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 2017  ottobre 18 Mercoledì calendario

Quando i signori dello Sputnik sognavano di conquistare la Luna

Masse proletarie in rampa di lancio. Ovvero la via spaziale verso le sorti magnifiche e progressive del socialismo reale. E, per vari versi, «l’ultimo mito della rivoluzione russa», come raccontano nel loro bel libro «I comunisti sulla Luna» (il Mulino) lo storico Stefano Pivato e il giornalista scientifico (e collaboratore de «La Stampa») Marco Pivato.
La conquista dello spazio ha rappresentato una formidabile pagina di progresso scientifico e tecnologico e un’autentica epopea, ma anche uno dei capitoli più originali della Guerra Fredda. Con un confronto assai muscolare tra le superpotenze in conflitto, Urss e Usa (e i rispettivi alleati), che cominciava già dal linguaggio, dove i cosmonauti (comunisti) si contrapponevano agli astronauti (capitalisti). E, come ricordano i due autori, neppure le date dei lanci erano affidate al caso: lo Sputnik 1, spedito a sfidare la forza di gravità il 4 ottobre del 1957, e il n° 2 con a bordo la cagnetta Laika, inviato il 3 novembre, dovevano celebrare l’anniversario della Rivoluzione d’ottobre del ‘17. Due avvenimenti che tanto scalpore e panico generarono nel mondo libero, diffondendo anche ipotesi di ogni genere sul vantaggio ottenuto nella gara dai sovietici, con alcune testate che attribuirono l’exploit del primo satellite artificiale «rosso» alla guerra delle spie e ai segreti atomici trafugati dai «coniugi traditori» Rosenberg (mentre a vendere le informazioni fu, come scoperto tempo dopo, il sergente David Greenglass).
Per gli organi di stampa comunisti gli Sputnik (che vennero spediti nell’atmosfera dal cosmodromo di Baikonur, in Kazakistan) erano dei «messaggeri di pace» e la testimonianza – come affermarono, tra gli altri, Pietro Ingrao e Giancarlo Pajetta – di quanto la patria del comunismo si rivelasse (la più) avanzata in ogni settore. «L’Unità», per rintuzzare i critici e gli avversari ideologici e difendere l’impresa della superpotenza di riferimento, inaugurava la rubrica «I fessi interplanetari», mentre i media occidentali esprimevano inquietudini di vario genere e descrivevano la proiezione spaziale dell’Urss alla stregua delle prove generali di un’ulteriore corsa al riarmo tecnologicamente sempre più sofisticato. E lo stesso valeva per la stampa cattolica e Radio Vaticana, che pronunciavano una preoccupata scomunica, mettendo in guardia dai rischi di una sorta di «surrogato di religione»; una tesi, in buona sostanza, fatta propria da questo volume, perché la nuova «religione aerospaziale» veniva propagata dal primo segretario del Pcus Nikita Krusciov alle prese con il complicato processo di destalinizzazione.
E anche l’incolpevole quattro zampe Laika, primo essere vivente ad andare in orbita, finì nel tritacarne delle contrapposte propagande, ribattezzata spregiativamente «Muttnik» (la «bastarda dello Sputnik») da tutta una serie di rivistine e periodici per ragazzi dei Paesi anglosassoni, mentre i giornali dei grandi la consideravano un’«arma di distrazione di massa» dal clamoroso siluramento da parte di Krusciov del generale Georgij Zukov, il vincitore di Stalingrado. Dal momento che la Guerra Fredda fu anche una battaglia per l’egemonia culturale tra Est e Ovest, combattuta a colpi di storytelling e fiction, si contrapposero una fantascienza Usa (dove gli alieni simboleggiavano spesso i comunisti) e una sovietica. E il Pci, abbandonando l’iniziale diffidenza verso la sci-fi «capitalistica», schierò il suo Pioniere, dedicato ai più giovani: negli Anni 50 vi fece apparire le storie a fumetti del piccolo eroe Chiodino, anche in versione spaziale e interplanetaria, e nei 60 si inventò Atomino, mentre Yuri Gagarin veniva convertito in una specie di «rockstar dello spazio». Fino a che il primato extraterreste della falce e martello – derivante pure dagli studi del primo scienziato spaziale di inizio Novecento, il russo Konstantin Ciolcovskij – venne definitivamente scalfito, e progressivamente archiviato, dalla Nasa con l’allunaggio del 12 luglio del ‘69 (che, a tutt’oggi, continua a ossessionare i sonni di complottisti e webeti). E, così, i bolscevichi sulla Luna vanno grosso modo a fare la fine dei (guzzantiani) fascisti su Marte.