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 2017  ottobre 21 Sabato calendario

Le città salvate dagli alberi

ROMA Un albero che cresce rende l’aria più pulita. Un albero che cade o brucia emette anidride carbonica, unendosi al coro di auto, fabbriche e caldaie che oggi rendono irrespirabile il cielo delle città e innaturale questo ottobre primaverile. Calcolatrice alla mano, “The Nature Conservancy” ha tradotto in numeri l’effetto anti-inquinamento delle piante, che usano l’anidride carbonica per respirare e sono dunque un aspirapolvere naturale di questo gas serra. Già oggi il verde del mondo ci libera da un quinto delle emissioni. In uno studio su Pnas l’associazione non profit internazionale arriva alla conclusione che ripristinare gli 1,8 miliardi di ettari di foreste distrutti nel mondo (quelli rimasti sono quasi 4 miliardi) basterebbe da solo a compensare le emissioni di 650 milioni di auto. Smettere di tagliare alberi, senza bisogno di ulteriori azioni, bilancerebbe l’effetto inquinante di 620 milioni di auto. Le due misure, adottate insieme, taglierebbero di netto 7 miliardi di tonnellate di CO 2 dal nostro pesante fardello di gas serra. Solo l’Italia ha il potenziale di risparmiare 115 milioni di tonnellate all’anno. «Esistono soluzioni naturali contro il cambiamento climatico» scrivono gli autori della ricerca «che possono aiutarci a eliminare l’anidride carbonica con cui inquiniamo l’aria o che possono direttamente evitare che il gas serra venga emesso». Venti di queste proposte concrete – dal riforestare al ridurre i fertilizzanti, dal realizzare cinture di alberi attorno ai terreni agricoli al seminare “colture intercalari” che arricchiscono il suolo di azoto senza bisogno di concimi chimici – sono analizzate nello studio, che disegna così un mondo “salvato” dalle piante: più verde e anche più salutare, visto che prevede per la dieta meno carne e più legumi, portando alla riduzione dei pascoli a favore dei boschi e a un maggiore uso di piante – i legumi, appunto – capaci di lasciare in eredità al terreno un “tesoretto” di sostanze nutrienti.
Se nel 2030 saremo riusciti a disegnare il “mondo perfetto” descritto da Pnas, avremo ripulito l’aria da 11,3 miliardi di tonnellate di CO 2 equivalente (un’unità di misura che riporta tutti i gas serra al potere inquinante dell’anidride carbonica) ogni anno, mantenendo una produzione agricola adeguata al nostro appetito e non spendendo più di 100 dollari a tonnellata di CO 2. La cifra corrisponde al prezzo che inquinamento e riscaldamento climatico arriveranno a esigere, danneggiando la nostra salute e le nostre città, sempre nel 2030. Visto che oggi le emissioni di gas serra sfiorano i 10 miliardi di tonnellate all’anno, piante e alberi – calcolano i ricercatori – potrebbero annullare l’effetto della valanga di combustibili fossili dai quali fatichiamo a svezzarci, coprendo un terzo degli sforzi richiesti da Parigi e aumentando del 66% le chance di mantenere il riscaldamento climatico entro i due gradi.
«La soluzione è davanti ai nostri occhi» scrivono i ricercatori su Pnas. Ma piantare alberi un po’ ovunque nel mondo è l’impegno che già da anni sottoscrivono governi, aziende, trattati internazionali con effetti a macchia di leopardo. L’Ong Forest Trends ha calcolato che fino a marzo 2017 447 aziende private coinvolte nella deforestazione (soprattutto per produrre legname o prodotti alimentari, dall’olio di palma al cacao) avevano sottoscritto 760 impegni a limitare l’impatto delle loro motoseghe. Eppure ogni anno un’area equivalente a quella di Panama perde il suo mantello verde, secondo la Fao. In Italia i boschi sono invece in rimonta. Negli ultimi 10 anni abbiamo guadagnato 600mila ettari: circa 200 alberi a testa, sempre secondo la Fao. Merito di leggi, interventi o politiche accorte? No, è il bosco che spontaneamente si riprende i terreni di montagna abbandonati da pastori e contadini.