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 2017  ottobre 15 Domenica calendario

Intervista a Gianfranco D’Angelo: Edwige Fenech se la tirava e cacciava tutti dal set. Rascel? In crisi per Proietti

A 81 anni Gianfranco D’Angelo plana sulla vita, leviga i ricordi, al troppo piacevole o troppo doloroso, preferisce un sorriso sornione; così parla, racconta, ricostruisce con l’atteggiamento perenne del bicchiere mezzo pieno, quando errori e successi si intrecciano senza rancori o reali rimpianti. “Penso sia giusto, sono partito come dipendente della Sip (allora l’azienda di telefonia statale) negli Anni Sessanta, e poco più di vent’anni dopo mi sono potuto togliere pure lo sfizio di una Ferrari. E quanto mi sono divertito…”.
Il suo periodo migliore?
Sotto il piano professionale, sicuramente i cinque anni di Drive in: avevamo costruito una famiglia, stavamo sempre insieme, condividevamo tutto, in alcuni casi abbiamo subito una piacevole regressione adolescenziale.
Che vuol dire?
Fuori dalla trasmissione era goliardia perenne, scherzi a raffica, vittime consapevoli o inconsapevoli.
Un esempio?
Il portiere veneto dell’albergo dove dormivamo, bersagliato: magari lo chiamavamo di notte, denunciavamo la presenza di una figura losca in mezzo alla strada, lui usciva a controllare, noi nel frattempo gli rubavamo la poltrona, telefonavamo dalla sua postazione. Creavamo il caos.
Tipo liceali in gita…
Più o meno. Così come uno dei nostri avvocati, tipo serioso, rompeva sempre con la storia “io mi sveglio molto presto. Lavoro da subito”, con un sottinteso “altro che voi”; per questo la notte chiamavamo l’unico locale che sfornava pizze fino alle due: ne ordinavamo un paio e poi davamo il suo indirizzo di casa. Impazziva.
Tra voi comici del Drive in, chi era la vittima?
Nessuno in particolare, però l’alchimia maggiore era tra me ed Ezio (Greggio): ci capivamo, rilanciavamo, tenevamo unita la truppa, tanto da frequentarci fuori dagli studi, compresa l’estate. Ah, anche in Sardegna dolori…
Lei è fissato…
Una notte arriviamo sull’isola e troviamo la nebbia, sembrava Milano; chiamiamo una casa con l’affaccio su Porto Cervo: “Signora mi scusi, sono il capitano della nave, siamo in difficoltà, non vediamo niente: potrebbe accendere le luci del salotto, tanto per avere un punto di riferimento?”.
Con Greggio vi frequentate ancora?
Ogni tanto ci sentiamo, ma è troppo impegnato con i suoi affari, adesso è un imprenditore, non ha tempo.
E con gli altri della trasmissione?
Ogni tanto. Qualche mese fa mi hanno contattato: “Perché non organizziamo una serata di Drive in, trent’anni dopo?”.
Ha accettato?
Subito, l’idea mi diverte e senza malinconia, poi ci saranno tutti, da Sergio Vastano a Tini Cansino. Appuntamento l’11 novembre a Mantova…
Gli altri di quel gruppo, oltre a lei e Greggio, non hanno costruito una grande carriera…
Dice? Forse è così, però non vanno dimenticati Massimo Boldi e Teo Teocoli, due grandi.
Berlusconi in quel periodo…
Un vero imprenditore, seguiva qualunque fase di lavorazione, un’energia mai più vista da nessuno.
Lei aveva accesso alle cene di Arcore…
Vero. Quando le organizzava, Berlusconi si raccomandava: “Porta anche le donne con il seno prosperoso?”…
Tini Cansino e le altre del Drive in…
Esatto. Arrivavamo e lui iniziava con battute, barzellette e una lunga serie di “benvenuti”.
Il repertorio da corteggiatore.
Sì, era un vero galletto. Ma divertente. Aspetti, anticipo la sua domanda…
Quale?
Se c’era un “dopo”…
Esatto.
Non mi interessa. Davanti a me ho visto solo le fasi ufficiali, quelle di una cena piacevole, e come tante, per il post non garantisco nulla, fatti loro. Io me ne andavo.
Berlusconi l’ha mai censurata?
In realtà no, magari qualche richiesta di smussare delle parodie, ma senza particolare convinzione; lui era un vero imprenditore e badava più ai risultati.
Cosa voleva smussare?
Per le mie imitazioni Giovanni Spadolini (allora ministro della Difesa) per protesta inviò una lettera al Corriere della Sera; mentre Gianni De Michelis (a quel tempo uno dei big socialisti) chiamò direttamente Silvio: “Piantatela di rompere, smettetela di attaccare il Psi”.
Risultato?
Quattro mesi dopo lo stesso De Michelis mi fece chiamare dalla sua segretaria: “L’onorevole la vorrebbe a Venezia per chiudere il suo comizio”. Non ci sono andato, però mi sono sembrati dei matti.
Altri problemi con la politica?
Una volta, ai Telegatti, portai una parodia di Giulio Andreotti; la rete quasi nel panico, guai a toccarlo, lo stesso Berlusconi mi prese da parte: “Mi vuoi far chiudere?”. Invece venne lui stesso da me, con la sua andatura, la celebre gobba, e con atteggiamento sicuro del suo ascendente verso il prossimo, mi disse: “Va bene… mi piace”.
Prima del “Drive in” lei è stato uno dei protagonisti della commedia sexy all’italiana…
Con Lino Banfi, Alvaro Vitali e qualche altro ne abbiamo girate molte, non ci voleva nulla: quattro settimane di lavoro e la pellicola era pronta; tanto la storia era una scusa, l’obiettivo era su altro. E i produttori ottenevano degli incassi incredibili, per loro erano soldoni da intascare.
Riflettori sulle famose docce o sui buchi nella toppa delle porte…
La più brava e riservata era Edwige Fenech, una seria, sapeva cosa voleva e come ottenerlo.
Riservata?
Eccome. Quando doveva spogliarsi, spesso vietava l’ingresso a tutti, doveva restare sola con il regista e l’aiuto, insomma: l’essenziale.
Gloria Guida ha raccontato al Fatto: “Guarda caso si ripetevano solo le scene della doccia, quelle non venivano mai bene alla prima…”
È vero! Tutti ci marciavano, quando sul copione vedevano il momento “hot”, allora il set veniva percorso da fremiti non comuni durante le altre giornate di lavorazione. Anche gli addetti ai lavori non aspettavano altro.
In famiglia cosa dicevano dei suoi ruoli?
In particolare nulla, io ero solo la parte comica, e poi era lavoro, serviva a tutto noi. Quello che mi stupisce è come quei film sono stati rivalutati nel tempo, sono diventati dei cult, mentre allora venivano disprezzati.
Comunque lei ha girato con le più belle del periodo: non sarà stato proprio indifferente al loro fascino…
E ci mancherebbe! Non voglio passare da santarellino, a me le donne piacciono, e pure tanto, e quando allora uscivo dal set, tutti mi chiedevano com’era l’una o l’altra. Un po’ mi invidiavano, era come vivere oltre quella fessura nella porta. (Silenzio) Però la mia preferita è Alena Seredova.
In questo caso siamo molto in là con gli anni…
È vero, ma quanto è bella. Con lei ho realizzato uno spettacolo teatrale, in una scena doveva restare in completo intimo e infilarsi sotto le coperte. Quando l’ho vista la prima volta a momenti mi sentivo male.
Invece con la Fenech è rimasto in buoni rapporti?
Non siamo mai stati veramente amici, come le dicevo prima, era di un altro livello, un po’ se la tirava, bravissima a gestire la situazione, la padroneggiava e credeva molto nelle sue doti. Inoltre era la fidanzata del produttore, quindi zitti tutti.
Lei e Greggio siete stata la prima coppia di “Striscia la notizia”.
Ed è incredibile la genesi del programma. Così. Dal nulla. Un giorno arriva Antonio Ricci, e come se niente fosse: “Perché non proviamo una striscia d’informazione ironica?”. Il botto arrivò già dalla prima puntata.
Per lei il primo anno, e poi niente…
Una cavolata mia.
Su cosa?
Scelsi il teatro, il palco, le persone vere davanti a me. Mentre Berlusconi mi aveva presentato una proposta fantastica.
Quanto “fantastica”?
Tanto, tantissimo: un contratto di dieci anni a cifre non comuni e non proporzionate a quelle di oggi. E lui: “Cosa fai? Ma chi ti vede a teatro? Al massimo mille persone, mentre con la televisione tocchi i milioni. Non fare stupidaggini”.
E lei?
Tranquillo, certo del mio futuro, gli risposi: “Non posso firmare, in 10 anni cambiano troppo situazioni”.
Chi aveva ragione?
Berlusconi. Anche perché una volta che esci da certi meccanismi, non rientri più.
Quindi ci pensa ancora…
Per forza, lei non ha idea della cifra proposta. Uno, con quei soldi, è in grado di passare una vecchiaia con meno pensieri.
Ha sperperato molto?
In realtà ho sbagliato solo una produzione teatrale pensata con le mie figlie, lì ho perso tantissimo, per il resto me li sono goduti, tolti sfizi, realizzato sogni, ho vissuto in pieno l’edonismo degli Anni Ottanta, compresa quella Ferrari e una barca.
Dalla Sip a crescere…
Non solo: purtroppo ho perso i genitori quando avevo tre anni, mi hanno cresciuto gli zii e in tempo di guerra, quando le possibilità erano veramente poche; a 14 ho iniziato a lavorare mentre studiavo ragioneria.
Di cosa si occupava alla Sip?
Una tristezza: ufficio recupero crediti, con sede a Roma.
Oh, un po’ di tristezza…
Mica tanto, anche lì sopravvivevamo all’inferno della monotonia con scherzi e gag quotidiane; il classico era piazzare un collega in fila, quando arrivava il suo turno mi chiedeva: “Un caffè, grazie”. Io mi piegavo a terra, fingevo di scendere le scale, in realtà prendevo l’estintore e buttavo un po’ di fumo su una tazzina. Riemergevo da terra, consegnavo, e come nulla fosse il finto cliente ringraziava e andava via.
Negli anni Settanta ha lavorato con Gigi Proietti…
Bel periodo, erano i tempi di Alleluja brava gente di Garinei e Giovannini, e la compagnia era divisa in due: i giovani seguivano Gigi, mentre gli adulti stavano con Renato Rascel…
I due collaboravano?
Per niente. Proietti dava del filo da torcere a Renato, era un rimbalzo continuo, una lotta generazionale, un perenne rilanciare per superare l’altro.
Addirittura?
Rascel era arrivato al punto di esibirsi nel salto mortale da fermo e aveva quasi sessant’anni.
Lei con chi stava?
Più vicino a Proietti, ma avevo un buon rapporto anche con Renato, e quest’ultimo cercava spesso la mia complicità quando mi chiedeva di portare a ballare sua moglie.
Perché?
Voleva delle ore per amoreggiare con la sua amante, o giocare a scopetta con gli altri e fino a tardi, una sorta di rito post-spettacolo. Perdeva cifre importanti.
Scopetta d’azzardo?
Sempre a soldi e con il raddoppio: una fissa. Nella mia carriera ne ho visti molti rovinarsi con queste stupidaggini.
Anni dopo lei ha partecipato al Bagaglino.
Erano i tempi di Gabriella Ferri, artista piena di ogni meraviglia, con capacità canore e umane difficili da scovare: saliva sul palco e ti trascinava, ti portava a esplorare emozioni inedite; scendeva da quel palco e le debolezze vincevano, la sua vita si perdeva e nessuno la aiutava. Anzi.
Lei teme il palcoscenico?
Sempre! Se perdi l’ansia, allora diventa routine ed è una tragedia artistica; il brivido aiuta, a volte è il bastone da rabdomante della creatività, per un lavoro in grado di cambiare sera per sera; non è leggenda, la realtà: l’alchimia con il pubblico muta ogni volta, mai nessuno spettacolo è uguale all’altro. Per questo non posso rinunciare al teatro, per questo allora ho detto “no” a Berlusconi.
È preda di riti scaramantici?
No.
Ne è certo?
Ah, sì. Se individuo una giacca o una camicia “porta-fortuna”, allora la indosso sempre, ogni sera della tournée.
Ha partecipato da concorrente a un reality, “Italia’s Got Talent”…
Non è stata una mia idea, ma del produttore: “Dai, vieni…”. Ero restio, ma alla fine ho ceduto; bene, bravo, bis, ma la cosa è finita come è cominciata.

Qual è il tormentone con il quale la ricordano?

Giovani e meno giovani mi fermano e domandano: “Come sta Has Fidanken?” (uno dei celebri sketch di Drive in, quando D’Angelo provava a interagire con un cane). Ogni volta rispondo: “E come vuoi che sta, sono passati trent’anni!”
E in questo caso non è uno scherzo…