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 2017  ottobre 17 Martedì calendario

APPUNTI PER GAZZETTA - LA CADUTA DI RAQQALASTAMPA.ITGIORDANO STABILELe Syrian democratic forces hanno annunciato la liberazione di Raqqa

APPUNTI PER GAZZETTA - LA CADUTA DI RAQQA

LASTAMPA.IT
GIORDANO STABILE

Le Syrian democratic forces hanno annunciato la liberazione di Raqqa. Un portavoce dei guerriglieri curdi ha precisato che la città, ex capitale dello Stato islamico in Siria, è «completamente ripulita». 

 

Questa mattina l’alleanza di combattenti curdi e arabi, sostenuta da Washington, ha ripreso il controllo dello stadio di calcio e dell’ospedale, le ultime due roccaforti dove si erano asserragliati i combattenti stranieri dell’Isis in maggioranza maghrebini e francesi di origine maghrebina. 

 

A questo punto potrebbero rimanere gruppi isolati negli ultimi quartieri che hanno resistito per quattro mesi e mezzo all’offensiva dei curdi. Fra sabato e domenica circa trecento combattenti locali era stati evacuati con le loro famiglie e per i foreign fighters, oramai soli, è stata la fine.



REPUBBLICA.IT
DAMASCO - Raqqa è in mano ai curdi: lo hanno annunciato i portavoce delle forze democratiche siriane (Fsd), alleanza di milizie curde e arabe appoggiate dagli Usa, questa mattina. L’ultimo bastione a crollare è stato lo stadio della città. Ammainate le lugubri bandiere dell’Isis, sull’impianto ora sventolano non solo il vessillo del Fsd ma anche quello dell’Ypg, le Unità di protezione del popolo curdo, e del suo braccio femminile, l’Ypj. La conquista dello stadio è stata preceduta dalla liberazione dell’ospedale, altra zona di resistenza delle milizie jihadiste. Rojda Felat, comandante curdo-siriana delle operazioni Fsd a Raqqa, ha dichiarato che è in corso la messa in sicurezza lo stadio, localizzando e disinnescando le mine disseminate dai jihadisti.
  Isis perde la sua "capitale": Raqqa conquistata dalle milizie curdo siriane Condividi  
Secondo l’Osservatorio siriano per i diritti umani, la battaglia per la liberazione di Raqqa ha avuto un costo altissimo in termini di vite umane: 3.250 morti, di cui 1.130 civili. Un calcolo che l’ong con sede a Londra ha stilato sulla base delle informazioni ricevute dalla sua vasta rete di attivisti in Siria. Secondo l’osservatorio, "altre centinaia di persone mancano ancora all’appello e potrebbero essere rimaste sepolte vive nelle loro case" durante i bombardamenti aerei della Coalizione anti-Isis.

C’è poi la triste condizione in cui versano i civili fuggiti da Raqqa mentre da inizio giugno infuriavano i combattimenti. Si tratta di circa 270mila persone ora ospitate in campi profughi, che Save The Children  descrive come urgentemente bisognose di aiuto. Famiglie che, per la grande distruzione di cui è stata oggetto la città, ora non hanno in molti casi più una casa in cui tornare e nei prossimi mesi dovranno restare nei campi. Dove, denuncia Sonia Khush, direttrice per la Siria di Save The Children, "non ci sono abbastanza cibo, acqua e medicinali". L’appello di Khush è a "non dimenticarli".  

Nei giorni scorsi centinaia di miliziani dell’Isis avevano lasciato Raqqa, grazie al salvacondotto garantito loro in cambio della liberazione degli ostaggi civili. Ma molti, soprattutto stranieri, avevano scelto di restare e combattere fino alla morte. Ora l’attenzione si sposta su Deir Ezzor, estremo rifugio dei jihadisti nell’est della Siria, dove pare si siano diretti anche i miliziani partiti da Raqqa. Lì l’assedio è portato dall’esercito regolare del presidente Bashar al Assad col sostegno dell’aviazione russa. Secondo l’Osservatorio siriano, le truppe di Damasco controllano ormai il 92% della città. "Le forze del regime - si legge sul sito dell’ong - sostenute dal cielo da un intenso bombardamento dell’aviazione russa e dell’artiglieria sono riuscite a realizzare una grande avanzata nei quartieri al Rassafah, al Ummal e al Sinàa, riducendo enormemente le aree controllate dall’Isis".

GUOLO
Dopo Mosul, l’Isis perde Raqqua e "siamo alla vigilia del crollo territoriale del cosiddetto Califfato". Una sconfitta senza ritorno: a Raqqa c’erano tutto l’apparato amministrativo, mediatico e il punto di raccolta dei foreign fighters. Ora migliaia di combattenti potrebbero spostarsi verso l’area subsahariana ma anche tornare in Europa? Inoltre la città è stata conquistata dai curdi, il loro potere militare e politico cresce. Ma questo non è piace alla Turchia e al potere siriano. 

L’analisi di Renzo Guolo
Sociologo dell’Islam all’università di Padova

FORMICHE

La capitale dello Stato islamico in Siria, Raqqa, la città per cui il gruppo di Abu Bakr al Baghdadi è diventato famoso agli occhi del mondo (le esecuzioni, le foto dei bambini soldato, le immagini di un capoluogo che amministrava una realtà statuale guidata da una giunta militarista di fanatici religiosi), è caduta. I miliziani curdo-arabi della Syrian Democratic Force l’hanno riconquistata, con l’ausilio imprescindibile delle forze della Coalizione internazionale a guida americana che nell’agosto di tre anni fa ha iniziato la propria guerra al Califfato.

Ci saranno ulteriori sviluppi (sacche di resistenza permangono) e si aspetta una più solida dichiarazione (per esempio quella del comando americano che segue le operazioni, il CentCom), ma da giorni si attendevano le parole dette oggi, martedì 17 ottobre, da Talal Sello, il portavoce delle Sdf: Raqqa è libera. Lo Stato islamico, come visto in altre aree (per esempio Mosul, l’altra grande capitale, quella più ideologica e dai legami ancestrali, mentre Raqqa era la base operativa del gruppo) aveva avviato una ritirata consapevole: ha mosso i migliori combattenti stranieri fuori città, ha spostato i capi (Baghdadi in testa), in zone più sicure.

La battaglia vera e propria era iniziata cinque mesi fa, dopo che le forze curdo-arabe, grazie alla copertura aerea americana e alla presenza di forze speciali statunitensi al loro fianco, avevano mosso da nord per stringere d’assedio la città. Lo scacco di finale dell’immensa campagna di liberazione dell’area del nord siriano (oltre 8000 chilometri quadrati), che nel 2014 era stata quella più infestata dai baghdadisti.

La caduta di Raqqa è un tassello fondamentale, decisivo per certi versi: Raqqa non è solo la base operativa, ma è stato anche il magnete che ha portato migliaia di combattenti stranieri ad unirsi all’Isis, raccogliendo l’invito del Califfo al jihad. Venuto meno il simbolo, potrebbe essere intaccato anche il proselitismo, l’effetto mediatico della forza di Baghdadi, quello che ha reso grande la sua organizzazione.

Ora la bandiera delle Sdf sventola alta nello stadio di Raqqa, teatro delle esecuzioni pubbliche diffuse dai media califfali – che hanno infiammato i cuori dei fanatici in giro per il mondo – molte condotte negli ultimi mesi come rappresaglia contro spie o presunte tali, nell’ultima disperata reazione alla caduta imminente. La sconfitta è in effetti anche frutto di qualche passaggio di informazioni dall’interno, di qualche pentito, disertore: anche grazie a loro gli americani hanno raccolto le informazioni necessarie alla campagna di eliminazione della leadership del Califfato.

In Siria ormai restano in mano al Califfo soltanto poche parti di territorio, come Deir Ezzor. La zona è quella petrolifera orientale oggetto in queste settimana di una campagna governativa (guidata dai russi, che ora accelerano nel chiudere la partita). Deir Ezzor cadrà: da lì si apre la porta del corridoio dell’Eufrate, la fascia che costeggia il fiume e sbocca in Iraq dove pare siano rifugiati i vertici dell’IS.

CORRIERE.IT

Raqqa, la città proclamata da Isis capitale del Califfato, è caduta. Lo riferisce l’Osservatorio per i diritti umani (Ondus). Le milizie filo-Usa hanno issato la propria bandiera all’interno dello stadio e dell’ospedale, ultimi bastione dell’Isis nella «capitale» del Califfato. Lo stadio era il luogo dove i jihadisti tenevano ancora molti prigionieri. Ed è stata presa anche la rotonda di Al Naim, nota come rotonda dell’inferno e teatro di esecuzioni e massacri compiuti dai jihadisti.

Nei dintorni della città vecchia proseguono sporadici combattimenti. Centinaia di jihadisti dell’Isis e migliaia di civili erano stati evacuati da Raqqa domenica in base ad un accordo raggiunto tra le cosiddette Forze democratiche siriane (Sdf) alleate degli Usa e lo Stato islamico con la mediazione di capi tribali locali. Negli ultimi due giorni i combattimenti erano continuati tra le Sdf e altri miliziani dell’Isis che resistevano in un area molto ristretta del centro. Tra di loro, secondo l’Ondus, molti sono foreign fighter.

Speciale web Voci da Raqqa, la capitale dell’Isis

Secondo il portavoce del Consiglio militare di Manbech, Shervan Darwish, invece, a Raqqa restano ancora alcune sacche di resistenza di jihadisti dello Stato islamico e continuano i combattimenti nel pieno centro della città. Sarebbero un centinaio i miliziani rimasti nella città. La formazione di Darwish fa parte delle Fsd. «Ancora ci sono combattimenti nello stadio e nelle immediate vicinanze e continua l’operazione di controllo, non possiamo dichiarare che Raqqa è stata liberata del tutto», ha riferito Darwish a Efe telefonicamente.

Come in Spagna nel 1936, chi sono i volontari occidentali che combattono contro Isis Prev Next La studentessa inglese

La battaglia per Raqqa è costata 3.250 morti, dei quali 1.130 civili in poco più di 4 mesi di scontri. Tra le vittime dei combattimenti e dei bombardamenti ci sono stati anche 270 bambini. La città nel 2014 era caduta sotto il controllo dell’Isis che l’aveva proclamata capitale del Califfato e qui vi si trovavano i centri di comando del gruppo jihadista. Negli ultimi mesi Isis ha praticamente perso tutto i territori controllati sia in Iraq che in Siria ma tiene ancora la cittadina di Deir Ez Zor, nel nord della Siria

Nonostante la vittoria sui miliziani di Isis, è in corso un’emergenza umanitaria gravissima. Sono oltre 270 mila gli sfollati dalla città irachena, privi praticamente di assistenza umanitaria.

ILPOST

Le Forze Democratiche Siriane (SDF), coalizione di arabi e curdi appoggiata dagli Stati Uniti, hanno annunciato oggi di avere riconquistato Raqqa, la città siriana che per diversi anni è stata considerata la capitale dello Stato Islamico (o ISIS) in Siria.

La notizia non è ancora stata confermata dal Centcom, il comando centrale dell’esercito statunitense responsabile delle operazioni in Medio Oriente, Nord Africa e Asia Centrale, che ha detto che i combattenti della coalizione stanno ancora finendo di controllare che tutte le aree della città siano state effettivamente messe in sicurezza. La battaglia per la riconquista di Raqqa era iniziata quattro mesi fa: ha causato la morte di più di mille civili e ha costretto quasi 300mila persone a lasciare le proprie case a causa degli scontri. È una vittoria molto importante e simbolica nella guerra contro lo Stato Islamico, che ora controlla solo alcuni territori a cavallo del confine tra Iraq e Siria.

Questa mattina le SDF avevano annunciato di avere messo in sicurezza la zona dello stadio municipale e quella dell’ospedale nazionale, le ultime due aree dove ancora erano presenti i miliziani dello Stato Islamico. Reuters ha scritto che le SDF hanno innalzato la bandiera delle Unità di Protezione Popolare (conosciute con la sigla YPG), il principale gruppo della coalizione, all’interno dello stadio.

Mappa che mostra la situazione aggiornata della Siria e dell’Iraq. Lo Stato Islamico è indicato in grigio, le forze governative siriane e irachene e i loro alleati in rosso, i curdi in giallo, i ribelli siriani in verde (Liveuamap)

Raqqa era stata la prima capitale di provincia a essere conquistata dai ribelli nella loro guerra contro il regime siriano di Bashar al Assad, nel 2013, ma l’anno successivo era stata presa dallo Stato Islamico. La sconfitta dello Stato Islamico a Raqqa è arrivata tre mesi dopo la fine della battaglia di Mosul, la città dell’Iraq prima controllata dall’ISIS e poi riconquistata dall’esercito iracheno e i suoi alleati, tra cui i curdi e gli americani.

AVVENIRE

Le Forze democratiche siriane (Fsd), alleanza di milizie curde e arabe appoggiate dagli Usa, hanno piantato la bandiera dell’Ypg all’interno dello stadio di Raqqa, una delle ultime aree che rimanevano in mano al Daesh nella sua ex roccaforte. L’Ypg curda è la più forte delle milizie rappresentate nelle Fsd (Sdf la sigla in inglese).

Subito dopo la liberazione della città le milizie curdo-arabe hanno avviato un’operazione di rastrellamento per neutralizzare eventuali combattenti jihadisti isolati e hanno avviato un’azione di sminamento. Gli ultimi combattimenti particolarmente accesi si sono verificati nella zona dell’ospedale e in quella dello stadio, mentre particolare valore simbolico ha avuto l’occupazione del crocevia di Al-Naim, conosciuto come la "Rotanda dell’inferno", dove i jihadisti eseguivano decapitazioni e crocifissioni.

Secondo l’Osservatorio siriano per i diritti umani (Osdh) la battaglia per Raqqa è costata 3.250 morti, dei quali 1.130 civili in poco più di 4 mesi di scontri. Tra le vittime dei combattimenti e dei bombardamenti ci sono stati anche 270 bambini.

Raqqa, strategica ex roccaforte dei jihadisti in Siria

Abitata da popolazione principalmente sunnita, Raqqa è situata nella valle dell’Eufrate ed è snodo delle principali rotte stradali. Si trova a 160 chilometri a est di Aleppo, non dista molto dal confine con la Turchia e meno di 200 chilometri dal confine iracheno. La costruzione di una diga nei pressi della città di Tabqa, più a ovest, ha permesso a Raqqa di svolgere un ruolo importante per l’economia agricola della zona.

Nel marzo del 2013 Raqqa diventa il primo capoluogo di provincia a cadere nelle mani dei combattenti che si oppongono al regime di Bashar Al Assad, due anni dopo la rivolta cominciata con la Primavera araba. Gli insorti catturano l’allora governatore e sequestrano il quartier generale dei servizi segreti militari, una delle peggiori prigioni della provincia.

All’inizio del 2014 l’organizzazione jihadista nota come Isis, Is, Stato islamico o Daesh, prende il pieno controllo della città, cacciando i combattenti delle altre fazioni. Nel giugno del 2015 i combattenti curdi riescono a strappare al Daesh le prime città nella provincia, tra cui Tal Abyad e Ayn Issa. Nel frattempo il Daesh moltiplica esecuzioni, rapimenti e abusi a Raqqa, portando avanti decapitazioni, esecuzioni di massa, stupri, rapimenti e una vera e propria pulizia etnica. La sharia, la legge islamica, viene imposta con atrocità filmate e pubblicate online. Raqqa è regolarmente bersaglio di attacchi aerei da parte del regime siriano, della Russia e della coalizione internazionale guidato dagli Stati Uniti.

Il 5 novembre 2016, le Forze democratiche siriane lanciano l’offensiva "collera dell’Eufrate" per cacciare il Daesh con il supporto aereo della coalizione internazionale e strategico sul terreno. Il 10 maggio 2017 i combattenti siriani prendono Tabqa e la sua diga, a 50 chilometri a ovest di Raqqa. Il 6 giugno entrano nell’ex capitale del Daesh. Il primo settembre l’alleanza prende il controllo della città vecchia. Il 20 settembre riesce a conquistare il novanta per cento del territorio. Oggi la battaglia finale.

La battaglia più dura. I dubbi sulla sorte dei jihadisti

Quella di ieri a Raqqa è stata la «battaglia più dura» contro i jihadisti del Daesh. Lo aveva annunciato Jihan Sheikh Ahmed, portavoce dell’operazione lanciata a inizio giugno dalle Forze democratiche siriane (Fsd) per riconquistare quella che era la capitale del Califfato islamico. Questa battaglia vuole «mettere fine alla presenza del Daesh, questo significa che la scelta è tra arrendersi o morire», ha aggiunto Jihan Sheikh Ahmed. Si stima fossero circa 300 i jihadisti stranieri ancora presenti nella città siriana dopo che domenica l’alleanza arabo-curda ha annunciato che l’offensiva era nella «fase finale».

Non è chiaro quanti fossero i miliziani trincerati in un’area pari al 10 per cento della città: secondo le Forze democratiche siriane 250-300 cercano di ripararsi tra le macerie del centro. O forse sono solo poche decine, secondo altre fonti, quelli che domenica hanno lasciato la città.

Ormai caduto il bastione del Califfato, la priorità, specialmente per i governi europei, è capire chi tra i jihadisti abbia potuto lasciare la città sabato notte insieme a circa 3.000 civili, in base a un accordo tra le Sdf e il Daesh mediato dai capi dei clan tribali locali. Un’intesa velatamente criticata dalla Coalizione internazionale a guida americana, che però non vi si è opposta, per ridurre al minimo possibile le vittime tra la popolazione civile, già decimata nei mesi scorsi dai combattimenti e i bombardamenti massicci della stessa Coalizione.

Le Sdf assicurano che i combattenti evacuati sono solo siriani, e quindi tra loro non vi sarebbero “foreign fighters”, come sosterrebbero in particolare i servizi segreti francesi convinti che tra i jihadisti fino a pochi giorni fa rifugiati a Raqqa ci sia uno degli organizzatori degli attentati di Parigi. Si tratterebbe di un cittadino francese o belga di origini nordafricane. «Gli elementi del Daesh che sono ancora presenti stanno resistendo», ha dichiarato il portavoce delle Sfd, precisando che le aree dove si sono ritirati «sono zone fortificate, dove si trovano tanti campi minati».

Missile di Damasco contro aerei israeliani

Dopo che un missile lanciato ieri mattina dalla Difesa aerea siriana contro aerei israeliani, Gerusalemme ieri ha risposto, colpendo una batteria aerea nei pressi di Damasco. Lo ha dichiarato il portavoce militare israeliano. Poco prima - secondo la Difesa israeliana - un missile del tipo SA5 era stato lanciato contro aerei da ricognizione israeliani che non sono stati colpiti. Il portavoce militare ha detto che Israele ritiene responsabile «il regime siriano per ogni colpo che parte dal suo territorio. Consideriamo questo incidente come una chiara provocazione che non consentiamo». Secondo i media Israele ha informato i russi dell’attacco dopo il lancio del razzo da parte dell’antiaerea siriana.

KIRKUK

ROMA - L’esercito federale iracheno e le milizie sciite di Hashad al Shaabi (mobilitazione popolare) continuano l’avanzata nei territori del nord dell’Iraq che da mesi erano sotto controllo dei peshmerga curdi. All’alba le milizie curde si sono ritirate da Sinjar, la città yazida che era stata liberata dai curdi dopo mesi di occupazione da parte dello Stato Islamico. Masloum Shingali, il comandante di una milizia yazida locale, ha detto che i soldati curdi hanno lasciato la città prima dell’alba e che poche ore più tardi sono arrivate la milizie sciite che combattono per il governo di Bagdad.

Il sindaco della città, Mahma Khalil, dice che ormai Sinjar è sotto il controllo delle forze del governo federale, e che non ci sono stati combattimenti, quasi ci fosse stata un’intesa fra i Peshmerga e le forze di Bagdad. 

L’offensiva del governo federale iracheno è iniziata nella notte di sabato innanzitutto contro Kirkuk, la grande città a 250 chilometri a nord di Bagdad che era stata occupata dai curdi, ma non fa parte della regione amministrativa del Kurdistan con popolazione curda, ma è abitata soprattutto da arabi e turcomanni. Liberata Kirkuk, le milizie dell’esercito popolare e quelle di "mobilitazione popolare" sciite hanno occupato anche tutti i maggiori campi petroliferi della zona: la tv di Bagdad sostiene che sono stati ripresi i pozzi di Havana e Bai Hassan, ad ovest di Kirkuk, dopo avere conquistato lunedì quelli di Baba Gurgur, a est.

A questo punto il governo di Bagdad avrebbe il controllo di circa 400mila dei 600mila barili di petrolio al giorno estratti nella regione del Kurdistan. Significa che il Krg, il Kurdistan regional government (che ha promosso il referendum per l’indipendenza) di fatto non ha più le risorse per mantenere la sua autonomia, e che quindi a parte la perdita di un territorio importante come quello di Kirkuk, l’autonomia sarebbe stata di fatto ridimensionata economicamente.
 
Nella notte per la prima volta il presidente americano Donald Trump ha commentato l’offensiva di Bagdad in Kurdistan: "Gli Stati Uniti non prenderanno posizione a favore dell’uno o dell’altro. Da molti anni abbiamo una relazione molto buona con i curdi e siamo anche stati dalla parte dell’Iraq, pur se non avremmo mai dovuto essere lì", dice Trump, che in passato aveva criticato l’intervento militare americano in Iraq.

Una portavoce del Dipartimento di Stato dice che Washington "è molto preoccupata per le notizie della violenza intorno a Kirkuk: sosteniamo l’esercizio pacifico dell’amministrazione congiuntamente da parte del governo centrale e del governo regionale, coerentemente con la costituzione irachena, in tutte le aree contese".
 
Gli Usa temono che lo scontro possa destabilizzare la coalizione che sta combattendo contro lo Stato islamico. Ma alcuni elementi lasciano pensare che le operazioni in Kurdistan non dovrebbero interferire in maniera negativa con l’offensiva contro lo Stato Islamico: innanzitutto il fatto che le aree ancora occupate dai terroristi del Califfato si sono molto ridotte, e che lo sforzo militare terrestre iracheno potrà essere molto più concentrato. Fra l’altro l’esercito iracheno e le milizie sciite in questi ultimi mesi hanno avuto modo di consolidarsi e rafforzarsi dopo le operazioni iniziali avviate con il sostegno degli Stati Uniti e dell’Iran che a terra ha sostenuto e organizzato soprattutto Hashad al Shaabi.
 
 

La provincia di Kirkuk, il cui capoluogo omonimo è situato 250 chilometri a nord-est di Bagdad e conta circa un milione di abitanti, è stata al centro di influenze e interessi contrastanti da quando, nel 1927, i britannici vi scoprirono il petrolio. Durante l’era del deposto e defunto presidente iracheno Saddam Hussein l’area era stata sottoposta a un processo di ’arabizzazionè forzata, come molte altre aree miste dell’Iraq.
Ma nel 2014, quando l’esercito federale abbandonò il nord del Paese di fronte all’avanzata dei jihadisti dell’Isis, le forze della vicina regione autonoma del Kurdistan occuparono la città e i siti petroliferi più importanti.

Da allora Kirkuk è rimasta sotto il controllo dei Peshmerga, e le autorità del Kurdistan avevano avviato un lento processo di integrazione che ha comportato la diffusione della lingua curda e la nomina di rappresentanti di questa etnia in posti chiave dell’amministrazione, compresa la polizia.

A Kirkuk vivono 850 mila abitanti, di cui un terzo curdi e un venti per cento turcomanni; nella sua area vengono estratti ogni giorno 400.000 barili di petrolio, quasi il 70% dei 600.000 che Erbil invia fino al terminal turco sul Mediterraneo di Cehyan, sbocco dell’oleodotto che parte proprio da Kirkuk. La crisi è precipitata con il referendum del 25 settembre per l’indipendenza voluto dal presidente del Governo regionale del Kurdistan, Massoud Barzani