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 2017  ottobre 23 Lunedì calendario

Un conto da oltre 20 miliardi in tre anni. Ecco il costo di un nuovo shock sui tassi

ROMA Un altro shock come quello del 2011, con lo spread che si impenna, potrebbe costare all’Italia 21,7 miliardi di euro in più nel prossimo triennio, dal 2018 al 2020. Lo scenario da incubo sarà ufficializzato oggi dall’Ufficio parlamentare di bilancio. E contenuto in una simulazione che l’organo indipendente, costituito nel 2014 e presieduto da Giuseppe Pisauro, ha preparato per presentare il nuovo modello di analisi e previsione della spesa per interessi. Per capire cioè quanto abbiamo speso e spendiamo per i titoli del debito pubblico che emettiamo. E quanto potremo spendere se le cose smettono di andare bene, come sin qui, grazie alla duplice azione della Banca centrale europea: tassi ai minimi storici e Quantitative easing in azione, il programma di acquisto di titoli pubblici e privati dei paesi dell’Eurozona che procede dal 2015 al ritmo di 60 miliardi al mese.
Per ora quello dell’Upb è un esercizio teorico. Lo spread italiano, la differenza tra i rendimenti dei Btp decennali italiani e tedeschi, è sotto controllo: 158 punti base alla chiusura di venerdì, con il titolo tricolore al 2,03%. Nulla a confronto dei 575 punti del novembre 2011, nel pieno della bufera politica cambio di governo da Berlusconi a Monti – ed economica, con quattro drammatiche manovre nel solo mese di agosto. Ma si sa, il vento può cambiare. Il presidente della Bce Mario Draghi si prepara, forse già al termine della riunione di giovedì prossimo, ad annunciare un dimezzamento del Qe, da 60 a 30 miliardi già dal prossimo gennaio e per nove mesi, sino al settembre 2018. E a prefigurare un rialzo dei tassi, molto più lento però, dal 2019 in poi.
L’ombrello protettivo si chiude, dunque. E per l’Italia potrebbe tornare a piovere forte, perché nel frattempo la nuvola del debito si è ingrossata di 16 punti: dal 116% dell’annus horribilis 2011 al 132% del Pil nel 2016. Se a questo si aggiunge il fulmine di elezioni politiche dall’esito ballerino, con prospettiva di ingovernabilità, la tempesta perfetta rischia di compiersi davvero: agenzie di rating che bocciano l’Italia, speculazione in azione, titoli venduti a piene mani, tassi che schizzano, spread impazzito.
A leggere grafici e tabelle dell’Upb si capisce che il primo anno del possibile shock sarebbe tutto sommato gestibile con una manovra senza sconquassi: “solo” 3,1 miliardi di spesa per interessi aggiuntivi. Ma dal secondo anno (7,7 miliardi) e con il terzo (10,9 miliardi) la situazione diverrebbe insostenibile. Un aggravio da 1,2 punti di Pil sarebbe fatale a un Paese ancora in convalescenza, appena uscito dalla crisi più grave dal Dopoguerra. Ecco dunque che dai numeri pare emergere un avviso implicito alla politica: non giocate con alleanze e trucchetti, il Paese ha bisogno di stabilità.
D’altro canto, bisogna pur fare i conti con il fatto che l’Italia necessita di 400 miliardi di debito ogni anno e che il costo di questo debito (gli interessi pagati sui titoli a breve e lunga scadenza) nel 2016 è stato di 66,3 miliardi contro gli 83,6 miliardi del 2012. Anche meglio del 2010, anno pre-crisi, quando si viaggiava a quota 68,8 miliardi. Proprio grazie alla Bce. In questo senso, le simulazioni dell’Upb fanno riflettere: lo shock da 21,7 miliardi in tre anni è insostenibile. E anche ipotizzando un rialzo fisso di 100 punti base nello spread – ipotesi di scuola, meno realistica rispetto all’altra, laddove lo spread è differenziato come fu nel 2011 a seconda delle scadenze dei vari titoli del debito pubblico, con picchi anche di 200 punti extra – non si andrebbe tanto per il sottile: un mattone da 12,9 miliardi in tre anni.
Nessuno auspica un ritorno al passato. La lezione del 2011 basta e avanza. Ma certo fare ora i conti di quello che fu ed in parte ancora è, mette i brividi. Sempre l’Upb calcola quanto ci è costata la Grande Crisi: 47,2 miliardi dal 2011 all’anno scorso, con un conto ancora salato nel 2016 (7,6 miliardi) sebbene decrescente.
La cifra si ottiene applicando al modello un’ipotesi controfattuale: cosa sarebbe successo se anziché l’impennata dello spread a 575 del 2011 avessimo avuto un Qe anticipato di 4 anni? Avremmo risparmiato 47,2 miliardi. Due manovre e mezzo. Meno lacrime e meno sangue per tutti. Ci saremmo forse risparmiati manovre di emergenza. O almeno le avremmo fatte con più gradualità, senza gravi incidenti di percorso. Come la vicenda degli esodati ci insegna.