Il Messaggero, 19 ottobre 2017
Il gasolio libico rubato e poi venduto in Italia. L’Isis e una società maltese dietro il business
PALERMO Fiumi di gasolio rubato dalla raffineria libica di Zawyia sono finiti per mesi sul mercato italiano ed europeo. Il business illegale milionario, che ha seguito la rotta solitamente percorsa dai trafficanti di uomini, è stato scoperto dalla Guardia di Finanza di Catania. A gestirlo un’organizzazione criminale transnazionale che avrebbe potuto contare sulla complicità dei vertici della società Maxcom Bunker Spa, ditta che si occupa di commercio all’ingrosso di prodotti petroliferi, su esponenti di Cosa nostra catanese. E su un nome noto agli inquirenti che indagano sulla tratta dei migranti tra la Libia e la Sicilia: Ben Khalifa, detto il capo, boss di una milizia libica che controlla la città di Zwara ritenuto uno dei principali trafficanti di uomini del nord-Africa.
L’inchiesta, condotta dallo Scico e coordinata dalla direzione distrettuale antimafia di Catania, ha portato all’arresto di due maltesi, due libici e quattro italiani. Tre persone sono ancora ricercate, mentre un’altra è morta nel corso delle indagini. Ma l’elenco dei protagonisti della vicenda è lungo: sarebbero oltre 50 gli indagati.
GLI AFFARI
Il volume di affari dell’organizzazione criminale era a sei zeri: in Italia tra il giugno del 2015 e il giugno del 2016 sarebbero arrivati oltre 82 milioni di chili di gasolio libico trafugato per circa 27 milioni di euro e un valore industriale di mercato di oltre 51 milioni. Somme considerevoli che, secondo il Procuratore di Catania Carmelo Zuccaro, potrebbero essere finite anche nelle casse dell’Isis.
A dare il via agli accertamenti della Finanza è stata una denuncia dell’Eni che ha notato anomalie in alcuni impianti di distribuzione del catanese. Secondo gli investigatori, il carburante veniva rubato dalla raffineria libica della National Oil Corporation, la compagnia nazionale petrolifera che ha sede a Zawyia, a 40 km ovest di Tripoli, trasportato via mare in Sicilia anche grazie alla protezione militare di Khalifa, e successivamente smerciato in Italia e nel resto d’Europa. Il gasolio sarebbe finito anche alle pompe di benzina e venduto agli ignari automobilisti. Nell’inchiesta sono coinvolti infatti alcuni titolari di rivendita di carburante della provincia di Catania.
LA BANDA
La banda avrebbe trafugato e commercializzato gasolio destinato sostanzialmente al rifornimento di unità navali. Miscelato in uno dei depositi fiscali della Maxcom di Augusta, Civitavecchia e Venezia, sarebbe poi finito sul mercato italiano, francese e spagnolo a un prezzo simile a quello del combustibile legale, pur essendo di qualità inferiore.
DUE ORGANIZZAZIONI
Due le organizzazioni che lavoravano parallelamente: la prima assicurava che il gasolio lasciasse l’Africa per raggiungere Malta con un trasbordo in mare tramite rifornimenti ship to ship. La seconda faceva in modo che da Augusta arrivasse fino a Mazara del Vallo per poi essere distribuito capillarmente presso i distributori compiacenti. In carcere tra gli altri sono finiti l’amministratore delegato della Maxcom Bunker S.p.a., Marco Porta, il libico Ben Khalifa, fuggito nel 2011 dopo la caduta del regime di Gheddafi dal carcere dove stava scontando una condanna a 15 anni per traffico di droga, il catanese Nicola Orazio Romeo, che alcuni pentiti accusano di collusione con il clan mafioso degli Ercolano.
Annuncia un’indagine interna la Maxcom che, però, attraverso il suo presidente si dice «estranea alle accuse».