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 2017  ottobre 16 Lunedì calendario

Towns, a Minneapolis cresce il futuro. «Così esco dalla gabbia degli schemi». Intervista a Karl-Anthony Towns

LOS ANGELES Il predestinato. La stella nascente. L’uomo migliore – parola del 29% dei general manager della Nba – attorno a cui costruire da zero una squadra in grado di dominare per qualche anno il basket professionistico Usa. Karl-Anthony Towns – con buona pace dei suoi 21 anni – ha le spalle larghe per reggere le responsabilità. Nel draft 2015 è stato “pescato” dai Minnesota Timberwolves come prima scelta. E non ha deluso, conquistando il titolo di “Rookie of the year”, miglior matricola del torneo. Lo scorso campionato ha messo a referto 25,1 punti e 12,3 rimbalzi a partita, cifre che alla sua età – per gli amanti delle statistiche – metteva assieme solo Shaquille O’Neal.
«So da quando sono diventato professionista che posso diventare il miglior giocatore della lega», dice di sé senza falsa modestia. E quest’anno per il centro Usa (ma di madre dominicana) da 213 cm è l’ora della verità. La fama è arrivata, come dimostra il cameo di Towns nell’ultimo video “Swish Swish” di Katy Perry. Il carisma c’è da sempre, come testimonia la presa di posizione del giovanissimo campione dei Timberwolves contro Donald Trump dopo le manifestazioni dei suprematisti bianchi a Charlottesville della scorsa estate: «Il Presidente aveva l’assist per condannarli e non l’ha fatto, sono deluso, ha sbagliato», ha scritto in un emozionante saggio sulla rivista “The players Tribune”.
Ora, con la prima palla a due del campionato Nba, la parola torna al campo. Con Minnesota data da molti come possibile rivelazione del torneo grazie all’arrivo di una star come Jimmy Butler. E con Towns pronto a riprendere la sua ambiziosa scalata al titolo di Mvp della Lega.
Minnesota manca dai playoff dal 2004. Sarà l’anno buono per rompere l’incantesimo?
«Abbiamo tutte le carte in regola e sta solo a noi non perdere questa opportunità. Se n’è andato Ricky Rubio che era un giocatore di gran talento e ovviamente mi spiace. Ma con i nuovi arrivati abbiamo messo insieme qualcosa di speciale. Abbiamo molta fiducia in noi stessi e non vogliamo fare le comparse. Puntiamo non solo ad arrivare alla fase finale, ma anche ad essere competitivi e ad andare oltre lo scoglio del primo turno».
Golden State sembra di un altro pianeta, Oklahoma si è rafforzata, Houston ha messo Chris Paul a fianco del “barba” James Harden, San Antonio – malgrado i guai fisici di queste settimane di Kawhi Leonard – è la solita certezza. La Western conference della Nba sembra un girone di ferro…
«Certo la parte ovest del tabellone si è rafforzata ancora. Ma a me piace giocare sempre con i migliori. E poi preferisco guardare casa nostra. Siamo un team giovane e pieno di talento. L’arrivo di uomini d’esperienza come Jeff Teague ci aiuterà a risolvere un po’ di problemi in difesa, dove dobbiamo migliorare rispetto allo scorso anno. Il nostro problema ora è mettere in campo quello che abbiamo e mantenere le promesse. La campagna acquisti di quest’estate ha messo a posto tutti i pezzi che ci mancavano. Dobbiamo fare tesoro di quello che è successo nell’ultimo campionato dove abbiamo vinto solo 31 partite. Specie imparando a portare a casa i tanti match punto a punto che nella passata stagione abbiamo perso».
A proposito dell’ultima stagione, la sua esclusione dall’All Star game 2016-2017 – battuto sul filo di lana nel ruolo di centro da DeAndre Jordan – le brucia ancora?
«Quello che è successo è successo, è un capitolo chiuso. Quest’anno voglio pensare solo a vincere con la squadra e non alle statistiche personali. Poi vedremo cosa succede».
L’anno scorso ha “studiato” lo step-back alla Nowitzki. Quest’anno come si è preparato e cosa cambierà nel suo gioco per puntare all’All Star Game e al trono di Mvp?
«Ho cambiato un po’ la dieta. Ho cercato di diventare un po’ più veloce ma facendo attenzione a non snaturarmi troppo. Ho guardato a quello che ho sbagliato l’anno scorso con l’obiettivo di non ripetere gli stessi errori, visto che so di poter fare meglio. L’esperienza alla fine conta, in ogni partita della Nba ho arricchito il mio bagaglio con nuovi movimenti sia in attacco che in difesa. La vera novità però è che ora sto provando a pensare un po’ di meno e giocare più d’istinto, meno prigioniero di una gabbia in cui devi eseguire schemi predeterminati».