Corriere della Sera, 21 ottobre 2017
Un veleno nelle istituzioni
«Rafforzare l’efficacia delle attività di vigilanza sul sistema bancario», promuovere «un maggior clima di fiducia», «garantire nuova fiducia»: questi gli indirizzi per il governo contenuti nella mozione del Partito democratico approvata dalla Camera dei deputati il 17 ottobre scorso. Si tratta di una indiretta mozione di sfiducia nella Banca d’Italia, che fa seguito a cinque altre mozioni, aperte da quella dei 5 Stelle del 25 settembre, che invitavano il governo a escludere l’ipotesi di proporre la conferma del governatore Visco.
La presidenza della Camera dei deputati avrebbe dovuto dichiarare inammissibili mozioni che non attengono a compiti del Parlamento (il Governatore è nominato con decreto del presidente della Repubblica, su proposta del presidente del Consiglio dei ministri, previa deliberazione del Consiglio dei ministri, sentito il parere del Consiglio superiore della Banca d’Italia), anche perché, come è stato rilevato nel corso del dibattito parlamentare, per una valutazione, si sarebbero dovuti attendere i risultati della Commissione di inchiesta sul funzionamento del sistema bancario, istituita proprio dal Parlamento.
La mozione approvata dalla maggioranza dei deputati è sia illegittima, sia inopportuna. È illegittima perché parlamentarizza una procedura che la legge ha voluto far passare per altre mani. E l’ha voluto per preservare il pluralismo istituzionale: nelle moderne democrazie il potere non può essere concentrato in un solo organo, sono necessari contro-poteri, bilanciamenti, «checks and balances». Se questi non ci fossero nella democrazia americana, Trump non troverebbe resistenze, con le conseguenze che tutti possono immaginare. In Italia, c’è una corona di autorità indipendenti, che non prendono indirizzi da nessuno, proprio perché si vuole garantire separazione del giudizio e imparzialità delle decisioni in settori «sensibili». La maggiore e più antica istituzione indipendente è la Banca centrale, che subisce ora una grave ferita per colpa di «uomini di governo» che non riescono a diventare «uomini di Stato».
La mozione è anche inopportuna non solo perché arriva a ciel sereno in prossimità di una decisione tanto importante quanto la nomina del Governatore, ma anche perché giunge poco prima della fine della politica di «quantitative easing» della Banca centrale europea, da cui è strettamente dipendente il nostro debito pubblico e, in ultima istanza, il livello di imposizione fiscale del nostro Paese. Non dimentichiamo che l’Italia è la terza più importante economia dell’Unione Europea e ha il maggiore debito pubblico. In sede europea, nei prossimi due mesi, occorre discutere il modo in cui uscire dal «quantitative easing». Gli italiani – tutti noi – abbiamo un grande interesse a una uscita con gradualità, per evitare contraccolpi per il costo del nostro debito. Questo sarebbe il momento in cui raccogliersi con fiducia intorno a chi può sostenere le posizioni del nostro Paese a Bruxelles, dove sono state trasferite ormai le maggiori competenze. Improvvidamente, invece, si fa il contrario.
L’indiretta mozione di sfiducia nell’istituzione Banca d’Italia, contenuta nel testo approvato dalla Camera dei deputati, rappresenta per essa una ferita persino maggiore di quella inferta nel marzo 1979 da una iniziativa di Andreotti e della Procura della Repubblica. Allora era la magistratura a muoversi, sotto la spinta di una parte limitata della Dc. Oggi è il maggiore partito italiano, in Parlamento. Si diceva una volta che le banche commerciano in fiducia. Se il Parlamento sfiducia chi vigila sulle banche, si inietta in una gran parte delle istituzioni del Paese un pericoloso veleno, i cui costi saranno pagati dagli italiani.