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 2017  ottobre 19 Giovedì calendario

«Vincere senza essere al massimo». Il segreto di Tania Cagnotto per la perfezione. Intervista

S piegare l’istante in cui il corpo e la mente sono sincronizzati sulla perfezione e pronti a vincere con il pancione fa uno strano effetto e infatti Tania Cagnotto non ha ancora preparato il discorso che farà stasera al Festival della Scienza. Insieme con Stefano Baldini traccerà «The zone», il punto più prossimo alla condizione ideale che un atleta possa raggiungere, il Nirvana dello sport.
Lei nei tuffi si è tolta ogni soddisfazione possibile. Quando è arrivata allo stato di grazia?
«Tardi perché purtroppo per ognuno questa fantomatica zona della perfezione è un posto diverso. Il picco del corpo che magari non coincide con quello della testa e la sintesi di ogni dettaglio necessario al trionfo è un processo infinito».
Alle Olimpiadi di Rio, chiuse con due medaglie, era al meglio?
«Sì, ma il bello è che io ero convinta di esserlo quattro anni prima, a Londra. Invece, se guardo adesso le immagini, non avevo una bella cera e lo capivano anche le avversarie. Ero tirata allo spasimo, tanto che il minimo imprevisto mi poteva devastare ed è successo».
Quindi quella non era the zone.
«Era la brutta copia, tanta preparazione senza convinzione. Da lì ho messo in piedi la squadra con nutrizionista, psicologa, preparatore atletico, tecnico, supervisore. Sì, lo so, sono ovvietà, ma vi assicuro che questo approccio è naturale per tutti tranne che per l’Italia. Io ho dovuto pretendere tutto ciò e ho avuto la forza di farlo solo a quel punto della mia carriera».
Si può avere successo senza essere al massimo?
«Certo, ma non è una situazione ripetibile a comando e non vale a tutti i livelli. Ai Mondiali del 2011 ci sono arrivata con un polso quasi rotto e sono salita sul podio. A volte conoscere i limiti spinge a trovare risorse, a non sbavare dove sai che devi rendere, però è più facile centrare l’obiettivo al meglio. Solo che il meglio è sfuggente e non lo puoi aspettare in eterno».
Ha cominciato da bambina, ha continuato oltre i 30 anni: la perfezione si è spostata nel frattempo?
«Sono cambiati pure i mezzi per raggiungerla. Per me rivedere i tuffi sull’iPad in gara ha fatto molta differenza».
Uomini e donne hanno difficoltà diverse per raggiungere il top?
«L’uomo grazie al testosterone può mantenere la forza, io dovevo fare pesi fino a due giorni prima della gara. Potrei dire che loro hanno più problemi di concentrazione ma è meno scientifico».
Una vita a cercare il controllo e ora che aspetta un figlio lo ha dovuto abbandonare. Che effetto fa?
«Certe mattine nel dormiveglia mi tocco la pancia e prima di ricordare che sono incinta mi chiedo “ma come fai a esserti gonfiata così?”. Sono talmente abituata a individuare i campanelli d’allarme che ora che suona tutto ogni tanto mi dimentico che non sto preparando le Olimpiadi».
Il che le ha fatto venire dei dubbi sul ritiro.
«Ero molto convinta. Ora non lo sono più, magari è la gravidanza che gioca brutti scherzi o quel martello di Francesca Dallapé, la mia compagna di trampolino, che ogni giorno mi tormenta “vedrai quando sei mamma che voglia di riprendere che ti torna”. Vediamo, dico solo che prima era una porta chiusa adesso non più. Per fortuna non ci devo pensare subito, nasce a fine gennaio. Se ne riparlerà».