Il Sole 24 Ore, 20 ottobre 2017
Federal Reserve, in lizza due colombe e tre falchi
Donald Trump si appresta a decidere sul nuovo presidente della Federal Reserve. L’ultimo incontro informale con gli “aspiranti” – quello con la chairperson uscente Janet Yellen – è rimasto avvolto nel segreto: è avvenuto a porte chiuse in serata alla Casa Bianca. Ma i finalisti dichiarati sono ormai cinque: la squadra è composta, accanto alla colomba di politica monetaria Yellen, da un conservatore moderato, Jerome Powell, e da falchi con artigli più o meno affilati, Kevin Warsh e John Taylor. Buon ultimo è Gary Cohn, capo-consigliere economico dell’amministrazione. Una scelta, ha detto Trump insinuando una suspense da show business, sarà annunciata entro il suo viaggio asiatico del 3 novembre.
L’alta posta in gioco – chi dirigerà la Banca centrale dal prossimo febbraio, previa approvazione del Congresso – si riflette nelle scommesse incerte degli osservatori. Le chance dei finalisti oscillano quotidianamente: ieri tra il 42% di Powell e il 20% di Yellen, con Taylor e Warsh nel mezzo. Staccato solo Cohn, dato al 7% dai bookmaker. Segno rivelatore di quanto la nomina sia tra le più delicate e gravide di conseguenze per la giovane presidenza, ben più di tanti ministri: il ruolo chiave del plenipotenziario della politica monetaria, per l’outlook di economia e mercati, è stato dimostrato ripetutamente anche di recente. E rimane ora tanto più valido: l’andamento incoraggiante se non brillante dell’espansione – crescita attesa al 2,7% nel terzo trimestre, disoccupazione ai minimi del 4,2% e scarsa inflazione – fa da contraltare all’impasse di politica economica sofferta da Trump, alle prese con negoziati sul budget e ambiziose riforme delle tasse – sgravi per le famiglie e tagli dell’aliquota aziendale al 20% dal 35% – che potrebbero tardare.
A complicare la partita tra i finalisti è una miscela di fattori, personali e politici: le diverse doti; il desiderio della Casa Bianca d’una strategia accomodante della crescita e che eviti traumi ma che piaccia al partito repubblicano e sia affiancata da deregulation; la tendenza di Trump ad agire d’istinto. Ad oggi il Presidente non ha scoperto le carte, affermando di stimare i cinque candidati. Compresa Yellen, che a 71 anni porta in dote grande cautela sul rialzo dei tassi d’interesse e attenzione a non ostacolare piena occupazione e aumenti salariali, obiettivi cari a Trump quanto i continui record di Borsa. Meno amata è però la sua difesa di regolamentazione e supervisione nella finanza. Rimane inoltre il peccato originale della nomina da parte del predecessore alla Casa Bianca, il democratico Barack Obama, nonostante Trump abbia ritirato le accuse a Yellen di essere “partitica”.
Kevin Warsh è il volto fresco, 47 anni, un passato nella finanza a Morgan Stanley ma anche già membro del vertice della Fed nel 2006, durante la crisi. È considerato un falco contrario alle politiche non convenzionali di Quantitative Easing sposate dalla Fed e adesso in fase di solo graduale rientro. Dalla sua ha la dinastia di Estee Lauder – la moglie Jane è una erede – da sempre vicina a Trump.
Il 64enne Jerome Powell vanta gradi di veterano, esponente del vertice Fed dal 2012. A darlo al momento per favorito sono le credenziali di conservatore moderato, che sa lavorare nello stile consensuale della Fed. Ha l’appoggio del Segretario al Tesoro, Steven Mnuchin. E accanto a inizi nel settore privato sempre amati da Trump, la sua carta migliore è la promessa di stabilità alla Banca centrale pur in presenza d’una svolta di leadership.
John Taylor ha al contrario il fascino del brillante accademico. Avrebbe impressionato Trump e ancor più il vicepresidente Mike Pence. Docente a Stanford, al suo attivo vanta la Taylor Rule, influente quanto controversa formula di politica monetaria che, sulla base di inflazione, occupazione e output, raccomanderebbe oggi tassi d’interesse ben più elevati degli attuali. Vanta anche un passato incarico nell’amministrazione di Bush padre, da responsabile per gli affari internazionali del Tesoro. Ma una sua nomina sarebbe tra quelle di maggior rottura, per filosofia: la Fed ama un approccio “discrezionale”, non le formule.
Le chance del 57enne Cohn, ex delfino di Goldman Sachs, sono state al contrario azzoppate dalla politica. Un tempo candidato ideale per vicinanza a Trump, prestigio a Wall Street e pragmatismo, si è scontrato con il Presidente sulla crisi di Charlottesville, dove ha preso le distanze dalla debole condanna da parte della Casa Bianca di neonazisti e suprematisti bianchi. Resta il paladino dell’amministrazione nella campagna di riforma delle tasse, ma potrebbe aver perso i favori di Trump per una “promozione” alla Fed.