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 2017  ottobre 17 Martedì calendario

Telecom, la preda per B. nelle larghe intese con Renzi

Se Vincent Bolloré vuole decidere il destino di Mediaset, dovrà spendere milioni, sfondare quota 29,9 per cento e lanciare una scalata ostile.
Silvio Berlusconi, per difendersi, deve soltanto entrare nella prossima maggioranza di governo. Il Consiglio dei ministri ha approvato il decreto che applica il “golden power” a Tim, cioè Telecom Italia: Palazzo Chigi impone che le funzioni rilevanti per la sicurezza nazionale delle controllate Sparkle e Telsy siano affidate a un italiano munito del “nulla osta di sicurezza” (il permesso che serve per interagire con l’intelligence) e approvato dal governo.
Poco di concreto, ma è la prima reazione punitiva al fatto che Vivendi, il gruppo francese gestito da Bolloré, a maggio non ha comunicato di essere diventata ufficialmente il socio di controllo di Tim. È un segnale che apre le ostilità tra governo e Vivendi e che, come ha anticipato il ministro dello Sviluppo Carlo Calenda, fissa il tono del confronto che si aprirà nei prossimi giorni sulla rete. Il governo vuole che Tim la separi almeno a livello societario, così che questa nuova holding possa poi fondersi magari con Open Fiber, la compagnia di banda larga che fa capo a Enel e Cassa Depositi e Prestiti. Il nuovo ad di Tim, Amos Genish, è contrario. Sarà un duello lungo, e tra qualche mese ci potranno essere gli uomini di Berlusconi a gestirlo dalle poltrone del governo. Nell’interesse del Paese o in quello di Mediaset? Torneremo al solito dilemma del conflitto di interessi al cuore del berlusconismo politico. E nelle speranze dell’ex Cavaliere il garante di questo è Paolo Gentiloni, che conta di rimanere a Palazzo Chigi.
In una settimana, il premier ha fatto due scelte nette che rendono più probabile e per molti allettante, un prossimo governo di larghe intese: la fiducia sulla legge elettorale per disarmare i franchi tiratori e poi il decreto golden power per far capire a Bolloré chi comanda.
L’ex Cavaliere ha ammirato sempre Renzi per la disinvoltura politica: promettere e non mantenere, fregare con maestria. Ma Silvio ha scoperto che Matteo gli somiglia troppo, puoi chiacchierarci amabilmente, ma non puoi investire sul toscano per salvare quello che conta, cioè l’impero decadente di Mediaset. Meglio Gentiloni. Renzi, infatti, ha prima spalancato l’ingresso in Italia a Bolloré e poi ha interrotto i rapporti perché infastidito dalla troppo autonomia del francese. Dopo la (quasi) scalata di Vivendi in Mediaset, il governo Gentiloni, invece, si è aggrappato al cavillo della mancata comunicazione di un controllo già evidente a tutti (l’ex ad Flavio Cattaneo era stato voluto da Bolloré) per ritrovare potere contrattuale.
Mediaset paga in bilancio l’accordo stracciato da Bolloré su Premium, un rottame societario senza carburante per acquistare i costosi diritti tv per il calcio, tanto che l’esclusiva per la Champions League è tornata a Sky Italia. Il 28,8 per cento del capitale di Mediaset, rastrellato da Bolloré un attimo dopo l’addio di Renzi a Palazzo Chigi, è il metodo con cui il bretone ha costretto la famiglia Berlusconi a trattare.
Adesso il governo ha più di uno strumento per indurre Vivendi a siglare la pace con Mediaset. Come ha anticipato il Fatto in aprile, l’asta miliardaria sul campionato italiano di Serie A – posticipata proprio in attesa di questi sviluppi – è l’occasione per creare un gruppo di livello europeo che unisca Telecom-Vivendi-Mediaset, sinergia tra il denaro di Bolloré e gli abbonati di Premium. Lo auspica pure Matteo Orfini, presidente del Pd: “Proteggendo il valore dell’investimento di Vivendi si dovrebbe consentire al gruppo francese di rinunciare al fardello del controllo (e all’obbligo conseguente di consolidamento del debito in bilancio) per concentrarsi – ha scritto su Left Wings – sul progetto strategico di negoziare con Mediaset, su basi paritarie, la costituzione di una vera media company europea”.
Da tempo Palazzo Chigi ha avviato un dialogo costante con Mediaset che passa per il presidente Fedele Confalonieri, riferimento di Gentiloni anche per vicende politiche. Il Biscione ha apprezzato l’atteggiamento di Gentiloni e del ministro Calenda su Vivendi e non ha contestato la bocciatura del progetto di operatore unico delle infrastrutture televisive. Il governo renziano studiava la fusione fra Rai Way, Elettronica Industriale (Mediaset) e Inwit (Telecom). I protagonisti sono gli stessi, Viale Mazzini, per l’ex premier, ci avrebbe rimesso parecchi soldi. Un regalo, da consumare presto. Gentiloni l’ha fermato. Dal Biscione non hanno neppure protestato.