Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2017  ottobre 25 Mercoledì calendario

Professori contro presidi l’aumento. In busta paga che divide la scuola

ROMA Ci sono i soldi per la scuola e l’università nella Legge di stabilità, in procinto di entrare in Parlamento (subito dopo il passaggio della legge elettorale). Il ministero dell’Istruzione ha trovato l’accordo con il ministero delle Finanze su cifre e dettagli. Un superaumento agli ottomila presidi, un aumentino (ancora a rischio) per i quasi ottocentomila docenti di scuola e scatti d’anzianità più ravvicinati (senza restituzione di arretrati né posizioni pregresse) per 42mila docenti di università. Com’è tradizione per i governi di centrosinistra post-crisi, gli investimenti allargano più i malumori che i consensi. Almeno, i malumori si sentono di più.
Era già accaduto con la Buona scuola, quando di fronte a tre miliardi di euro investiti e 198mila assunzioni in tre stagioni si allestì nelle piazze italiane la più grande manifestazione di protesta del mondo scolastico. Ora con la Finanziaria dell’era Fedeli gli scioperi universitari non si fermano e l’umore negativo si scopre salire dai commenti di chi interviene su Repubblica. it e sui social di riferimento.
Ecco, la battaglia della scuola riaccende lo scontro docenti- presidi, leitmotiv di queste stagioni. Si legge, da parte di prof e precari: «440 euro sono una pensione sociale». Sono, appunto, l’aumento riservato ai dirigenti scolastici a manovra approvata. Ancora: «Si trovi un solo argomento valido che giustifichi 440 euro netti contro 85 euro lordi». Il confronto è immediato. «Sono dirigente scolastico», arrivano gli argomenti, «una trentina di scuole con 2.400 alunni e soprattutto 4.800 genitori. Credete che non meriti l’aumento?». Altri presidi: «Quei 440 euro per quello che deve fare un preside sono pochi. Le nostre responsabilità non sono paragonabili».
La questione è che gli insegnanti più gli amministrativi di scuola – si va al rinnovo del contratto insieme – sono un milione e 191mila e rientrano nell’enorme platea dei tre milioni e 70mila pubblici dipendenti. Per loro vale l’accordo, da confermare in sede Aran, del 30 novembre 2016: prevede un ritocco di 85 euro lordi per un contratto che non viene rinnovato da dieci anni. I presidi, l’un per cento di maestri e prof (sono 7.993 in tutto), hanno tre vantaggi: è meno esoso per lo Stato trovare per questa minoranza pubblica i soldi per una crescita consistente della busta paga, poi è necessario armonizzare il loro guadagno a quello di un dirigente di ministero e di università (in media doppio) e infine, su un piano politico, la Buona scuola ha puntato fin dall’inizio sul preside-guida.
C’è un problema aggiuntivo, che fa crescere la rabbia dei docenti e allargare il confronto. Oltre che lordi, gli 85 euro sono a rischio. Nel senso che gli insegnanti compresi nella fascia di reddito tra i 24 e i 26mila euro lordi (sono i professori poveri, il 41 per cento del totale) oggi prendono ogni mese il famoso bonus renziano di 80 euro. Bene, l’aumento legato al rinnovo del contratto farebbe alzare il reddito complessivo e quindi perdere del tutto o in parte il bonus. “Ottantacinque guadagnati e ottanta persi” ormai è uno slogan cattivo della rete. Francesco Verducci, responsabile per il Pd di università e ricerca, dice che la copertura per consentire a tutti un aumento pieno è stata trovata in queste ore. Non sarà facile, tuttavia, prendere un provvedimento solo per la pubblica amministrazione: insorgerebbero le altre categorie a rischio bonus.
La rabbia di chi insegna alle medie e alle elementari sale, in seconda battuta, verso i docenti di università, anche loro al centro di una complessa operazione di recupero del potere d’acquisto: undicimila sui quarantaduemila interessati sono in sciopero proprio per questo. La ministra Valeria Fedeli ha proposto in Consiglio dei ministri: a partire dal 2018 gli scatti da triennali torneranno biennali. Ci sono 60 milioni subito. Le reazioni sono state varie, tendenzialmente critiche. Un esempio: «Sono professore associato da dieci anni e prendo 2.500 euro, la proposta del governo rimanda tutto al prossimo decennio». I docenti universitari più giovani potranno guadagnare più del pre-2011, quando gli scatti furono bloccati. I pensionandi avrebbero, invece, una perdita secca. La controproposta del Movimento per la dignità della docenza è: «Si aggiungano 120 milioni delle università e si faccia partire il primo aumento dal 2017». Lo sciopero degli esami non è revocato.