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 2017  ottobre 20 Venerdì calendario

Quanto le piacciono le chiacchiere

Eccolo lì, seduto sul divano intento a leggere il giornale; lei è davanti a lui, impegnata a raccontargli ciò che le è accaduto durante la giornata, senza scoraggiarsi nonostante per risposta riceva solo qualche monosillabo. Si direbbe una vignetta degli anni Cinquanta. Eppure, sembra avere un fondamento scientifico: la lingua sciolta femminile, infatti, ha radici nella diversa fisiologia dei due sessi e dipenderebbe almeno in parte dall’udito migliore di lei.
ORECCHIO FINO. Un recente studio Usa (il Baltimore Longitudinal Study of Aging) ha dimostrato che gli uomini iniziano a sentire peggio le voci altrui intorno ai trent’anni, con un declino nella sensibilità ai suoni doppio rispetto alle donne che invece sono protette dagli estrogeni fino alla menopausa. Se poi sono stressate, le donne hanno un orecchio perfino più acuto del solito, come ha puntualizzato un’indagine del Karolinska Institut svedese. «Soprattutto, l’udito femminile è più efficiente alle frequenze medio-alte, superiori ai mille Hertz, e in particolare a quelle del parlato», osserva Eliana Cristofari della Struttura di Audiovestibologia dell’Ospedale di Circolo di Varese. «E questo può contribuire a spiegarne le doti linguistiche, superiori rispetto a quelle maschili». Chi sente bene infatti si sa esprimere con maggior efficacia, e ha perciò una superiore abilità comunicativa. Se l’udito cala, invece, il cervello lavora peggio in generale e, come spiega il recente rapporto “Il cervello in ascolto” coordinato da Fondazione Lorenzini di Milano e Università Cattolica di Roma, molte funzioni, compreso il linguaggio, ne soffrono.
Il diverso “invecchiamento” dell’orecchio può spiegare perché le differenze di parlantina si notino fra moglie e marito e siano ben più sfumate fra i ragazzi, che intasano di audio le chat su WhatsApp a prescindere dal sesso. E vero però che le donne, a ogni età, sono agevolate nei dialoghi perché più capaci di riconoscere i segnali non verbali in una conversazione, come le espressioni del viso dell’interlocutore, gli atteggiamenti, il tono di voce; un para-linguaggio che, secondo la linguista statunitense Deborah Tannen, «le donne decifrano anche perché guardano dritto negli occhi, mentre l’uomo porta lo sguardo altrove più a lungo».
TI ASCOLTO COL CUORE. In altri termini, il luogo comune è proprio vero: le donne non solo sentono meglio con le orecchie, ma ascoltano di più anche con “cuore” e mente. «Ciò non significa che gli uomini siano “sordi”: hanno solo un modo diverso di ascoltare, alcuni sottintesi non li recepiscono proprio. Una differenza che deriva almeno in parte dall’evoluzione e dai ruoli diversi che i due sessi hanno avuto fin dagli albori della storia: le donne si occupavano di accudire i figli e di intessere relazioni con gli altri componenti del gruppo mitigando i conflitti, e hanno perciò sviluppato maggiori competenze per parlare e gestire gli affetti; gli uomini uscivano per procacciare il cibo, dovevano agire per difendere il gruppo dagli aggressori e hanno avuto bisogno di una capacità di comunicazione più rapida, diretta», sottolinea Federica Biassoni del Laboratorio di Psicologia della Comunicazione dell’Università Cattolica di Milano. Tutto questo ha forgiato il cervello femminile, “costruito” come un vero professionista della parola: gli studi di neuroimaging hanno dimostrato che le zone dedicate al linguaggio, ai ricordi e alle emozioni hanno in media il 10 per cento di neuroni e connessioni in più, che regalano una maggior agilità verbale e un’attenzione più forte ai sentimenti. Come se non bastasse, si è pure scoperto che nel cervello delle bambine i livelli di FOXP2, una “proteina del linguaggio” che nei mammiferi si associa a maggiori capacità di vocalizzazione, sono più elevati del 30 per cento. Il meccanismo di azione di questa proteina è ancora oggetto di studi, ma una cosa è certa: più ce n’è, più si parla (o si vocalizza, nel caso degli animali).
MARTE E VENERE. Il risultato è che in tema di comunicazione gli uomini vengono realmente da Marte e le donne da Venere, pianeti che parlano idiomi diversi: i linguisti hanno osservato che lei usa perifrasi, è attenta alla forma e si sforza di non mettere in difficoltà l’interlocutore, lui va dritto al sodo e privilegia l’efficacia comunicativa, si aspetta di capire che cosa può/deve fare. Così c’è chi ha creato veri e propri “traduttori” del linguaggio femminile a uso e consumo maschile (per la verità spassosi piuttosto che utili, chiedere a una donna per conferma), ma a volte per capirsi basterebbe un po’ di attenzione in più. Secondo lo psicologo statunitense Rowland Miller, infatti, «le donne non sono solo più bra ve a interpretare ma sanno anche usare il para-linguaggio, ovvero gli indizi non verbali. Se alla domanda “Come stai?” lei risponde “Bene”, ma a braccia conserte e a voce bassa, lui può essere certo che qualcosa bolle in pentola». Se un uomo dice “Bene” di solito invece intende davvero che non ci sono problemi.
INTIME. E sembra proprio che agli uomini manchi soprattutto un po’ di allenamento al dialogo: con gli altri maschi parlano poco, preferiscono fare e condividere esperienze “fisiche”, dal guardare insieme la partita in tv alla scampagnata in moto. La modalità preferita di condivisione del tempo al femminile invece è la conversazione, soprattutto su temi intimi: uno studio della Penn State University (Usa) ha dimostrato che le ragazze fra loro parlano di sesso più degli uomini, con minori imbarazzi e cercando di sviscerare le emozioni. «Le donne hanno bisogno di dare un senso alle proprie esperienze, la narrazione è il mezzo più efficace per riuscirci: alle amiche per esempio si racconta per filo e per segno com’è andata con lui, le cose dette, che cosa si ha provato per poi ascoltare il punto di vista altrui. Serve per ricostruire il significato del rapporto e decidere come agire», dice Biassoni. Tanto che perfino dal terapista Marte e Venere sono diversi, come ha spiegato una ricerca presentata alTultimo congresso della British Psychological Society: lui cerca soluzione rapida ai disagi, lei vuole soprattutto parlare dei propri sentimenti.
ORMONI. Tutto sommato, le differenze secondo alcuni studiosi sono abbastanza piccole, ma alcuni indizi indicano che almeno in parte sono biologiche. Le donne, insomma, più chiacchierone ci “nascono”: hanno meno testosterone (l’ormone “maschile” per eccellenza perché più abbondante negli uomini) e una ricerca pubblicata sul Journal of Child Psychology and Psychiatry dimostra che il livello di testosterone nel feto è correlato alla probabilità di un ritardo nello sviluppo del linguaggio: più ce n’è, più tardi parlerà il bimbo. Nelle femmine, esposte in utero a una concentrazione di testosterone dieci volte inferiore, le prime parole arrivano con qualche mese di anticipo rispetto ai fratelli.
CONTA IL CONTESTO. Appurato che capacità di ascolto, temi di conversazione più intimi e abilità oratoria sono “rosa”, si ritorna però alla domanda iniziale: le donne parlano davvero a macchinetta, molto più degli uomini? Chi si è preso la briga di contare le parole dette in media dai due sessi ogni giorno arriva a conclusioni variabili e spesso discordanti, perché esistono maschi chiacchieroni e una stima corretta è complicata (negli studi condotti in laboratorio, per dire, le disparità sono più marcate rispetto a quelle nella vita reale). Sembra perciò probabile che in termini di quantità di parole tutto dipenda dal contesto: le donne per esempio parlano di più quando c’è da collaborare ma se l’obiettivo delle relazioni parlate è ottenere un vantaggio individuale le differenze si annullano, come ha dimostrato uno studio dell’Università di Harvard. Perciò forse ha ragione Deborah Cameron, docente di linguaggio e comunicazione dell’Università di Oxford, quando osserva che «non è possibile generalizzare, dire chi parla di più senza considerare il ruolo, la situazione, le relazioni. A volte siamo noi che vogliamo credere che esistano diversità nette». Chissà allora che, dopo l’abbigliamento per generi “fluidi”, non si arrivi anche alle chiacchiere genderless.