Libero, 19 ottobre 2017
L’Ue non vuole far sapere come spreca soldi
Oggi l’Unione europea finisce dietro le sbarre. Imputata davanti alla Corte di giustizia dell’Ue. L’accusa è: mancanza di trasparenza. Perché, nonostante ventinove ricorsi presentati da altrettanti giornalisti in rappresentanza dei vari Paesi europei, si è sempre rifiutata di pubblicare nel dettaglio le note spese dei 751 deputati dell’Europarlamento. Alle domande di accesso alla documentazione, Strasburgo ha sempre opposto un “niet”. Così il pool di giornalisti, rappresentati da un legale d’eccezione la slovena Nataša Pirc Musar, avvocato anche della first lady americana Melania Trump si è rivolto alla Corte di giustizia. Oggi ci sarà l’udienza, ma il verdetto è atteso nel 2018.
Se la Corte desse ragione ai giornalisti, il Parlamento Ue, che finora si è trincerato dietro la privacy, sarebbe costretto a rendere pubblica la documentazione sul modo in cui i deputati spendono gli oltre 70 milioni di euro che ogni anno ricevono, in aggiunta al loro stipendio, per affitti di uffici, fatture telefoniche, alberghi, pasti, collaboratori e trasferte.
Strasburgo ha alzato un muro.
Nel 2016 ha addirittura risposto di non avere alcun documento su come i parlamentari spendano i 4.300 euro che ogni mese incassano per le spese generali, trattandosi di un rimborso forfettario per l’affitto di uffici e per le fatture telefoniche. Ma proprio questa risposta, ha ribattutto il legale dei giornalisti, «già di per sé mostra un’enorme falla nel monitoraggio della spesa pubblica da parte del Parlamento europeo».
Oltre al forfait da 4.300 euro, ogni mese i parlamentari ricevono fino a 24mila euro per il personale e ulteriori 4.200 euro all’anno per il rimborso delle spese per i viaggi tra Bruxelles e Strasburgo. In più, ci sono altri 306 euro al giorno per pagare alberghi e pasti. Somme cui va affiancato il salario mensile, di circa 8.500 euro.
Ad oggi, nonostante il pressing dei giornalisti che si riconoscono nel progetto sulla trasparenza Meps Project solo 53 deputati europei hanno accettato di pubblicare i loro rendiconti. La Commissione, dopo una lunga battaglia legale promossa da Access Info, un’organizzazione “non profit” spagnola che si batte per il diritto di accesso all’informazione, ha accettato di rivelare le spese di tutti i suoi 28 commissari, ma solo quelle relative ai viaggi. Quanto all’Europarlamento, finora tutti i tentativi per allentare la morsa dell’omertà sono andati a vuoto. Nel 2016, l’Aula aveva approvato l’introduzione di una «completa trasparenza». Ma poi l’ufficio di presidenza, su sollecitazione dell’ex presidente socialista Martin Shulz, il 12 dicembre 2016 bocciò la proposta perché avrebbe comportato «costi eccessivi», sproporzionati rispetto agli scopi della richiesta.
Ad aprile di quest’anno è andata in scena l’ultima resistenza. Tutto è successo quando in Aula si è trattato di votare su un emendamento dei Verdi che imponeva ai deputati, in nome della trasparenza, di creare un conto separato per tenere traccia delle varie indennità mensili. Proposta bocciata dall’assemblea in nome del rispetto del regolamento del Parlamento europeo e del «controllo degli organismi preposti», ovvero l’ufficio anti-frode Olaf.
Insomma, ogni scusa è stata buona, finora, per non rispondere. Ma adesso entrano in scena i giudici del Lussemburgo. «Basta nascondersi dietro la privacy: sono soldi dei contribuenti europei».