Libero, 22 ottobre 2017
Mina da 453 trilioni sulle nostre teste
Il numero è impronunciabile: 453.000.000.000.000. Ovvero 453 trilioni di euro, una montagna di denaro che rappresenta il totale dei derivati in circolazione nell’Unione Europea. Più che di denaro, in realtà, si può parlare di carta o di cifre virtuali. Perché i derivati altro non sono che uno strumento finanziario il cui prezzo è basato sul valore di mercato di un altro bene, azioni, valute, tassi di interesse e così via fino alle materie prime, dove sono stati utilizzati in origine per proteggere mercanti ed agricoltori dalle incertezze dei raccolti.
Nel corso del tempo, però, i derivati hanno cambiato volto, svolgendo sempre meno il ruolo di copertura dal rischio assumendo la funzione di strumenti a contenuto speculativo. Ormai, infatti, è possibile scommettere con leve astronomiche, partendo da basi all’apparenza medeste. Mica uno strumento del demonio, ma un’arma “atomica”, visto il moltiplicatore, da trattare con cautela. Come non è avvenuto. Sembra assurdo ma fino a pochi giorni fa non era a disposizione il dato sull’ammontare di queste scommesse che pure sono decisive per la vita di ciascuno di noi, visto che influenzano l’andamento delle valute (e quindi dei prezzi delle importazioni oltre che l’inflazione) e dei tassi dei mutui. Ci si doveva accontentare delle elaborazioni della Banca dei Regolamenti Internazionali e dell’Isda, l’associazione degli operatori del mercato, entrambe basate su sondaggi a campione. La lacuna è stata colmata dal lavoro dell’Esma, l’autorità europea che monitorizza l’andamento dei mercati finanziari, che ha censito l’attività delle sei principali aree di attività in cui sono adoperati questi prodotti. Non è stata un’operazione rapida, vito che il G20 aveva vivamente raccomandato il lavoro nel meeting dell’autunno 2009, in pieno shock per la crisi di Lehman Brothers. Ma a giustificare i tempi biblici è la mole di lavoro che è stata necessaria per spulciare i contratti, comprese le modifiche in corso d’opera, come è possibile dopo l’introduzione di nuove regole.
Dall’opera certosino emerge, innanzitutto, che come si sospettava, buona parte dell’attività avviene al di fuori dei mercati regolamentari. Questo è senz’altro vero per i tassi di interesse, un mercato attraversato negli anni scorsi da scandali che hanno coinvolto il gotha delle banche mondiali a partire da Deutsche Bank. Dall’indagine dell’Esma risulta che il 94% dei contratti che hanno riguardato operazioni per un valore nozionale di 282 mila miliardi sono avvenuti su mercati non sottoposti ad alcun controllo. Un dato che sale addirittura al 99% se consideriamo il mercato valutario (112 mila miliardi), il secondo in ordine di importanza. La musica non cambia se si guarda al mercato azionario o ai derivati sulle obbligazioni. Nel reddito fisso una nota particolare la merita i cds, cioè i certificati sulle scommesse sul rischio default di un Paese, il metodo più rapido e tutto sommato più conveniente per puntare sul crack dell’Italia. Il 97% di questi contratti viene gestito senza alcuna regola salvo quelle fissate da venditori e compratori, in piena opacità.
Insomma, con buona pace di chi esamina i mercati con un occhio ai valori fondamentali ed ai trend dell’economia, trova conferma il sospetto di trovarsi dentro un gigantesco casinò in cui alcuni grandi players hanno aperto posizioni assai al di là delle proprie disponibilità per ovviare alla discesa dei profitti più tradizionali. Il problema, come ha spiegato Nicolas Veròn del Bruegel Institute, uno dei grandi pensatoi europei, non sta tanto nei derivati in sé ma dai rischi che si possono generare «quando sono gestiti con incompetenza dalle banche, oppure se sono usati per attività di speculazione finanziaria». Dall’anno prossimo, secondo le nuove regole, il rapporto tra capitale ed attivi non potrà essere sotto il 3%. Ma, a giudicare dai numeri dell’Esma, non sono pochi gli istituti a rischio secondo queste parametro. Vedremo se Deutsche Bank sarà in grado di mettersi in regola in tempo, sfruttando la fase di bonaccia dei mercati che ha ridotto al lumicino la liquidità. Speriamolo, per il bene comune. Ma fa un po’ specie il rigore sui non performing loans a fronte della calma dei regolatori di fronte al fuoco che minaccia la santabarbara dei derivati.