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 2017  ottobre 13 Venerdì calendario

Vanni Oddera: sono stato un diavolo. Ora vi faccio volare

PONTINVREA (SAVONA) Di lui si fidano ciecamente. E perché?, è la prima domanda che viene da fare, visto che Vanni Oddera ha un curriculum da «figlio di Satana» (l’espressione è sua). Non c’è ragazza di Pontinvrea, il paesino ligure con ottocento abitanti in cui è nato e vive, che non sia stata con lui o che non conosca qualche sua ex: «Di donne, nella mia vita, ne conto più di mille». E di anni, ne ha 37. «Sesso, moto e rock’n’roll: questo sono io», dice Oddera, uno che esibisce verità e bicipiti con la stessa disinvoltura. La droga no: quella manca al curriculum – altrimenti perfetto – di Maledetto. Ma ci sono le donne («mi prendevo quelle che volevo»), le serate alcoliche, i ricordi fumosi («volevo far bordello»), il rock (ha pure messo su con gli amici un locale a Varazze, Maiali con le Ali). E ovviamente i motori. Campione mondiale di freestyle motocross – la libreria invasa dai trofei – lo vedi capovolgersi in aria ma dice che «non mi piace mica vincere, non è per quello che rischio la vita: ho detto basta alle competizioni, con quelle robe lì devi rientrare negli schemi, star nelle regole, far quello che vogliono i giudici. A me invece piace fare quello che mi va, e nel modo che dico io». Perché fidarsi di uno così?, quindi.
Eppure in tanti gli si aggrappano. Stretti, con le unghie fino quasi a strappargli la giacca, sulla sella della moto mentre l’attrito col vento prova a sbalzarti il sedere lontano. Seduti con lui, uno alla volta. Molti sono bambini o adolescenti, alcuni hanno pochi mesi ancora da vivere, altri semplicemente sono... «Ah no,eh! Quando l’ho conosciuto, il Vanni, e ha cominciato con questa storia del dare una mano ai “meno fortunati”, non gliela ho mica mandata a dire» irrompe Ilaria Naef, 23 anni, pure lei spericolata: sulla sua sedia a rotelle sa fare salti e giri della morte. «Sai come gli ho risposto?“Sono meno fortunata ora che conosco te!“(ride). Poi mi ha detto: “Apri le gambe“(ride ancora). “Sali, che ti faccio fare un giro in moto”. E mica me lo sono più schiodato di tomo: ora ci alleniamo insieme a fare i salti e siamo amici». Pure Giorgia e Dimitri e Rosi e un altro lungo elenco di ragazzi vanno a pran – zo col Vanni, o a cena, ma innanzitutto salgono in moto. I pediatri del Gaslini di Genova a volte chiamano loro stessi Oddera, gli segnalano qualcuno da portare in sella, lo fanno magari quando lo sguardo di un ragazzino malato di tumore si appanna, quando il tempo da vivere o la gioia stanno prendendo la via di fuga.
E allora meglio tentare “col Vanni“, con questa cosa che Oddera chiama «rubare tempo alla malattia» oppure “Mototerapia“, ma che – considerato che è uno come lui a inventarsela – non ha regole se non l’istinto. Eppure ce una strana alchimia tra questo ragazzo cresciuto e i bambini. Rosi, per esempio, «è spastica» dice sua madre, ma gli lancia certe occhiate che fulminano quando lui le chiede se vuol salire in moto oppure no. «E me lo chiedi?» sbotta lei. «Mica me la faccio sotto come mia mamma!».
Oddera è uno che se l’è fatta sotto per tredici anni. Tredici anni a fare la pipì a letto, almeno dieci a succhiare il ciuccio. Poi la svolta. Diventare «un indomabile, non avere paura di nulla». E poi ancora un’altra svolta, la seconda, quella che è valsa un libro, Il grande salto (Ponte alle grazie, scritto in collaborazione con Matteo Nucci), un sottotitolo che è una dichiarazione d’intenti: Ovvero come ho capito che l’amore per gli altri rende felici. Esce in libreria oggi ed è l’autobiografia di un animale raro, «un bastian contrario»: nato con il cuore a destra e con tutti gli organi invertiti in modo speculare rispetto al normale (condizione congenita che si chiama situs inversus), Vanni Oddera cresce con il nonno e passa l’infanzia tra gli alberi («io sono stato un bambino di bosco»), giocando coi cinghiali, facendosi male, pescando, allenando l’olfatto e soprattutto l’istinto. Rischiando. Con «l’ansia costante di distruggere barriere e raggiungere qualcosa che non era alla mia portata».
Tra quei desideri c’è la moto, oggetto proibito a lungo e – una volta conquistato -mai tradito.«Praticamenteun prolungamento del corpo». E non è che le occasioni per mollare o rallentare manchino: «Quella volta che son caduto a testa in giù, la memoria m’ha abbandonato per quattordici ore» racconta lui, che con un perone rotto ha continuato «imperterrito a andare in moto.Vabbè, fossi caduto, sarei rimasto zoppo a vita; ma l’importante per me I era andare in moto». Con lei ha girato il mondo, ed è in Russia per l’esattezza che o ha fatto «il grande salto».
«Tutta colpa del mezz’uomo», così lo chiama Vanni. «Avevo appena fatto un’esibizione di motocross e avevo un solo programma per la notte: fare follie. Sesso, soldi, bordello, avevo e volevo tutto. Chiamo un taxi e questo tassista russo non capiva dove volessi andare: mi sono innervosito. Perciò mi sporgo in avanti, per guardarlo. Mi accorgo che non ha le gambe, che è seduto sul suo stesso piscio. AH’improwiso ridimensiono tutto, la mia vita, il suo senso». Nel 2009 Oddera chiama un amico che lavora in un centro per disabili e gli dice: «Perché non porti i ragazzi a vedere un allenamento, qui a casa mia, nel mio parco?».
Ma i ragazzi, loro vogliono salire. Così lui li asseconda, li porta in moto, comunica con loro mentre sono sulla pista. Quando scendono sono ammaliati, qualcuno come Dimitri arriva a sorridere dopo un anno passato a bocca stretta. «Si fidano ciecamente. Perché io, la morte, la sfido». C’è un modo infallibile che Oddera ha per conquistare tanto i bambini quanto le donne: l’istinto. «Far uscire il lato animale di chiunque». Quando sali con lui e ti porta a 240 chilometri all’ora, o a fare un giro di prova, «non hai nessuna certezza. La moto non è stabilità, non è agio: di ovvietà si muore. La moto è la sensazione di poter perdere tutto da un momento all’altro, e per questo, sentirsi vivo».
Poi vabbè, capita anche a Oddera di aver paura. C’è un altro Grande salto che nel libro non figura: è troppo recente. È l’happy end mancante e si chiama Jessica. «Lui era stato con molte mie amiche». «Lei mi disprezzava, pensava trattassi male le donne». Ma «mi son detta, c’è qualcosa di buono in quest’uomo, è una contraddizione». «Mi sono accorto di amarla quando in moto le ho preso la mano». «Gli ho chiesto di sposarmi». «A giugno ci sposiamo. Mica perché devo. Perché lo voglio!».
Francesca De Benedetti