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 2017  ottobre 24 Martedì calendario

Com’è lontana Barcellona

NOGAROLE VICENTINO Imossos d’Esquadra e la Guardia Civil non servono. Il Veneto non è la Catalogna. E persino a Nogarole Vicentino – la nuova Stalingrado dell’autonomia – il day after del referendum è un giorno come tutti gli altri. «I risultati? Eccoli qua – dice soddisfatta la giovane sindaca Romina Bauce – hanno votato in 804, il 75,4%. I Sì sono 794, il 98,3%, i No 9 più una bianca». Un plebiscito. La Lega da queste parti l’ha fatta sempre da padrona. “La città che vorrei” – il disegno che gli scolari hanno regalato alla prima cittadina – ha al centro un edificio giallo.
Un edificio con l’insegna a caratteri cubitali (beata innocenza) “Meno tasse per tutti”.
Eppure qui sui colli della Lessinia, come in tutto l’ecumenico fronte imprenditorial-sindacale che ha sostenuto il Sì, è scattata l’ora dei pompieri. «Le mie aspettative? Basse» ammette Bauce. «L’Italia è l’Italia, nessuno vuole staccarsi o seguire scorciatoie catalane. Spero solo che il governo, visti i risultati, apra a concessioni». Quali? «Cose terra terra», spiega lei: «Un bus per i ragazzi delle medie e per gli anziani che devono far la spesa in valle che ora – con un budget da 900mila euro – non posso permettermi». Mica la luna ma «servizi base, quanto basta per vedere che non tutte le nostre tasse vengono sprecate a Roma».
Non è l’unica a rifiutare i panni della pasionaria. Anche Matteo Zoppas, presidente di Confindustria Veneto e fiero sostenitore del Sì, si iscrive al partito delle colombe. «La Catalogna è un’altra cosa – assicura -. Noi abbiamo rispettato la Costituzione. Siamo italiani e vogliamo rimanerlo». Detto questo, le richieste degli industriali sono chiare: l’economia regionale è in ripresa, il numero di occupati è tornato ai livelli 2008. «Ma i numeri ingannano, molte piccole imprese sono ancora in difficoltà», sostiene Zoppas. Ergo, serve «una scossa» autonomista con priorità chiare: «Trasferire sul territorio politiche industriali, stati di crisi, formazione e incentivi per l’innovazione». Tradotto in soldoni – come sintetizza Giorgio Lovato, mastro casaro alla Cooperativa del formaggio dop Montefaldo di Nogarole – «quanto serve per farci stare un po’ meglio».
I prossimi mesi diranno se questo sogno si realizzerà. «La palla è in mano a Zaia – dice Paolo Zabeo, coordinatore della Cgia di Mestre -. Sia pragmatico. Otterrà autonomia in qualche campo e i soldi per gestirla. Poi dovrà dimostrare di meritarla. Gli statuti speciali ci sono in Trentino Alto Adige e Friuli ma pure la Sicilia, con risultati differenti. Il voto del Veneto non è una richiesta di meno Stato ma – per assurdo – di più Stato: un’amministrazione capace di usare meglio le tasse». Federalismo e non indipendenza. Più Germania che Catalogna. «Fare da soli è un miraggio – aggiunge Christian Ferrari, segretario regionale Cgil -. Con le mani libere qui abbiamo creato Popolare Vicenza, Veneto Banca, Mose e avvelenato le falde». Solo la Caporetto delle banche è costata 4 miliardi a 200mila risparmiatori. «E il referendum non deve servire a nascondere questi disastri, un lavoro in crescita ma precario e una battaglia tutta all’interno della Lega». Parole misurate anche nella polemica politica. Figlie di un referendum condotto (per fortuna) con i toni bassi. L’importante per Daniele Marini, sociologo dell’Universita di Padova, «è non alzare ora troppo l’asticella delle aspettative con richieste impossibili come l’autonomia fiscale che potrebbero un boomerang». Le tasse venete al Veneto, per dirla con il pragmatismo di Giancarlo Piva, ad della Micromeccanica di Padova, restano «una pia illusione». Lui lavora sul campo, cerca da tempo 5 operai che non trova («li pagherei 1.300 al mese, ma sognano tutti di fare i cuochi») e tiene i piedi per terra: «Ci serve uno stato federale alla tedesca che usi bene i soldi e non un governo centrale che li spreca». Il messaggio dalle urne è partito. La Catalogna è lontana. Ma senza risposte da Roma, la distanza tra Nogarole e Barcellona rischia di tornare ad accorciarsi.