la Repubblica, 24 ottobre 2017
L’orso buono. È il gigante degli Appennini il suo segreto scritto nel Dna
ROMA L’orso Mario quest’estate cercava galline in paese. Finendo in un vicolo cieco, ha scavalcato un muretto e si è infilato in una finestra. Trovandoselo in salotto, la famiglia con due bimbi di Villavallelonga si è spaventata, impossibile negarlo. Ma l’avventura si è risolta bene, con Mario tornato libero sulle montagne abruzzesi. «Nell’ultimo secolo l’orso marsicano non ha mai attaccato l’uomo» confermano i ricercatori che hanno trovato nel Dna il segreto dell’orso buono. «Studiando cani, volpi, cavalli, abbiamo visto che esistono dei geni legati ad addomesticamento e mansuetudine» spiega Andrea Benazzo, genetista dell’università di Ferrara, uno degli autori della ricerca pubblicata su Pnas.
E negli orsi marsicani compaiono ben 22 di questi frammenti di Dna.
L’orso marsicano, d’altra parte, non è un orso come gli altri. La sua storia – ricostruita leggendo i cromosomi di sei esemplari – lo dimostra. «Un’ipotesi è che i tratti della mansuetudine si siano evoluti grazie a millenni di vicinanza con la popolazione d’Abruzzo» suggerisce Luigi Boitani, scrittore, biologo della Sapienza di Roma e autore di vari rapporti sullo stato della piccola popolazione di orsi appenninici: una cinquantina di esemplari appena. A confinare il gruppetto di orsi bruni sulle montagne d’Abruzzo furono i primi coltivatori del Neolitico, che già millenni fa si procuravano terre da coltivare bruciando i boschi. Tracce di ceneri antiche emergono scavando nei ghiacci del polo Nord. La deforestazione ridusse gli orsi in Europa a poche migliaia, gli esemplari degli Appennini si trovarono isolati e circa 4mila anni fa diedero vita a una nuova sottospecie: l’orso marsicano.
Il contatto con l’uomo non è facile per nessuno. Ma mentre gli orsi alpini furono sterminati, quelli appenninici riuscirono a sopravvivere. «Ci siamo chiesti però come possano resistere con solo una decina di femmine fertili» spiega Boitani. «E abbiamo deciso di indagare nel Dna». Il primo problema è l’”inbreeding”: l’accoppiamento fra consanguinei. «Nel Dna esistono alcuni caratteri deleteri» spiega Emiliano Trucchi, genetista all’università di Ferrara. «In una popolazione estesa questi geni dannosi sono diluiti. Ma in un gruppo ristretto rischiano di fissarsi nel Dna e di condurre al “vortice dell’estinzione”. Una comunità di 50 individui è in una situazione limite».
Invece, sorprendendo tutti, il Dna dell’orso marsicano si è rivelato pieno di risorse. «La selezione ha premiato dei geni che mantengono efficienti olfatto e sistema immunitario» spiega Trucchi. Non mancano i problemi: l’isolamento genetico ha inciso su forma del cranio (diversa dagli altri orsi bruni) e metabolismo. «I muscoli sono poco efficienti» conferma il genetista. E forse questa è un’altra ragione della mansuetudine di Mario e compagni, oltre che del loro adattarsi a una dieta quasi esclusivamente vegetariana (a parte la tentazione dei pollai). «Gli orsi marsicani sono ben nutriti e in salute» conferma Boitani. «Il Parco sicuramente li aiuta, e il rapporto con la popolazione locale è buono. Ma appena mettono il naso fuori dai suoi confini, rischiano una brutta fine». Le leggi della genetica li hanno protetti, finora. Ma alla lunga per l’orso d’Abruzzo l’unica chance sarà rinfrescare il suo Dna.