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 2017  ottobre 18 Mercoledì calendario

Dallo stalking al «non te la do». Quando è lei a ricattare

Donne che odiano gli uomini. A fronte di maschi che abusano del loro potere per molestare donne, ci sono milioni di donne anche nel nostro Paese che esercitano violenza sessuale nei confronti dei maschi. Una percentuale enorme che stando allo studio condotto da un pool di professionisti (il presidente Fe.N.Bi Fabio Nestola, psicologi giuridici come Sara Pezzuolo, esperti di statistica e medici legali) per la Rivista di Criminologia, Vittimologia e Sicurezza colpisce addirittura il 18,7% della popolazione maschile, in sostanza quasi 4 milioni di italiani. 
In molti casi, ci dice il prof. Pasquale Giuseppe Macrì che ha coordinato lo studio, «abbiamo a che fare con donne datrici di lavoro che chiedono favori sessuali ai dipendenti maschi, per permettere loro di far carriera». Un ricatto alla Weinstein, ma a generi invertiti. «È una dinamica frequente non tanto nel mondo dello spettacolo, ma in uffici e imprese commerciali». 
L’alternativa alla costrizione sessuale è la deprivazione sessuale. «Sono numerosissimi gli esempi avverte Macrì, di donne che si negano ai loro uomini, perlopiù mogli ai mariti, sottoponendoli a ricatti tipo: se non obbedisci non facciamo l’amore. La violenza sta nell’imporre al partner la propria volontà, sottomettendolo e tenendolo in scacco. Le conseguenze possono essere depressioni, crisi di identità, crollo di autostima». 
Ma le donne sono in grado di sottoporre il maschio anche a violenze di natura psicologica, vere umiliazioni. «Si va dall’accusa di essere poco dotato in confronto al vecchio partner fino al paragone tra la propria condizione economica e quella del compagno. “Ce l’hai piccolo”, “non guadagni abbastanza” sono frasi che incidono nella psiche e lasciano ferite». Non mancano, seppure in percentuale più ridotta, casi di stalking subiti dai maschi, bombardati di sms o mail dalle ex: atti persecutori di cui sono vittima circa 2,5 milioni di uomini. 
Le violenze più ricorrenti sono quelle che si inseriscono in dinamiche familiari successive a separazioni o divorzi. «In questo caso la violenza consiste nel negare al proprio ex di vedere i figli o nel demolire o demonizzare la figura paterna agli occhi dei figli». L’uomo colpito non più solo in quanto maschio, ma anche in quanto padre. 
Pochissimi uomini tuttavia si rendono conto di essere vittime di violenze e molti evitano di dichiararlo perché ne va del loro status di figura forte all’interno della coppia. «Due su tre dice Macrì, rifiutano di ammetterlo e una percentuale ridottissima lo denuncia», rivolgendosi ad associazioni o ad avvocati. Non che il sistema in generale aiuti: in Italia esistono solo un paio di associazioni per difendere i maschi vittime di violenze (una di questa, Ankyra, è attiva a Milano) e i media sono poco propensi a parlarne al punto che, racconta Macrì, «diversi giornali e blog hanno attaccato la nostra ricerca». 
Ma la questione non è tifare per un sesso anziché per un altro. «Il punto è condannare sempre la violenza di una persona su un’altra. Se però ammettiamo l’esistenza di una violenza di genere, allora dobbiamo considerare che essa vale da ambo le parti».