la Repubblica, 18 ottobre 2017
Di cosa si parla a L’Avana. L’amaro sogno americano
Per più di mezzo secolo è stato abbastanza facile per un cubano ottenere accesso privilegiato negli Stati Uniti. Residenza e lavoro. Tanto che Miami in Florida è una metropoli a prevalenza cubana con più di un milione di esuli dall’isola castrista. Oggi invece è sempre più difficile. Il primo colpo lo diede Obama quando, con la ripresa delle relazioni diplomatiche, cancellò la legge “wet feet, dry feet” che consentiva ai cubani di ottenere asilo politico raggiungendo gli Usa con i “piedi asciutti”. Se erano intercettati dalla guardia costiera nella acque dello Stretto della Florida venivano rispediti indietro, se toccavano terra diventavano americani. Ma con Trump sta andando peggio. Il nuovo presidente americano non ha richiuso l’ambasciata come si temeva ma, dopo la curiosa vicenda degli “attacchi acustici” subiti dalla sua sede diplomatica, ha stretto la corda richiamando in patria gran parte dei funzionari inviati da Obama. Adesso per chiedere un visto di ingresso negli States, i cubani devono inoltrare la pratica all’ambasciata americana di Bogotà, in Colombia. La giustificazione è appunto la scarsezza di personale nella delegazione Usa all’Avana. Il che però rende la consegna della richiesta di visto peggio di un incubo: anche per andare in Colombia i cubani hanno bisogno di richiedere un visto d’ingresso. Così, nonostante la pace, a Cuba il sogno americano è svanito.