la Repubblica, 15 ottobre 2017
Le lettere di Elsa de’ Giorgi
Attrice, scrittrice, adorata da tanti: a vent’anni dalla scomparsa, le lettere a Elsa de’ Giorgi che sono raccolte nel Centro Manoscritti di Pavia. Dal carteggio più famoso con Calvino a quelli con Pasolini e con Salvemini Gentile signora Elsa, Elsa adorata, Cara signora, Cara donna Elsa, Cara Elsina, Mia cara Elsina, Mia carissima Elsina. Sono gli incipit delle lettere di protagonisti della cultura, del cinema e della politica italiana indirizzate, tra gli anni Cinquanta e Novanta, a Elsa de’ Giorgi, scomparsa nel 1997 e celebrata in questi mesi con omaggi e ricordi. Attrice del cinema dei telefoni bianchi, moglie di Sandrino Contini Bonacossi, che con il filo di un telefono fu trovato impiccato nel ’75 nella camera di un residence a Washington. Protagonista di film, fu la signora Maggi in Salò o le 120 giornate di Sodoma di Pasolini, ma anche protagonista di rotocalchi, calcò i palchi teatrali e le scene dei salotti romani. Destinataria di più di quattrocento lettere d’amore del mittente Italo Calvino, che s’innamorò prima di tutto del suo manoscritto I coetanei, al quale lavorò per conto della Einaudi. L’epistolario, che comprende più di trecento lettere, è tutt’ora secretato al Centro Manoscritti dell’Università di Pavia, e le notizie che seguono derivano dal memoir di Elsa de’ Giorgi Ho visto partire il tuo treno (Feltrinelli). Dal 1955 al 1958 i due presero treni che li portarono a vivere in città di mezzo, fra Torino e Roma, dove s’incontravano lontani dalle cronache. Le fessure delle porte degli alberghi diventavano caselle postali sotto cui sfilavano pagine scritte a mano da Calvino. Una notte, racconta Elsa nel suo memoir, consumò tutto l’inchiostro per implorarle perdono dopo un litigio e le ultime parole furono scritte col lapis. “A raggio di sole”, sono dedicate le Fiabe italiane, anagramma, quasi esatto, di Elsa de’ Giorgi, un modo segreto di parlarsi sotto gli occhi di tutti. Accanto alla busta sigillata delle lettere di Calvino, il Centro Manoscritti ne contiene molte altre, consultabili, che contengono il mondo di corrispondenze di quella che, in una cartolina postale delle Forze armate, un soldato italiano, un “suo devoto ammiratore”, definì “diva pensosa”. Pensosa per l’amore travagliato con il marito, prima fuggito per un anno, disperso in una trama intricata collegata alla collezione di opere d’arte di famiglia, e poi scomparso definitivamente. Pensosa per l’altro amore clandestino con Calvino, e pensose le sue amicizie, che sembravano colmare le mancanze e dichiararsi loro stesse amore. Occupano un’intera scrivania dell’archivio di Pavia queste lettere, le parole sembrano proseguire da un foglio di un mittente all’altro, da un anno all’altro, confondendosi e unificandosi, dando vita a un’unica grande lettera d’amore, un abbraccio per Elsa. “È la curiosità di conoscerla che mi fa scrivere a lei. Da quando – e sono passati parecchi anni – conosco Moravia, Elsa Morante, Pier Paolo Pasolini – spesso ho sentito parlare di lei”, le scrive Dario Bellezza. E proprio Elsa Morante le dice: “Ti sono grata di aver pensato a me, fino ad aver voglia di scrivermi. Io tiro avanti come posso, e visto che sono o troppo sana o troppo vigliacca per crepare cerco di vivere con la sola superficie di me”. “In questa vita fuori orbita, sottomarina, vederti sarebbe una gioia difficilmente immaginabile, ora”, scrive la poetessa Maria Luisa Spaziani, che in una cartolina raffigurante Le Petit Train del parco Bois du Boulogne di Parigi aggiunge: “Urgono notizie dal sole, in queste nebbie, e soltanto tu me le puoi dare. Ti aspetto in ogni forma”. Dalla stessa città Lucia Longhi, moglie dello storico dell’arte Roberto Longhi, le racconta: “Non me la cavo con una cartolina, come vedi. Odio le cartoline, e a chi voglio bene non ne mando. Dunque Parigi è uno splendore, fresca, chiara, con le foglie degli alberi verde tenero, le nuvole gonfie, uno sguardo che è già liberazione”. Cesare Zavattini ed Elio Pecora, in poche righe, le descrivono attimi di quotidianità che sembrano far parte dello stesso quadro: “Oggi sono stato apposta a vedere le sedie folte di piazza Margana. C’erano dei bambini a giocare, una gran quiete e la mostra di un pittore/Il tempo è dolce, mia madre è tenera, sto scrivendo un racconto senza un io e un tu e penso ai miei amici come a un bene forte e durevole. Che di più? Verrò al Circeo, senza abbandonarmi agli incanti, perché vi arriverò incantato”. Una dedica ai momenti trascorsi insieme le arriva anche da Mario Soldati: “L’unione di pensiero per coloro che ci furono cari, che amammo e che stimammo di più, è fra le cose più belle della vita”. Linuccia Saba, figlia di Umberto Saba, si rispecchia in lei ripensando alla scomparsa del padre, dopo la notizia della morte di Sandrino Contini Bonacossi: “La tua lettera mi ha fatto piangere per te, ma anche per me, per tutti noi, poeti sopravvissuti. Sai che da oltre un anno io, di fatto, non sono mai uscita, non sono andata per la strada, o in un negozio, o da amici, e in un teatro, niente, non desidero niente”. “Questo nostro popolo è imprevedibile – le scrive Gaetano Salvemini – Io son troppo vecchio per veder l’alba del nuovo giorno”. Su carta intestata del Partito comunista italiano, Enrico Berlinguer, parlando delle poche attenzioni dell’ente cinematografico pubblico verso un suo film la rassicura: “Noi non siamo disposti a rinunciare a questa battaglia e che, nei limiti del possibile, saremo ben lieti di concorrere ai suoi sforzi e alle sue iniziative per diffondere Logos passione”. Carmelo Bene da Firenze le confessa: “Sono qui senza più un soldo, fermo. La passione non ci basta. C’è stata un’idea viva, l’abbiamo amata, ma abbiamo fatto qualcosa e adesso, stanchi o ubriachi, ci camminiamo sopra”. “Ora io ho avuto altri tre mesi di proroga dallo sfratto, dopo di che sarò veramente costretto ad andarmene – le comunica Carlo Cassola —. Spero di venire un giorno, secondo il vecchio progetto e la vecchia promessa, nella tua casa e non per rifugiarmivici, come senza tetto, ma soltanto per il piacere della tua cara amicizia”. A Venezia Pasolini le recapita una lettera in albergo: “Non me ne volere se la sera per la proiezione dei miei film vorrò presentarmi solo come un verme. Se vuoi staremo insieme a proiezione finita, tanto più che avrò bisogno di essere consolato. Ti abbraccio, Pier Paolo”. Si susseguono poi le cartoline che creano un paesaggio di panorami e di volti, un atlante dei mondi che hanno ruotato intorno a Elsa: i templi di Agrigento, notturno sul lungomare di Albissola, una foto di Elsa Morante da giovane, la statua della dea Demetra, le Dolomiti, una casa spersa fra le montagne sulla linea del Brennero. Sul retro: “Complimenti, auguri, abbracci, dall’esiliato in Cinecittà per l’angosciosa fretta di finire, finire, finire il film. Alessandro Blasetti”; “Non sarò da te per il tuo verde compleanno, perché il 22 vado in Germania. Nell’inviarti gli auguri più belli ti prometto di telefonarti al ritorno. Alberto Sordi”; “La strettoia del tempo (parto domani per proseguire la breve tournée del Riccardo) non mi ha permesso di approfittare del tuo invito. Vittorio Gassman”; “Anche se non ti vedo da oltre un mese (guai, sempre guai, eternamente guai) io sono sempre il più svergognato tra i tuoi amici. Svergognato perché con te non mi vergogno – semplicemente”, dal direttore di Le ore Salvato Cappelli. E, infine, ci sono le parole di Elsa. Fra le carte in archivio c’è la bozza del poema La mia eternità, che sembra raccontare del marito scomparso e di Calvino che prende il suo posto, alla fine due fantasmi della sua vita. Il primo capitolo si intitola Lo sposo rapito: “Mi lasciasti il cuore acceso del flagello di quel mio amore di donna per uno sposo vivo senza più il suo corpo d’uomo per amarmi”. Il secondo capitolo si intitola Lo scoglio: “E l’altro apparve. S’era insinuato nel rivo del dolore che lasciava intravedere quel mio cuore nudo”. Il 13 febbraio del 1969, a margine di un foglio, l’appunto di un’idea per un romanzo: “Voglio raccontare la storia di una donna che si strugge di speranza riuscendo a vedere o a credere in un amore o anche semplicemente di sperare di amare tesori di magnanimità nascoste, di intima pietà, di eroiche ribellioni”.