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 2017  ottobre 15 Domenica calendario

L’unità tedesca esiste, ma è un problema

«Nostalgia del passato, dei vecchi problemi, non ne ho. Le due Germanie sono tornate a essere una cosa sola. Soltanto io sono ancora lacerato dentro». Le parole sono di Karl Wolf Biermann, cantautore tedesco classe 1936, vissuto tra Germania Est e Ovest. Ma il 3 ottobre scorso, anniversario della riunificazione, sono state scelte dal presidente della Repubblica federale, Frank-Walter Steinmeier, come esordio del suo tradizionale discorso sull’unità del Paese. La scelta di Steinmeier segnala un paradosso. A distanza di 27 anni dal 1990, la riunificazione è un dato di fatto. Ma il tema dell’unità e della coesione interna è improvvisamente tornato a essere una «ferita», o almeno una «questione aperta».
Per capire il perché bisogna considerare ciò che è successo lo scorso 24 settembre. I risultati elettorali hanno rivoluzionato la composizione del Bundestag. La stampa internazionale è stata concorde nel definire la Germania post-voto un Paese fondamentalmente «diverso». Con le prospettive di un governo di coalizione «a tre» (non era mai successo) e un nuovo partito nazionalista e xenofobo, Alternativa per la Germania (AfD) come terza forza nel Parlamento, il Paese più importante d’Europa si è ritrovato orfano del suo tratto più distintivo: la stabilità politica. Quel che conta ancora di più (anche per capire le parole di Steinmeier) è il fatto che AfD abbia avuto una straordinaria affermazione nelle regioni della ex Germania orientale (Ddr). E che, durante la campagna elettorale, i nazionalisti abbiano spesso usato lo slogan Wir sind das Volk, «il popolo siamo noi». Dietro alla retorica populista, il nuovo partito avanza richieste molto concrete: chiusura delle frontiere, uscita dall’euro e dalla stessa Ue. Ma il profilo politico e la presenza ingombrante di AfD, soprattutto nell’Est, hanno una valenza più generale e delicata, ben colta da Steinmeier. La domanda «chi siamo, noi tedeschi?» è diventata, di nuovo, legittima. Nella storia europea, i dubbi identitari del Volk hanno spesso provocato seri danni.
Per il resto del mondo, chi siano i tedeschi e cosa sia la Germania è piuttosto chiaro. Culturalmente, si tratta della patria del pensiero filosofico europeo, dall’Illuminismo in avanti. Politicamente, è stata il principale protagonista del «secolo breve»: per aver provocato, prima, guerre sanguinose, e essere diventata, poi, l’emblema di un mondo diviso tra capitalismo e socialismo, il più delicato teatro della guerra fredda. A partire dagli anni Novanta, la Germania è stata il motore dell’integrazione europea. La prima generazione Erasmus è quella che si identifica con le immagini del crollo del Muro di Berlino nel novembre 1989. Il 3 ottobre 1990 non nacque soltanto la Germania unita, ma anche una nuova Europa proiettata verso l’unione politica, oltre che monetaria.
Le vecchie ferite non si sono però rimarginate. Al posto della cortina di ferro c’è un lungo e tortuoso tratto verde, ricco di specie rare e protette (ai tempi del filo spinato in quelle zone non c’era nessuno, solo animali). Anche se oggi è fatto d’erba, il confine c’è ancora, quale che sia l’indicatore di riferimento. I cittadini dell’Est vanno in vacanza sul Mar Baltico, quelli dell’Ovest nei Paesi mediterranei. I primi amano la tenda, i secondi il camper. I Wessies (occidentali) si vaccinano molto di più contro l’influenza e posseggono più armi da fuoco. Gli Ossies sono più abituati a mandare i figli all’asilo, le loro fattorie sono gigantesche (il socialismo amava i larghi appezzamenti agricoli). Persino nei nomi propri e in quelli di fantasia persistono curiose differenze. Fra gli utenti di Facebook le probabilità di entrare in contatto con qualcuno che si chiama «Ronny» sono cinque volte superiore all’Est che all’Ovest.
È tuttavia sul piano economico che il divario è ancora massiccio. Dopo un balzo in avanti nei primi anni, l’allineamento fra le due economie ha prima rallentato per poi ristagnare. La differenza fra reddito pro capite e produttività è incollato a «meno 20 per cento» da quasi un ventennio. I tassi di disoccupazione all’Est sono il doppio di quelli dell’Ovest. Mancano lavoratori con alte qualifiche, quelli che si formano all’Est migrano all’Ovest. La struttura produttiva delle due economie rimane molto diversa. I Länder orientali sono ancora largamente mantenuti da quelli occidentali.
La convergenza fra sistemi socio-economici che partono da condizioni molto distanti è difficile e tortuosa, lo sappiamo bene noi italiani. Ma in quel lontano autunno del 1990 erano in molti a scommettere che la Germania sarebbe riuscita a superare la corsa a ostacoli del catching up (il riallineamento) orientale. Così non è stato, il miracolo non è avvenuto. Come sempre nelle dinamiche storiche, le cause sono molteplici e complesse.

La riunificazione venne effettuata con un big bang, sulla scia dello slogan preferito della Cdu «unificazione subito» (il ministro dell’Interno si chiamava Wolfgang Schäuble). Il marco Ddr venne cambiato alla pari con il marco occidentale già nel luglio del 1990, per salvaguardare salari e risparmi e allineare il loro potere d’acquisto agli standard occidentali. Un faticoso compromesso con i sindacati impedì però l’adeguamento dei costi del lavoro alla produttività. L’agenzia statale Treuhandanstalt gestì in maniera frettolosa la privatizzazione delle grandi aziende dell’Est, che in gran parte fallirono. Dopo qualche fuoco di paglia, iniziò uno dei trasferimenti finanziari interterritoriali più massicci della storia. Oltre ai sussidi diretti da parte del governo federale e di altri Länder, all’Est sono arrivati fondi Ue e soprattutto sussidi previdenziali e assistenziali. Il volume complessivo delle risorse fluite da Ovest a Est è difficile da calcolare. Ma ancora per il 2011 (ultimo anno con i dati completi) le stime parlano di 30 miliardi di euro (in quell’anno). Una cifra enorme, che molto probabilmente non è diminuita né potrà farlo in futuro. La popolazione dell’Est invecchia molto rapidamente, i giovani cervelli migrano a Ovest, depauperando di capitale umano un’economia ancora fragile.
La storia più recente è nota. Dal 2005 in poi la Germania è diventata l’economia modello in Europa, campione di export e occupazione. Ma il successo del Modell Deutschland nasconde i persistenti e massicci differenziali tra Est e Ovest. Le reazioni dei cittadini a questo complessivo fallimento economico e sociale sono ambigue e difficili da interpretare. Secondo i sondaggi, i cittadini dell’Est valutano in maniera relativamente positiva la riunificazione: il 79% ritiene che i vantaggi siano stati maggiori degli svantaggi (a Ovest la pensa così solo il 49%). Si osserva però un paradosso: gli Ossies meno soddisfatti sono i giovani fino ai 29 anni. Quelli che la Ddr non l’hanno mai vista. La gestione rovinosa della crisi dei rifugiati ha sicuramente dato una spinta formidabile ai nuovi nazionalisti di AfD. Allo stesso tempo però, il risultato del 24 settembre scorso ha a che fare proprio con le persistenti disparità sociali ed economiche tra Est e Ovest.
In un altro passaggio centrale del suo discorso, il presidente Steinmeier ha detto che durante la notte delle elezioni è diventato chiaro che esistono «nuovi muri sulla strada di un “noi collettivo”». Muri che separano gli «stili di vita», le «città dalle campagne», l’«online dall’offline», i «ricchi dai poveri», i «giovani dai vecchi». Ma, soprattutto, i Länder orientali da quelli occidentali. Che tipo di Germania vuole l’elettorato dell’Est? Per capirlo, secondo Steinmeier, è necessario mettersi di nuovo all’ascolto. Di cosa? «Delle biografie delle persone (...). È come se le storie dell’Est non fossero mai diventate una parte integrante di quel “noi collettivo” che, fuori dai confini tedeschi, il mondo identifica con la Germania unita». Un’esortazione ragionevole. A patto che da questo ascolto esca una Germania più europea, capace di resistere alle sirene nazionaliste.