Libero, 15 ottobre 2017
Spesa libera, ecco come riconoscere la mozzarella di una volta
Le dieci cose da sapere prima di comprare la mozzarella. A rivelarle è il Manifesto compilato dal professor Michele Faccia, docente di scienze e e tecnologie alimentari all’Università di Bari e grande esperto della materia. È lui l’autore del disciplinare della mozzarella vaccina di Gioia del Colle, per la quale è stata richiesta la Denominazione di origine protetta (Dop).
Presentato da Slow Food Murge ad Agrilevante, l’esposizione delle macchine per la filiera agricola che si conclude oggi a Bari, il Manifesto della vera mozzarella rappresenta una sfida all’omologazione dei gusti che l’industria ha appiattito in maniera insopportabile.
Gli elementi che distinguono il prodotto rispettoso delle tradizioni casearie e delle qualità organolettiche sono sostanzialmente quattro. Innanzitutto la qualità del latte e quella del caglio, poi la presenza o meno di acidificanti e, di conseguenza, il tempo impiegato per produrlo. L’etichetta non aiuta i consumatori a capire cosa stanno acquistando. Come spiega a Libero l’autore del Manifesto. «Per quel che riguarda le cagliate che possono anche essere importate o conservate anziché realizzate al momento, la normativa in vigore ha scelto di non dichiararla», dice il professor Faccia, «il tema è stato all’attenzione del Ministero per anni ma la decisione presa a livello comunitario è stata di non introdurre l’obbligo di specificare la natura del caglio».
Diversa la questione degli acidificanti che rendono immediatamente pronto il prodotto senza attendere le 3 o 4 ore necessarie per completare il processo naturalmente. «Gli acidificanti sono considerati dei coadiuvanti e non degli additivi», spiega Faccia, «per cui si può non scriverli in etichetta, anche se i caseifici quasi sempre ne dichiarano la presenza. Forse per ignoranza della norma che consentirebbe di non dire nulla. Quando sulla confezione si legge E330 vuol dire che quella mozzarella è stata ottenuta con l’aggiunta di un coadiuvante».
Ma sono tutti indizi che il consumatore deve ricercare con grande attenzione sulle confezioni di mozzarella, nel tentativo di capire se si tratti di un prodotto industriale oppure di una «vera» mozzarella tradizionale. Un po’ poco per scegliere con sicurezza. E in effetti lo stesso Faccia ammette che allo stato di certezze ce ne sono poche. Un buon sistema può essere quello di approvvigionarsi presso i caseifici che seguono il metodo tradizionale, ma sono pochi i consumatori che se lo possono permettere. «La certezza ci sarebbe qualora fosse approvata la Denominazione d’origine protetta della Mozzarella di Gioia del Colle», spiega il professore, «il cui disciplinare ricalca passo passo il manifesto di cui stiamo parlando, con il vincolo di approvvigionarsi di latte proveniente da vacche cresciute al pascolo anziché chiuse in stalla». Il riconoscimento della Dop è però ancora in alto mare, stante l’opposizione del Consorzio della Mozzarella di Bufala Campana, che ha incaricato un pool di avvocati di mettere in campo ogni iniziativa pur di fermare il riconoscimento ministeriale della Denominazione d’origine al formaggio pugliese.
In attesa di capire come andrà a finire la guerra della mozzarella, c’è comunque un sistema utile per individuare induttivamente il prodotto ottenuto industrialmente da quello ottenuto almeno a partire da latte fresco. Secondo la tradizione dei vecchi casari. E cioè: guardare il prezzo. «Per fare un chilogrammo di mozzarella servono da 7 a 8 litri di latte», scrive Faccia nel Manifesto, «e allora chiediamoci come sia possibile vendere una vera mozzarella da latte fresco a 4,50 euro al chilo». E in effetti, ponendo come base la quotazione del latte crudo spot nazionale, pari a quasi 44 centesimi al litro (fonte Clal) solo il costo della materia prima andrebbe da 3,36 a 3,50 euro al chilogrammo. Troppo per trovarla sul bancone con un ricarico di appena un euro.