di una spalla, un polpaccio, il petto, le gambe. Di uomini maturi, giovani donne, ragazzini. C’è un Marco che impenna e sotto la scritta in inglese: “Quattro ruote muovono il corpo, due ruote muovono l’anima”. «E queste qui sono solo le foto che ho preso in Australia, pensa te». Lunedì era l’anniversario. «Avrei dovuto prendere un volo per Kuala Lumpur, ma ho preferito cambiare biglietto e partire il giorno dopo». Martina, la figlia 19enne che in queste settimane lo ha accompagnato insieme a Rossella, è rimasta in Australia per imparare l’inglese. Per un anno lavorerà in una fattoria. «Non ce la siamo sentita di dire addio alla bambina proprio il 23 ottobre: quel giorno abbiamo già lasciato un figlio». Martina assomiglia in maniera impressionante al fratello. Quel sorriso, poi: uguale. «Era allegro, Marco. Questa consapevolezza è la cosa che dà forza a me e Rossella: non avere rimpianti, sapere che ha vissuto 25 anni bellissimi. Il nostro ragazzo ha fatto ciò che desiderava di più. Quel giorno di 6 anni fa era felice».
L’altra settimana sulla pista australiana il figlio di Troy Bayliss – Oliver, 13 anni – è caduto in gara e un avversario gli ha sfiorato il casco con le ruote. Papà è corso ad abbracciare il ragazzino, che è scoppiato a piangere. «Pochi centimetri: è la differenza tra vivere e morire. A Marco hanno preso il casco e il collo si è girato. Aveva una sola frattura, alla seconda vertebra in alto: il cuore s’è fermato, non abbiamo neppure potuto donare gli organi». Tony Arbolino e Tatsuki Suzuka: sono i due ragazzi del Team Sic58. «Tatsuki in pratica l’abbiamo adottato, vive con me a Riccione. È intelligentissimo, parla bene l’italiano. Ha un grande talento: ma è troppo educato, rispettoso, come tutti i giapponesi. Deve imparare ad essere più “romagnolo”, sfacciato: e allora vedrete, che campione».
A Phillip Island domenica è stata una battaglia, in MotoGp. «Ci hanno dato dentro con i sorpassi, nessuno ha avuto niente da dire. Spettacolari. Ma quando lo faceva Marco c’era sempre chi si lamentava, in particolare gli spagnoli». Sono passati sei anni, sembra ieri. Domani di nuovo a Sepang. «Una giornata normale». Paolo mente ancora una volta a sé stesso. «Mi ha fatto bene, tornare nel paddock ad occuparmi di moto. Rossella è contenta, mi vede impegnato. Proviamo ad andare avanti. Però c’è quell’ombra, e non se ne va: perché niente tornerà mai come prima».