il Fatto Quotidiano, 16 ottobre 2017
Somalia di sangue: 240 morti a Mogadiscio
L’attentato avvenuto davanti a un hotel di Mogadiscio, la capitale della Somalia, nell’area dove si trovano alcuni ministeri chiave del nuovo esecutivo, non solo è stato il più sanguinoso della travagliata storia di questo stato, schiantato da una guerra civile che dura da 26 anni. Ma è stato anche il più prevedibile per il caos che regna nel Paese. I quasi 240 morti e 300 feriti, alcuni dei quali in gravissime condizioni, estratti dalle macerie provocate dall’esplosione di due camion bomba -lasciati davanti a un noto albergo in una delle zone più popolose della città- non sono riusciti a sfuggire alla morte a causa del tragico teatro quotidiano recitato nel Corno d’Africa. Una pièce di anno in anno recitata da questo o quel “signore della guerra” e da governi senza Dna, sotto l’influenza degli Usa e, nell’ultimo decennio, della Turchia, della Cina e con Mosca neanche troppo alla finestra. Fin quando non è tornato sulla scena, oltre all’islam politico, il jihadismo, che non poteva non incistarsi in una terra così tormentata.
Chi ha mandato quei due camion inzeppati di esplosivo sapeva che avrrebbe provocato una strage di civili, più che di ministri, che vanno e vengono. Perché è proprio la quotidiana dose di terrore da spargere sulla gente non ancora fuggita da questa terra insanguinata, ciò che interessa ai servizi segreti di mezzo mondo e/o alla jihad. Che spesso si usano a vicenda, non solo in questa parte delle Afriche. Il fatto che l’esecutore possa essere stato l’esercito paramilitare jihadista Al-Shaabab, affiliato ad Al Qaeda, che controlla ancora parte della Somalia meridionale e centrale, oltre alla periferia di Mogadiscio, può solo ricordare all’Onu e all’opinione pubblica internazionale un dato: in Somalia vi è una missione permanente dell’esercito statunitense. Autore dell’aumento del numero dei bombardamenti compiuti dai droni sui campi jihadisti (anche in zone abitate). A combattere al fianco delle truppe statunitensi, che si astengono da interventi massivi sul terreno, ci sono 20.000 militari dell’Unione Africana. Ma, nonostante la sproporzione in termini di artiglieria e l’ausilio dell’aviazione militare americana, al Shaabab non è affatto sconfitto. Anzi riesce a realizzare il peggiore, il più feroce degli attentati. Significa, perlomeno, che gli infiltrati americani non riescono a fare breccia nell’omertà del sistema tribale dove al-Shaabab si è radicato con relativo agio. Oppure significa che si è deciso – o semplicemente lasciato – che la Somalia rappresentasse il simbolo del fallimento delle nazioni Unite.
Gli attentati di sabato sono avvenuti due giorni dopo che il capo del comando dell’Africa degli Stati Uniti aveva deciso di recarsi a Mogadiscio per incontrare il presidente della Somalia e due giorni dopo che il ministro della Difesa e il capo dell’esercito del Paese si sono dimessi per ragioni ancora non chiarite.