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 2017  ottobre 23 Lunedì calendario

Il burro manca, la Francia non ci crede

Nei supermercati di Francia da qualche settimana si fa fatica a trovare il burro, che è come se in Italia scarseggiassero l’olio di oliva o la pasta. Dotati di maggiore autoironia di quanta siamo soliti riconoscergliene, i francesi ci scherzano su. Per esempio con il cortometraggio «Pénurie» che su YouTube descrive la drammatica situazione in Bretagna: rapine nei ristoranti a caccia delle ultime porzioni di burro «demi-sel», una piccola fetta di Kouign Amann (il burrosissimo dolce locale) aggiudicata all’asta per 29 mila 600 euro, spacciatori che abbandonano l’ecstasy e si mettono a vendere panetti di burro Président. La situazione è paradossale perché la Francia è da sempre uno dei maggiori produttori mondiali di latte (dopo la Nuova Zelanda) e di burro, e la penuria sta facendo salire pure i prezzi di croissant (da 1 a 1,10€) e brioches. Alimenti centrali nell’identità nazionale, dalla frase celebre di Maria Antonietta all’espressione francese per «volere la botte piena e la moglie ubriaca», che qui diventa «volere il burro e i soldi del burro» appena venduto. Difficile risolvere la crisi perché è dovuta a molte cause globali, indipendenti e concomitanti: la marcia indietro degli scienziati che dopo avere per decenni demonizzato il burro hanno stabilito che non fa così male anzi; la copertina di «Time» del 2014 che quindi decretava «Eat butter»; l’aumento del consumo in tutto il mondo e anche in Francia (del 5%); l’esplosione della moda alimentare occidentale nella classe media cinese, che si è scoperta golosa di croissant oltre che di bordeaux; la fine del sistema delle quote latte in Europa; la Nuova Zelanda che ha ridotto le esportazioni; il prezzo del burro all’ingrosso che è passato da 2500 euro alla tonnellata nel 2016 a 8000 euro l’estate scorsa. Il risultato è che persino in Normandia, terra di mucche e cavalli, latita il nuovo «oro giallo».