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 2017  ottobre 21 Sabato calendario

Grande capa Ibm distrugge l’azienda

Nonostante le modalità positive di comunicazione, non è passato inosservato alla comunità finanziaria che per 22 trimestri consecutivi Ibm a livello mondiale ha riportato il fatturato in calo. Da quando la signora Ginni Rometty ha preso il comando dell’azienda non ha mai infilato un trimestre in crescita sul fatturato, cosa che peraltro riesce decentemente con gli utili. 
Il tutto a discapito delle dimensioni globali dell’azienda che in 9 anni è passata da 114 miliardi di dollari di fatturato a circa 75 miliardi previsti quest’anno. 
Il processi di trasformazione che sono riusciti bene e velocemente a concorrenti quali Microsoft e Hewlett Packard proprio non si riescono a vedere in Ibm, che resta legata in modo indissolubile ai suoi mainframe mentre la grande speranza di Watson, sistema di intelligenza artificiale creato dalla multinazionale statunitense, del quale non si vedono referenze ad eccezione della vittoria nel quiz americano Jeopardy, non rappresenta neanche l’1% del fatturato globale. 
Ibm sembra aver perso definitivamente contro Amazon la battaglia del cloud, segmento di mercato in crescita esponenziale del quale si è accorta con grande ritardo e che non ha risolto con l’acquisizione di Softlayer. 
Anche il primo azionista privato di Ibm che era Warren Buffett ha mollato la barca ritirando il suo cospicuo investimento dicendo pubblicamente di aver sbagliato. È perlomeno strano notare che un’azienda centenaria come Ibm non sia capace di reagire a un mondo che sta cambiando a velocità supersonica come fece poco più di 20 anni fa chiamando al comando Louis Gerstner che cambiò in velocità top management, modo di fare business e le operazioni di vendita. 
Di certo la signora Rometty ha stabilito un record che difficilmente sarà battuto, 22 trimestri consecutivi col fatturato in decrescita non sono proprio permessi a nessuno e qui francamente (basta sentire peraltro le dichiarazioni degli analisti americani su Cnbc dopo i risultati) nessuno capisce come la stessa sia riuscita a ottenere, pur con pochissimi voti a suo favore, un cospicuo aumento di stipendio a inizio anno a fronte ovviamente di ingenti riduzioni di personale nel mondo e in Italia e che continueranno nel 2018. 
Insistenti voci di mercato riportano che l’azienda a breve potrebbe essere oggetto di acquisizioni o fusioni. La massa critica sta sparendo, la presenza nei segmenti ad alto tasso di crescita è bassa, la dipendenza dei profitti dal mainframe è superiore al 50%. 
Proprio la filiale italiana sembra essere una eccezione in questo panorama sconcertante. Forse perché ha saputo avviare cure draconiane in passato, forse perché gli italiani quando si affrontano le difficoltà sono più bravi, forse perché il mercato ancora non si è accorto che il cloud può risolvere tanti problemi di budget causati dai sicurissimi ma costosissimi mainframe; già a settembre il presidente della filiale italiana aveva annunciato al forum Ambrosetti di Cernobbio che Big Blue Italia andava meglio che nel resto del mondo e che il fatturato della filiale sarebbe cresciuto rispetto al 2016. 
L’augurio pertanto è che ad Armonk prendano esempio da Segrate, invece di fare le solite azioni basate sulla metrica di tagli uguali per tutti... simile ai tagli lineari di spesa pubblica a cui l’Italia è ormai abituata.