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 2017  ottobre 18 Mercoledì calendario

APPUNTI PER GAZZETTA - IL PD NON VUOLE VISCOREPUBBLICA.ITROMA - "Quando si tratta di questioni che hanno a che fare con il risparmio dei cittadini e con la stabilità del sistema bancario bisogna sempre usare il massimo della prudenza possibile

APPUNTI PER GAZZETTA - IL PD NON VUOLE VISCO

REPUBBLICA.IT
ROMA - "Quando si tratta di questioni che hanno a che fare con il risparmio dei cittadini e con la stabilità del sistema bancario bisogna sempre usare il massimo della prudenza possibile. E questo significa che di mozioni di questo tipo meno se ne fanno e meglio è": lo ha detto il presidente dei senatori Dem, Luigi Zanda, conversando con i cronisti a Palazzo Madama a proposito della mozione di ieri del Pd sulla Banca d’Italia.

Ma il caso Bankitalia, il giorno dopo, continua a scuotere il Pd. Col segretario che difende la scelta del gruppo alla Camera di  "sconfessare" il Governatore in carica Ignazio Visco, e il partito, ma non solo, che invece si divide. "Mi occupo in verità di altre cose. Non devo occuparmi delle troppe cose che ogni giorno capitano e che sono deplorevoli" ha commentato Giorgio Napolitano, presidente emerito della Repubblica.

Matteo Renzi tiene il punto e motiva ancor più chiaramente il peso della mozione Pd approvata ieri e su cui è calato da subito il gelo del Quirinale: "Doveva rimanere agli atti che il Pd non si assume alcuna responsabilità sulla conferma del Governatore Ignazio Visco". E insiste: "Se qualcuno vuol raccontare che in questi anni nel settore banche non è successo niente, non siamo noi, perché è successo di tutto. È mancata evidentemente una vigilanza efficace. C’è bisogno di scrivere una pagina nuova. Ci sono stati dei manager che hanno preso soldi e non hanno lavorato con professionalità, ci sono persone che hanno visto venir meno i loro crediti ed è toccato a noi intervenire per rimediare ai disastri causati da altri e ciascuno si assumerà la sua responsabilità".

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E nonostante Renzi continui a ripetere che "non c’è alcuno scontro tra il governo e il Pd. Ieri abbiamo votato una mozione che il governo ci ha chiesto di modificare e che noi abbiamo cambiato con logica di collaborazione", anche il ministro dello Sviluppo economico, Carlo Calenda, è amareggiato: "Non commento per carità di patria", ha detto a margine del question time alla Camera e della mozione anti-Bankitalia neanche il premier Gentiloni sarebbe stato a conoscenza.

Ai suoi Renzi ha raccontato di aver sentito Gentiloni solo nel primo pomeriggio, a dardo lanciato, e al segretario Pd il premier avrebbe suggerito di ammorbidire il testo dell’iniziativa parlamentare, così come poi è avvenuto. Che però non ha cambiato il senso complessivo dell’attacco a Bankitalia.

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Il partito scalpita. "Incomprensibile ed ingiustificabile", ha bocciato la mozione contro Visco Walter Veltroni. "Da sempre la Banca d’Italia - ha detto l’ex segretario dem - è un patrimonio di indipendenza e di autonomia per l’intero paese. Per questo mi appare un atto incomprensibile e ingiustificabile". "Sono parole che ascolto con rispetto" ha replicato il capogruppo del Pd alla Camera, Ettore Rosato, che però precisa: "Noi non vogliamo la testa di nessuno, sono materie di competenza del governo e in questo ci riconosciamo nelle parole del presidente Mattarella....ma non ci potevamo sottrarre dal dare un giudizio, non potevamo far finta che tutto andasse bene".
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"È necessario fare chiarezza nel gruppo Pd della Camera su quanto accaduto ieri", ha fatto sapere Andrea Martella, coordinatore della minoranza di Orlando. Serve quindi "un confronto aperto, un’assemblea" perché "il percorso con cui si è arrivati alla scelta non è stato del tutto lineare, come dovrebbe accadere su un tema delicato che coinvolge autonomia e indipendenza di Bankitalia ed il rispetto dei diversi ruoli istituzionali". "Dibattito in casa Pd? Non è una cosa nuova e affronteremo anche questa", ha minimizzato Rosato.

"L’entrata di ieri a gamba tesa si è dimostrata un autogol", così Bruno Tabacci, presidente di Centro Democratico vicino a Campo progressista di Pisapia, ai microfoni di RadioUno, "un errore che il presidente Mattarella ha rilevato. Con un cartellino rosso". Mentre Stefano Parisi, il Pisapia del centrodestra, si è schiera con Banca d’Italia: "Può avere commesso errori ma la sua indipendenza è un valore per il nostro sistema finanziario. Non può essere trattata con incursioni parlamentari".

Caustici i deputati M5s: "Il treno di Renzi è deragliato prima di partire, su Visco il gioco delle parti col governo è di una tristezza sconcertante. Il governatore ha colpe gravi nei crac bancari, noi siamo stati i primi a dirlo. Grazie a noi il dibattito è arrivato in parlamento".

LE ACCUSE DEL PD
MILANO - Il Pd ha presentato in aula alla Camera una mozione che punta a non rinnovare l’incarico del governatore di Bankitalia Ignazio Visco, il cui mandato scadrà a fine ottobre. Si impone dunque la linea del segretario Matteo Renzi, che da tempo lavora alla successione del governatore dopo gli scandali bancari dei mesi scorsi. Mozione che ha creato scompiglio e sconcerto in via Nazionale. E sembra che il premier Gentiloni ne fosse all’oscuro. Ecco il quadro sul meccanismo di nomina e sui poteri del governatore di Bankitalia e su quali sono i principali casi bancari esplosi negli ultimi mesi.

LA NOMINA E I POTERI DEL GOVERNATORE
La mossa del Pd è stata definita "irrituale" perché il Parlamento è formalmente escluso dal processo di scelta del governatore. Questa spetta infatti a un decreto del Presidente della Repubblica, che lo individua su proposta del Presidente del Consiglio dei Minstri - su deliberazione del Cdm stesso - sentito il parere del Consiglio superiore della Banca d’Italia. Lo stesso iter deve essere intrapreso in caso di revoca del mandato al numero uno di via Nazionale.

Dopo la riforma del 2005 la durata in carica del governatore e del suo direttorio è indicata in sei anni ed è possibile un solo rinnovo. In precedenza, non c’erano limiti temporali al mandato. Il direttorio (che si compone del governatore, del direttore generale - Salvatore Rossi - e dei tre vice - Fabio Panetta, Luigi Federico Signorini e Valeria Sannucci -) prende i provvedimenti che esplicano le funzioni di Bankitalia, a lei attribuiti dalla legge ("assicurare la stabilità monetaria e la stabilità finanziaria"). Delibera a maggioranza dei presenti con il voto decisivo del governatore in caso di parità.

LE ACCUSE (E LA DIFESA) A VISCO
La pressione intorno a Palazzo Koch è montata negli ultimi mesi, quando le molte crisi bancarie italiane sono venute al pettine. Nella prima versione della mozione del Partito democratico che ha di fatto sfiduciato Visco, poi sfumata per intercessione del governo, si leggeva infatti che le "ripetute situazioni di crisi o dissesto (...) avrebbero potuto essere mitigate (...) da una più incisiva e tempestiva attività di prevenzione e gestione delle crisi bancarie e di esercizio dei correlati poteri sanzionatori". Questa di fatto l’accusa di fondo, valida per tutte gli scandali bancari.

In una sorta di auto-difesa preventiva, Visco aveva inserito (a braccio) un passaggio sul ruolo della Vigilanza nelle crisi bancarie e una risposta implicita alle critiche già nel corso delle sue considerazioni finali della scorsa primavera. "La Banca d’Italia", ha detto in quell’occasione, "negli ultimi anni è stata criticata anche in maniera aspra, siamo stati accusati di non aver capito cosa accadeva o di essere intervenuti troppo tardi. Non sta a me giudicare, posso solo dire che l’impegno del direttorio è stato massimo". E ancora, rimarcava: "Non c’è stata piena consapevolezza anche al livello politico" dei rischi derivanti dalle norme sul bail in e della vendita, che era "del tutto legittima" secondo le norme, delle obbligazioni subordinate delle quattro banche finite in risoluzione. In poche parole, la politica non aveva capito che con il coinvolgimento degli obbligazionisti le crisi delle banche sarebbero usciti dai salotti della finanza per entrare in quelli della gente comune.

In quei giorni il governatore era finito già sotto il fuoco di Matteo Renzi, che poche settimane prima al Foglio palesava la sua avversione verso i vertici di Bankitalia e Consob dicendo delle problematiche bancarie: "Se c’è un motivo per cui sono contento che la legislatura vada avanti fino ad aprile 2018 è che avremo molto tempo per studiare i comportamenti di tutte le istituzioni competenti. Cioè, competenti per modo di dire". Allora, sosteneva sempre Renzi, non vedeva l’ora che la Commissione d’inchiesta parlamentare iniziasse a lavorare, cosa che però è stata tirata per le lunghe fino al debutto di queste ore. Chiara anche ieri la linea di difesa di via Nazionale, filtrata a caso-Visco scoppiato. In sintesi, con riferimento alla Vigilanza "in questi anni segnati dalla più grave crisi economica della storia moderna d’Italia", via Nazionale "ha difeso il risparmio nazionale limitando i danni. Questi non potevano non esserci, data la gravissima condizione dell’economia; alcuni casi di gestione bancaria cattiva o criminale, sono stati contrastati per quanto consentito dalla legge e, quando opportuno, segnalati alla Magistratura". In ogni caso, Bankitalia dice di "aver agito in contino contatto con il governo".

Ma quali sono i casi specifici di supposta mancata vigilanza che hanno portato all’avversione del Parlamento verso il vertice di via Nazionale? Le mozioni di quasi tutto l’arco parlamentare (anche quelle, respinte, delle opposizioni) puntano infatti ai casi di crisi bancarie esplosi con danni ormai irreparabili. Molti quelli che hanno agitato il mondo del credito italiano negli ultimi tempi, e con gravi strascichi. Secondo una stima pubblicata da Affari&Finanza pochi giorni fa, negli ultimi tre anni "una decina di istituti sono scomparsi, portandosi via 61,5 miliardi di euro (conteggio per difetto, che non comprende crediti d’imposta, erogazioni mancate, costi sociali degli esuberi ed altri effetti collaterali). Un terzo dei miliardi a carico dei contribuenti, il resto tra azionisti, obbligazionisti e banche concorrenti, che per evitare contagi hanno preferito metter mano al portafoglio, con i conferimenti al ramo volontario del Fondo interbancario e al Fondo Atlante".

Le quattro banche in risoluzione. Banca Etruria, Banca Marche, Carichieti e Cariferrara sono state il caso-miccia che ha fatto affiorare alle cronache il bubbone delle obbligazioni vendute a risparmiatori inadeguati a comprenderne i rischi, messo in moto la macchina dei salvataggi guidati dalle nuove norme europee e generato polemiche asprissime per il trattamento degli investitori, per le sue ripercussioni sociali (ci fu anche il suicidio di un pensionato) e per la presenza alla vicepresidenza dell’Etruria del papà di Maria Elena Boschi, sulla quale si sono puntate le accuse di conflitto d’interessi. Salvate sotto Natale del 2015 con urgenza dal governo Renzi, sono state divise in parte buona (finita a Ubi e Bper) e cattiva. Si può prendere il caso dell’Etruria come esemplificativo delle accuse di interventi tardivi sugli istituti. In sede civile, pochi giorni fa il liquidatore Giuseppe Santoni ha chiesto un risarcimento di oltre 400 milioni agli ex vertici per i danni causati dalla loro gestione: 37 persone, tra sindaci e diversi componenti dei tre consigli di amministrazione che si sono succeduti dal 2010 al 2015. Ma non è tutto, perché sul caso insistono quattro filoni d’inchiesta penale da poco riunificati, con 2.500 richieste di parti civili. La partita più importante è quella relativa alla bancarotta per il dissesto dell’istituto, che vede 22 ex dirigenti indagati. Tra questi non c’è Pier Luigi Boschi, coinvolto in un’altra inchiesta, sempre per bancarotta ma legata alla liquidazione concessa all’ex dg Luca Bronchi. Nella sua difesa sull’attività di vigilanza, audito nell’aprile 2016, Visco ha elencato le ispezioni mosse e ricordato che nelle quattro banche hanno portato a sanzioni per oltre 11 milioni, oltre che "tutti i rapporti ispettivi di vigilanza sono stati inviati per tempo all’Autorità Giudiziaria".

Le banche venete. Dopo il tentativo di salvataggio via Fondo Atlante, Popolare di Vicenza e Veneto Banca sono finite nell’orbita di Intesa Sanpaolo in un’operazione i cui costi (e rischi) si scaricano sullo Stato. La storia delle due banche venete è parallela: Vincenzo Consoli è stato per 18 anni il dominus incontrastato dell’istituto di Montebelluna, Luigi Zonin per 19 anni il re di Vicenza. Simile la parabola: grandeur locale, ma ottenuta grazie alla concessione di prestiti - spesso ad amici e senza valutazioni obiettive - che sono nel tempo diventati sofferenze insostenibili per i bilanci dell’istituto. Con il vizio per altro di raccogliere patrimonio finanziando gli stessi soci che l’avrebbero sottoscritto, in un circolo che prima o poi sarebbe esploso. Così come il valore del titolo in mano agli azionisti: nel 2014, secondo le stime interne, il titolo della Vicenza era valutato 62,5 euro e quello di Veneto Banca 39,5. Due anni dopo, il Fondo Atlante ricapitalizzerà entrambe le banche a 10 centesimi per azione, lasciando sul lastrico 88mila soci di Consoli e 111mila di Zonin. Secondo Bankitalia, ad alzare il velo su queste situazioni ora nel mirino della magistratura sono state proprio le ispezioni di via Nazionale. Secondo i detrattori (e i soci), queste hanno comunque difettato di tempestività.

Monte dei Paschi. L’ex banca di riferimento nella roccaforte senese del Pd, per anni sotto il diretto controllo della Fondazione di nomina politica, è ora in mano al Tesoro al 70%, dopo un aumento di capitale (con aiuto di Stato da 5,4 miliardi) e con la conversione dei titoli in mano a soci e obbligazionisti, con un ristoro per il pubblico indistinto dei bondisti subordinati. Anche in questo caso, il bilancio della banca si è deteriorato per le operazioni del passato (la maxi-acquisizione di Antonveneta e la presenza di contratti derivati in pancia all’istituto) e l’accusa agli ex vertici è di aver ostacolato la Vigilanza. Bankitalia è da tempo nel mirino per la gestione della crisi del Monte: già il discorso al mondo finanziario del 2013 era stato a lungo dedicato a quel problema e Visco rispondeva alle critiche sostenendo che l‘intervento della Banca centrale "ha consentito di preservare la stabilità della banca in un contesto di gravi e crescenti tensioni finanziarie, migliorandone il grado di capitalizzazione e avviando a normalizzazione la precaria situazione della liquidità". Nel marzo scorso, quattro anni dopo, il Monte non era ancora fuori dal guado e per Visco, "si è trovato in una situazione perversa".

Bim, Tercas, Bari. Uno degli ultimi casi tornati sulla scena è quello della Banca Intermobiliare, per il quale - ha rivelato il Fatto Quotidiano - la Procura di Roma ha aperto un fascicolo a seguito di un esposto dell’ex ad Pietro D’Aguì, senza indagati né ipotesi di reato, sul comportamento della Vigilanza all’epoca dell’acquisizione di Bim da parte di Veneto Banca, a cavallo tra 2010 e 2011. In quell’occasione, da Palazzo Chigi avevano fatto filtrare la fiducia "incondizionata" ai vertici della Banca d’Italia, e garantito che non avrebbe influito sulla scelta per il prossimo mandato. Altro caso spinoso quello di Teramo, che chiama in causa la Tercas e la Popolare di Bari, come parte lesa. Di pochi giorni fa la decisione del Tribunale civile de l’Aquila di condannare a pagare gli ex ad e direttore generale svariati milioni alla popolare pugliese, che aveva rilevato l’istituto abruzzese per salvarlo dal fallimento con la benedizione di Bankitalia. Sul buco di Tercas indaga la procura di Roma, intanto dalla sentenza civile sono emerse le modalità di "spolpamento" della banca, tra prestiti e affidamenti facili ad aziende amiche e anche a familiari diretti. Dall’Abruzzo a Bari, dove i soci sono sul piede di guerra perché hanno messo in portafoglio azioni dell’istituto difficilmente monetizzabili e che si sono via via deprezzate e gli inquirenti hanno messo in dubbio sia i bilanci che la tenuta dell’istituto di credito. L’acquisizione di Tercas ha comportato una serie di aumenti di capitale che hanno disperso il valore del titolo, anche se sul punto gli accertamenti di Bankitalia riguardo lo shopping e le perdite in bilancio non hanno evidenziato profili di rilievo sanzionatorio. Lo stesso Mef ha risposto a un’interrogazione di Giovann Paglia (Si) che l’ultimo bilancio si è chiuso in utile e l’indice di patrimonializzazione è buono, ma ciò non placa coloro che hanno in pancia le azioni della Popolare.

GRECO
MILANO - Nei controlli sulle banche c’è stato "una sorta di scarica barile": è quanto ha denunciato il procuratore capo di Milano, Francesco Greco, in audizione alla commissione bicamerale di inchiesta sulle banche. Greco ha detto che "della riforma delle autorità di vigilanza si parla da molto tempo, è difficile districarsi: bisogna decidere chi deve fare certe cose e chi no, perché c’è anche un accavallamento con la Bce, c’è una sorta di scaricabarile. Il sistema non è chiaro, per districarsi tra le autorità di vigilanza tra poco ci vuole un Tom Tom".

Le sue affermazioni arrivano nel mezzo del caso-Visco, il governatore di Bankitalia di fatto sfiduciato da una mozione del Pd: un atto che ha messo in subbuglio le istituzioni politiche e finanziarie, riportando alla cronaca i casi di fallimenti bancari negli ultimi mesi e rendendo ancor più necessario un lavoro serio da parte di una commissione tanto tormentata e criticata.

Le parole di Greco non suonano certo come un supporto alla Vigilanza: "Il sistema dei controlli non è del tutto efficiente e chiaro". Secondo Greco, "spesso c’è stato un approccio prudente" da parte della Vigilanza. Atteggiamento, secondo il magistrato, spesso giustificato dalla necessità di evitare danni sistemici. La "mia esperienza però è che quando c’è il reato penale bisogna avvisare le procure perchè se poi lo scopro da solo è ancora peggio". Denunciando un quadro normativo insufficiente, il procuratore ha chiesto la realizzazione di "un codice penale bancario" per la tutela del risparmio, come vuole la Costituzione, e la funzione pubblica delle banche.

Non si è sottratto poi a una battuta sulle richieste in sede europea di accelerare la pulizia dei bilanci bancari rispetto alle sofferenze: "Il prezzo dei crediti deteriorati lo
fa l’acquirente e più si accelera il processo di cessione, per esigenze europee, più si deprezza il valore di questi titoli", ha detto. Intanto, come ha reso noto il presidente Mauro Maria Marino, sul punto la Commissione Finanze e Tesoro del Senato ha approvato l’affare assegnato sulla gestione dei crediti deteriorati da parte delle banche italiane: "Abbiamo invitato il Governo ad attivarsi nelle sedi opportune affinché la Bce, in relazione ai crediti deteriorati futuri, nella sua indipendenza e nell’ambito delle sue competenze, formuli nuove indicazioni al sistema bancario e agli organismi di vigilanza operanti nei singoli Paesi, in stretta sintonia con le Istituzioni Ue e in coerenza con gli obiettivi di crescita che hanno, come già ricordato, ispirato anche la sua più recente politica monetaria".