Focus, 20 ottobre 2017
Quando il chirurgo é un robot
L’operazione è complicata. Il chirurgo deve applicare due viti speciali a tre vertebre, per correggere una brutta scoliosi che sta degenerando e che comincia a procurare al paziente forti dolori lombari. E il giorno prima dell’intervento e il medico sta studiando le immagini 3D della zona da operare, generate da un software che combina Tac e radiografie. Con un altro software, il “navigatore”, individua i punti esatti in cui fissare le viti sulle vertebre senza rischiare di provocare danni, che potrebbero essere anche molto gravi. Il navigatore memorizza e traccia una mappa dell’intervento: sarà un robot a eseguire l’operazione, anche se a manovrarlo sarà il chirurgo. In questo modo, le possibilità di un errore sono praticamente azzerate.
MOLTI BENEFICI. E così, attraverso macchine, software e innovative tecniche di modellazione 3D delle immagini, che la chirurgia sta cambiando. Il sistema appena descritto esiste davvero. Si chiama Renaissance ed è prodotto da un’azienda israeliana, la Mazor Robotics, che lo ha lanciato nel 2011. Lo abbiamo visto all’opera in uno dei tre centri italiani che ne possiedono uno, la clinica Columbus di Milano. Gli altri due sono a Torino e a Pisa. «Oltre alla precisione», spiega il neurochirurgo Giovanni Broggi, primario emerito all’istituto Besta di Milano, che lo utilizza proprio alla Columbus, «ha il vantaggio di ridurre i tempi degli interventi e l’esposizione alle radiazioni del paziente e del personale sanitario, perché non richiede – come invece avviene nelle procedure tradizionali di chirurgia vertebrale – di effettuare radiografie successive per verificare il corretto proseguimento dell’operazione. La procedura poi è poco invasiva e consente al paziente un recupero molto rapido».
I vantaggi dei robot in questo campo, insomma, sono enormi. Ed è per questo che il loro uso sta aumentando, tanto che ormai a tutti può capitare di essere operati con l’ausilio di una di queste macchine. Nuovi modelli per applicazioni specifiche, come la chirurgia del ginocchio o il trapianto di capelli, si stanno affiancando al da Vinci, lapiattaforma che haaperto la strada. Sviluppato dall’azienda Usa Intuitive Surgical e distribuito in Italia da ab medica, il da Vinci era stato inizialmente pensato come un sistema per operare a distanza i soldati feriti in azione. Ma le difficoltà tecniche di avere connessioni wireless prive di ritardi, senza le quali è impossibile operare, hanno portato allo sviluppo di una soluzione connessa via cavo, quella che si usa attualmente.
MANOVRE STRETTE. Da quando è stato introdotto, nel 2000, questo robot ha avuto un grande successo, con oltre 3.900 esemplari installati nel mondo, di cui 90 in Italia. L’ultima versione è dotata di 4 bracci, introdotti nel corpo attraverso 4 fori del diametro di 8 millimetri, ed è molto più evoluta rispetto alla prima, che ne aveva solo tre. «Il sistema», spiega Giuseppe Maria Ludovico, urologo dell’ospedale Miulli di Acquaviva delle Fonti (Bari), che lo usa dal 2006, «è migliorato anche grazie all’introduzione di strumenti più precisi e di sorgenti laser che consentono di praticare incisioni praticamente senza sanguinamento». Una caratteristica che rende l’uso del da Vinci molto più semplice rispetto alla laparoscopia nella quale, dice Ludovico, «gli strumenti sono leve posizionate vicino al corpo, che spesso richiedono al chirurgo movimenti controintuitivi e complicati. I bracci del da Vinci hanno invece un polso che consente di manovrarli in modo molto più naturale, come un’estensione delle mani».
IN ESPANSIONE. L’evoluzione tecnologica ha consentito di ampliare a dismisura il numero di interventi per cui il robot può essere impiegato. In un convegno internazionale, tenutosi a settembre a Pisa in occasione del Festival Internazionale della Robotica, esperti di tutto il mondo sono convenuti per confrontarsi con i colleghi su nuove tecniche. «Si sono viste cose incredibili, impensabili fino a pochi anni fa», osserva Franco Mosca, pioniere della chirurgia robotica in Italia e presidente della Fondazione Arpa che si adopera per sostenere la ricerca in medicina. «Oggi», spiega, «con il robot è possibile, per esempio, intervenire sulla tiroide passando attraverso un’ascella, senza lasciare alcuna cicatrice sulla gola del paziente, e consentendogli un recupero molto più rapido. Si possono effettuare suture su vasi sanguigni, o anche all’interno del cuore, o asportare tumori in punti molto complicati da raggiungere senza praticare grandi incisioni. Tutto questo si traduce in tempi di recupero molto più brevi per i pazienti e, soprattutto, in una migliore qualità della vita dopo l’intervento». Ma non sempre il robot è la soluzione. «Ogni caso va studiato con attenzione», chiarisce Mosca, «tenendo in primo piano la salute delle persone. La tecnologia robotica è straordinaria, ma va scelta solo quando garantisce un vantaggio reale».
Un altro problema sono i costi. Un sistema da Vinci richiede un investimento oltre il milione di euro e anche gli strumenti e le parti di ricambio sono molto cari. «Questo accade», spiega Ludovico, «anche perché finora il da Vinci ha avuto una posizione di quasi monopolio, perché è l’unica piattaforma robotica che può essere usata praticamente in ogni ambito della chirurgia. Sono però in arrivo sistemi concorrenti, che potrebbero cambiare il mercato». Il più pronto sembra quello messo a punto da Verb Surgical, joint venture tra Google e Johnson&Johnson, che dovrebbe iniziare il percorso di accreditamento entro due anni. Sarà supportato da una grande potenza di calcolo per migliorare la connettività e assistere il chirurgo con l’analisi di Big Data e l’intelligenza artificiale.
VERSO UNA NUOVA SANITÀ. Per alleviare i costi, comunque, c’è già chi ha dimostrato che, razionalizzando le procedure, è possibile avvicinarli a quelli della chirurgia tradizionale. Al Centro multispecialistico dell’Azienda Ospedaliero Universitaria di Pisa, per esempio, nelle tre camere operatorie attrezzate con il da Vinci si effettuano soltanto 36 procedure chirurgiche, individuate per ottimizzare l’uso del robot. Il centro raccoglie pazienti da una vasta area della Toscana, con l’obiettivo di diventare un polo in cui centralizzare gli interventi di chirurgia robotica. Il motivo? «Solo tenendo i robot sempre impegnati possiamo abbattere i costi di utilizzo», spiega Carlo Milli, direttore amministrativo della struttura. «La programmazione degli interventi avviene così in base alla disponibilità della tecnologia e non degli specialisti, come avveniva una volta». Sempre a Pisa, al centro Endocas, fondato da Franco Mosca, i robot vengono invece utilizzati per formare i chirurghi, sia all’impiego del da Vinci e di altre piattaforme, sia ad altre tecniche, come la laparoscopia o la chirurgia endovascolare. Mentre nell’ambito del progetto Nina, nel reparto di ostetricia e ginecologia, robot manichini vengono usati per addestrare i team ad affrontare emergenze in sala parto. Insomma, l’ingresso dei robot sembra prefigurare anche un ripensamento del tradizionale modello della sanità.
NUOVE GENERAZIONI. Varrà la pena impegnarsi in una tale trasformazione? C’è chi scommette di sì, perché la chirurgia assistita da robot è solo agli inizi e promette grandi sviluppi. Lo pensa la chirurga Catherine Mohr, inventrice e vicepresidente della strategia di Intuitive Surgical, l’azienda che sta per lanciare il prossimo da Vinci (che avrà un unico braccio e la possibilità di praticare una sola incisione di 2,5 cm). «Grazie allo sviluppo delle tecnologie di visione e degli strumenti», dice Mohr, «possiamo pensare di iniettare marcatori colorati per evidenziare piccole masse tumorali, altrimenti invisibili. Oppure di dotare i robot di sonde capaci di ingrandire i dettagli fino al livello della cellula. Possiamo immaginare una chirurgia estremamente precisa che, al termine degli interventi, lascerà i pazienti integri, in grado di recuperare subito dopo l’intervento».
A questo punto viene da pensare che in futuro sarà addirittura possibile fare del tutto a meno dell’uomo. Non si può escludere: le tecnologie potrebbero permetterlo. «Ma non so quanto sia auspicabile», commenta Ludovico. «In presenza di complicanze, sarebbe sempre necessaria la presenza di un chirurgo. E ogni paziente ha particolarità anatomiche che possono porre imprevisti durante un intervento. Però chissà: il futuro non si può prevedere».