il Fatto Quotidiano, 15 ottobre 2017
Al decennale del Pd di Renzi sventola la bandierina Veltroni
I selfie del Teatro Eliseo, nel decennale del Pd, sono tutti per lui, per Walter Veltroni, il primo segretario del partito. Sua la relazione d’apertura, per lui gli applausi più caldi. “Aridatece Walter”, gli urlano dalla platea, mentre l’ex segretario fa un discorso alto, complesso, nel quale si richiama alle ragioni della nascita dei Democratici e cerca di indirizzarne in parte il futuro. Paolo Gentiloni, il premier che parla subito dopo, quasi sparisce. E il segretario, un Matteo Renzi particolarmente cupo, appare confinato al ruolo del comprimario.
Prima di lui, Veltroni fu l’uomo della comunicazione, dei pullman, dei bagni di folla. Ma pure se lo mette in ombra è l’unico padre nobile che Renzi ha a disposizione. È l’unica “figurina” da offrire al mondo del centrosinistra, la faccia più spendibile nella prossima campagna elettorale da opporre anche a chi dal partito è uscito. Gira voce che per lui sia pronta l’offerta di una candidatura. Veltroni, però, nel discorso di ieri è stato chiaro: “Come sapete la mia vita è, e resterà, diversa dal passato”. E poi, i rapporti col segretario non sono caldissimi: difficile che si presti. Ieri non ha risparmiato nessuno: “Ho cercato di dimostrare, che si può smettere di avere ogni ruolo e ogni responsabilità senza per questo voler male alle persone con le quali condividi cose importanti”. E tutti pensano a Massimo D’Alema, eterno rivale di uòlter.
C’è poco da festeggiare in un Pd che 10 anni dopo non si è allargato, ma si è ristretto. E dove quella “maggioritaria” resta solo una vocazione e per di più lontana dalla realtà, con una legge elettorale – il Rosatellum bis – pronta a consegnare il Paese alle larghe intese. Il fondatore, Romano Prodi, è l’assente numero 1: il Professore sostiene di non essere stato invitato, al Nazareno assicurano che esiste un carteggio con il vicesegretario Maurizio Martina in cui lui avrebbe dichiarato di non voler prendere parte a iniziative politiche.
Comunque sia, Prodi da mesi mantiene le distanze dal Pd di Renzi, verifica la possibilità di altre operazioni politiche. In quest’occasione la sua presenza avrebbe fatto gioco al segretario. Tanto è vero che la kermesse inizia con La canzone popolare di Ivano Fossati, che fu l’inno dell’Ulivo. Ed è per Prodi l’esordio del discorso di Veltroni: “Con l’Ulivo tutta la sinistra governava l’Italia. Quel governo è stato il migliore della storia repubblicana, prima di tutto per l’autorevolezza di chi lo guidava, ma quella esperienza dopo due anni finì, abbattuta dai due mali storici della sinistra, il massimalismo e le divisioni” (sempre D’Alema sul patibolo).
Dei prodiani in platea non c’è nessuno. Non c’è Parisi che ha definito quella di ieri una giornata di “lutto”. Non c’è ovviamente Pier Luigi Bersani, l’ex segretario, che è uscito con la scissione. Non ci sono esponenti di spicco come Rosy Bindi. E mancano persino i due leader delle minoranze interne, Andrea Orlando e Michele Emiliano. In compenso, c’è quasi tutto il governo: Boschi, Madia, Pinotti, Minniti, Delrio, Franceschini, Fedeli, Lotti. Da quando c’è Renzi segretario, in fondo, il Pd non è stato che una succursale dell’esecutivo. Le prime file sono tutte di renziani, più o meno doc: Francesco Bonifazi, Matteo Richetti, Ettore Rosato, Andrea Marcucci. Ci sono pure Fassino, Zanda e una pattuglia di veltroniani, da Valter Verini in giù. C’è Eugenio Scalfari, il fondatore di Repubblica, giornale che vede di buon occhio l’alleanza Pisapia-Pd.
Veltroni sprona: “Paolo e Matteo, mi piacerebbe che questa legislatura si concludesse con l’approvazione dello Ius soli”. Gentiloni si impegna: “Stiamo lavorando per approvarla entro questa legislatura”. Neanche un a parola, invece, da Renzi. Il suo è un discorso che sa un po’ di amarcord (ancora parla di un tempo quando non c’era lo smartphone e ancora rilancia il servizio civile volontario), mentre vuole tracciare le linee della futura politica europea: “Mettere in discussione il Fiscal compact non è solo giusto, è una scelta di linea politica: prima serve il Political compact, il Social compact”.
Poi c’è la Sfida al centrodestra: “Sarà corpo a corpo nei collegi”. La platea non si scalda, sembra svogliato pure lui. Passaggio sulla futura premiership: “Non mi interessa chi sarà il premier, ma cosa farà”. In un’intervista a Repubblica uscita ieri aveva detto: “Con questa legge elettorale, il leader del Pd è per statuto candidato premier del Pd”. Aggiungendo: “Quello che deciderà la coalizione, purtroppo, lo vedremo dopo”. Sarà uno dei tormentoni della campagna elettorale che ora si apre se Renzi effettivamente tornerà a Palazzo Chigi. Lui sa che la sua unica, remota possibilità sta in un grande risultato del Pd. Ma a farsi indietro prima del voto non ci pensa proprio.
Intanto, il decennale scivola via in un’ora e mezza. Sul palco alla fine salgono degli studenti. Davanti c’è Veltroni, Renzi resta dietro. L’atmosfera è quella stanca di una festa comandata poco riuscita: un pranzo di famiglia in una famiglia disfunzionale.