Il Sole 24 Ore, 24 ottobre 2017
Federalismo irrisolto. Il rischio contenzioso
Il messaggio è arrivato forte, ma rischia di non essere chiaro; e di intricare ancora di più la matassa dell’eterna incompiuta federalista che ha imbottito di carte bollate i rapporti fra Stato e Regioni.
Continua pagina 5 Continua da pagina 1 Alla base del pericolo c’è un equivoco di fondo, che ha percorso la (tiepida) campagna referendaria ed è emerso evidente appena chiuse le urne. Un conto infatti è chiedere più competenze, con la convinzione di poter spuntare risorse aggiuntive dalla propria capacità di “fare meglio con meno”, con un «dividendo dell’efficienza» che permetterebbe di dirottare su altro le risorse risparmiate sulle attività trasferite. Altro è parlare di «residuo fiscale» e di «specialità» regionali. Ma proprio questa distanza fra le parole d’ordine della politica e le regole scritte nelle leggi è il grande classico dell’altalena federalista. Meno di 11 mesi fa la riforma costituzionale aveva preso atto del fatto che la coabitazione di Stato e Regioni sullo stesso campo non funziona, proponendo di cancellare le «concorrenza» sulle 20 competenze messe in comune fra Roma e i territori (e di semplificare il «federalismo differenziato» ora tornato in auge). Al referendum del 4 dicembre hanno vinto i «no», mentre ieri è stata la giornata dei «sì» (per chi è andato a votare), e in questo senso il messaggio è forte. Ma le «ulteriori forme di autonomia» vanno cesellate con un lavoro paziente, perché una scuola o un sistema di «grandi reti» solo regionale non può esistere: contrabbandare questa divisione dei compiti come un via libera alla creazione di nuove regioni speciali rischia però di confondere le acque, e di alimentare l’ennesima tornata del federalismo della confusione.