La Lettura, 15 ottobre 2017
Tyler Brûlé: «Io al giornale di carta ci credo»
L’estate scorsa una testata giallo squillante occhieggiava dalle borse nelle stazioni, sugli aerei e lungo le spiagge: era il nuovo giornale lanciato da Tyler Brûlé, il vulcanico ideatore di media che negli anni Novanta aveva creato «Wallpaper,» la rivista di culto dedicata a design, moda e viaggi, e da dieci anni dirige «Monocle», il mensile di alta gamma che mette assieme affari internazionali, business e cultura e si è man mano allargato fino a diventare un piccolo impero mediatico che include una radio, guide al lifestyle, negozi e caffè.
La nuova avventura è un giornale di qualità di 48 pagine, simile a un quotidiano nel formato ma con cadenza settimanale, chiamato «Monocle. The Summer Weekly». Sviluppato a Zurigo, redatto a Londra e stampato a Bolzano, il prodotto è stato distribuito durante il mese di agosto in località di vacanza, snodi di viaggio e alcune città chiave. «Avevamo la sensazione – ha commentato Tyler Brûlé – che un giornale di carta fosse il modo migliore per raggiungere un pubblico sofisticato in vacanza. A giudicare dalle risposte positive dei lettori e degli inserzionisti in giro per il mondo, eravamo nel giusto: e stiamo pensando a un’altra edizione prima della fine dell’anno».
Nel suo ufficio alla redazione di «Monocle», alle spalle di Baker Street, il direttore-editore spiega a «la Lettura» perché ha deciso di avventurarsi in un campo minato come i giornali cartacei: «Molto del mio pensiero è stato plasmato dall’Italia. Per diverse estati sono andato a Forte dei Marmi, vedevo i tedeschi, gli svizzeri, gli italiani, gli inglesi, e ho sempre guardato a come la gente si comporta d’estate con i giornali, anche dopo l’arrivo dei tablet negli ultimi anni. E la gente ha un rapporto molto diverso con i giornali su una spiaggia: i giornali sono un oggetto di lusso, al pari degli occhiali da sole o dei costosi costumi da bagno. Perché sono legati al lusso del tempo: quando mai ho il tempo di leggere tutti i supplementi che arrivano con il “Corriere” o con altri giornali? Ecco, mi pare che questa esperienza sia una ricerca del lusso».
Dunque lei vede il giornale di carta come un prodotto di lusso. Ma ci sono due tendenze: da un lato la popolarizzazione, stile tabloid, dall’altro il successo di pubblicazioni di alto livello, tipo l’«Economist» o qui in Gran Bretagna lo «Spectator» o «Prospect». Quale sarà l’evoluzione?
«Sono tornato stamattina da Zurigo, dove ho visitato uno dei grandi gruppi d’informazione. Stanno facendo una cosa simile: hanno “Venti Minuti”, la loro free press, che si è evoluto dall’essere un giornale per pendolari a qualcosa che consumi sul telefonino; e hanno il “Tagesanzeiger”, che è il loro giornale premium che compete con la “Neue Zürcher Zeitung”. Quando hai un brand forte e diffuso, i gruppi intelligenti svilupperanno una buona strategia digitale, diventeranno primariamente dei player sul mobile dove avranno un successo di massa; e dall’altro lato avranno i giornali tradizionali, che manterranno un ruolo, e lo manterranno sulla carta».
Ma l’informazione via mobile è economicamente sostenibile?
«Ogni volta che parli a una grande media company ti raccontano quanto traffico hanno sul web, ma la questione è sempre la stessa: può l’edizione mobile funzionare senza la legittimazione del brand principale e la pubblicità che ne ricavi? Sono molto scettico. Non ho ancora incontrato qualcuno nel nostro mondo tradizionale che stia facendo il digitale in modo davvero interessante, che possa guardarti negli occhi e dire: sto facendo profitti. Dei potenziali partner ci hanno detto a proposito del nostro nuovo giornale: “Fatene una newsletter sul mobile”. Ma nessuno spenderà soldi in pubblicità su una digital newsletter come li spende su un giornale. Le aziende amano la carta: vogliono vedere la loro campagna in grande. Il telefonino è ok, ma è troppo piccolo, soprattutto quando spendi centinaia di migliaia di euro su una singola campagna pubblicitaria».
Ma il giornale che avete lanciato potrebbe sostenersi da solo?
«Onestamente no, non sarebbe sostenibile se non avessimo avuto l’infrastruttura esistente. Certo, abbiamo dovuto assumere più redattori, sette soltanto per il fact checking : quindi abbiamo dovuto espandere un po’ il nostro team. La gente ha dovuto lavorare un po’ di più ma avevamo anche molti free lance e collaboratori. Il nostro staff è giovane, alcuni vengono dai quotidiani ma molti hanno lavorato solo nei settimanali: tuttavia è piaciuto a tutti, è stata una disciplina diversa. Ecco, adesso devo leggere tutta questa roba per il prossimo numero (e indica una pila di carte, ndr ) ma intanto posso stare qui a fare questa conversazione e godermi il tempo. Invece un giornale deve essere fatto immediatamente, è molto più veloce: e dunque a parte il fatto che ci abbiamo guadagnato e che è stato ottimo dal punto di vista delle pubbliche relazioni, si è trattato di un buon esercizio per il nostro staff».
Che tipo di storie ha trovato più adatte a questo tipo di prodotto?
«Abbiamo seguito un po’ quello che fa il “New York Times”, cercando di produrre storie che non troveresti altrove. Non abbiamo seguito l’agenda di notizie tradizionale, certo ci siamo andati attorno e abbiamo seguito cosa stava accadendo ma quel che ha realmente funzionato è stato altro. Per esempio, mi è piaciuta questa storia che abbiamo pubblicato sui pompieri volontari in Alto Adige: è una storia sociale ma anche un po’ politica. Abbiamo cercato di pensare: perché compreresti “Le Monde” o il “Financial Times” ma anche il nostro giornale? Stavo cercando di entrare nella mentalità delle persone ad agosto, quando sei via dal lavoro e magari stai pranzando in una vigna e pensi: non sarebbe bello averne una? Oppure vedi un magazzino a Livorno e pensi: sarebbe bello trasformarlo in una galleria d’arte. L’estate è la stagione in cui si sogna e allora non raccontavamo cosa fa Amazon o i prezzi delle azioni, ma storie di business molto più ispirate e molto centrate sul mondo degli imprenditori self made, storie con più fantasia. Ma sempre tenendo a mente cosa stava facendo Theresa May e cose simili».
Alla fine, scommetterebbe i suoi soldi sul giornale di carta?
«Assolutamente sì, lo abbiamo appena fatto: lo consideriamo una linea di sviluppo del nostro business. Non dimentichiamo che sono i giornali che danno le notizie esclusive: quando vedi le persone sul mobile è principalmente per leggere le breaking news, non è per le inchieste o i reportage, questi articoli non vuoi leggerli sul telefonino, sono troppo lunghi, lì non leggi le analisi approfondite. Invece un giornale di carta continua a alimentare la discussione per i suoi articoli originali. Su questo dobbiamo avere un ripensamento».