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 2017  ottobre 21 Sabato calendario

Nel santuario dei mattoncini

Per i bambini di tutto il mondo che giocano con i mattoncini e ne comprano 20 miliardi ogni anno, è il museo dei sogni che si realizza. Per l’architettura mondiale, la conferma di una tendenza sempre più consolidata negli ultimi anni che vede spuntare edifici «testimonial», capaci di raccontare, sia nella facciata che nelle linee costruttive, una storia specifica, rafforzata poi nella fruizione anche dai contenuti esposti all’interno della struttura. La Lego House inaugurata a Billund, la cittadina danese dove ha sede l’azienda fondata nel 1916 da Ole Kirk Kristiansen, che anche negli ultimi anni così digitali ha registrato un aumento delle vendite pari al 6%, è stata pensata dallo studio di progettisti Bjarke Ingels Group, proprio come una delle tante costruzioni colorate di leg godt – nella lingua originale significa «gioca bene» – che si vedono nelle camerette dei nostri bimbi. Ventuno blocchi bianchi sono stati sovrapposti in modo sfalsato nel corso di quattro anni di lavoro, ponendo in cima a questa piramide irregolare, dalla superficie di 12 mila metri quadrati, un vero e proprio mattoncino.
Ogni blocco dalla forma quadrangolare ha un tetto di un colore diverso e molti di essi possono essere utilizzati anche come terrazza esterna per ospitare giochi, momenti di interazione, eventi; anche la Lego Square, la piazza, è intesa come spazio di ritrovo. Tra le tante attrazioni, l’Albero della Creatività eretto con oltre 6,3 milioni di tasselli di plastica in 24 mila ore di assemblaggio, alto 15 metri, è sicuramente quella che più impressiona i piccini e i loro più grandi accompagnatori. La History Collection è invece l’ala più funzionale, perché viene ripercorsa, attraverso l’esposizione di pezzi icona creati coi Lego, in una sorta di galleria della fantasia immaginativa oltre che dell’abilità manuale raggiunta dai suoi ingegneri e operai, tutta la storia della fabbrica danese mentre nella Masterpiece Gallery trovano spazio le creazioni che ogni appassionato di Lego voglia esporre: i dinosauri, i cammelli, i sottomarini, i surf per cavalcare le onde, etc. Lo stesso proposito viene perseguito dalla Green Zone dove si sperimentano, toccano le città, i castelli, le foreste, i mari composti con questi giocattoli che il falegname Kristiansen concepì a metà del XX secolo dopo avere prodotto salvadanai, automobiline e yo-yo. Al Creative Lab, nella Zona Rossa del Museo, si esplorano, infine, le interminabili applicazioni interinali che la tecnologia consente a chi vuole costruire un proprio mondo virtuale coi blocchetti colorati.
Questa forma narrativa di story telling museale oggi la ritroviamo sempre di più un po’ ovunque. A Doha, il Museum of Islamic Art progettato da I.M.Pei su di un’isola artificiale è fortemente ispirato agli stilemi dell’arte islamica. L’architetto, dopo avere dedicato mesi allo studio del Corano e dei manufatti più significativi, ha scelto un design fortemente evocativo connesso con gli oggetti esposti all’interno, ovvero gioielli, ceramiche, artefatti in legno e metallo creati tra il VII e XIX secolo. Nella Mongolia Interna, regione autonoma della Cina, l’Ordos Museum progettato dallo studio pechinese Mad, nell’omonima città situata nel Deserto dei Gobi, sfoggia la silhouette proprio di una duna, tanto che pare fluttuare sulla sabbia, mentre gli interni sono scavati quasi come uno dei canyon che caratterizzano il paesaggio di questa terra, dove vivono minoranze etniche dalle millenarie tradizioni.
Ci sono esempi anche più vicini a noi: il Messner Mountain Museum sul Monte Corona, ideato da Zaha Hadid, sbuca coi suoi oblò dalla montagna come una marmotta architettonica per poi narrare all’interno tutto il mondo dell’esplorazione in alta quota.