Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2017  ottobre 15 Domenica calendario

Breve storia del mosaico

C’ è stato un lungo periodo in cui del mosaico non si è più parlato. Eppure quell’epoca di silenzio è stata la più gloriosa dell’arte italiana: il Rinascimento. Dopo molti secoli in cui gli artisti avevano colorato con piccole tessere di marmo, vetro, pietre dure o ciottoli i pavimenti, le case o le chiese più preziose, il mosaico passò di moda, soppiantato dall’affresco, e scivolò nell’ambito di un gusto medievale che non possedeva le stesse raffinatezze formali del pennello.
Così, dopo secoli di gloria, l’ultimo dei grandi episodi di arte musiva fu il battistero di San Giovanni a Firenze terminato agli inizi del Trecento. Finiva una tradizione altissima che annoverava esempi celebrati anche dalla letteratura come gli «emblema» di Soso di Pergamo ricordati da Plinio. Magnifici furono i mosaici di Villa Adriana a Tivoli, della villa Imperiale di piazza Armerina, in Sicilia, fino a quelli di Aquileia con simbologie già cristiane. Proprio nel Cristianesimo l’arte musiva trovò la sua naturale continuità dispiegata nei grandi esempi paleocristiani di Milano, Roma, Ravenna e poi medievali nei cantieri superbi della Basilica di San Marco, a Venezia, e Palermo nel duomo di Monreale e Cefalù. Ma dopo il Trecento il mosaico venne snobbato dai grandi maestri e rimase un’attività secondaria, che presto scivolò nell’alto artigianato, complice la moda del Grand Tour. Intercettati i desideri dei ricchi turisti e collezionisti che scendevano a Roma dal Nord Europa in cerca del mito delle rovine, molti artigiani romani si diedero alla produzione dei micromosaici, composti cioè da tessere minute, inferiori al millimetro, con cui realizzavano orecchini, braccialetti, tabacchiere, miniature, piatti, quadretti con vedute di Roma antica come souvenir per i turisti. Un successo commerciale, ma è inutile dire che l’incremento del turismo fece salire anche la produzione di souvenir di bassa qualità. Siccome però la storia dell’arte è fatta di cicli, arrivò il momento del riscatto. L’Art Nouveau riportò artisti e architetti al mosaico: per esempio Klimt nel salone di palazzo Stoclet a Bruxelles o Gaudì nelle facciate dei suoi edifici. Inizia così la storia raccontata nella mostra Montezuma, Fontana, Mirko al Museo d’Arte di Ravenna. Da un revival che riconsegnò la tecnica del mosaico dalle mani degli artigiani a quella degli artisti. Ma non più praticata solo nei pavimenti o nelle pareti, come facevano Sironi e Severini: dagli anni Trenta del Novecento, il periodo da cui prende avvio la rassegna, coinvolse anche la scultura.
Riprendendo la tesi sostenuta in una mostra tenuta nel 2014 ad Arezzo, il curatore Alfonso Panzetta (con cui ha collaborato Daniele Torcellini) sostiene che ad innescare l’uso del mosaico nella scultura furono gli esempi mesoamericani (alcuni in mostra) che Lucio Fontana e Mirko Basaldella videro in momenti e luoghi diversi. Del resto, già negli anni Venti, si sviluppava in Italia un crescente interesse per l’arte dell’antica America Latina che sfocerà nell’organizzazione della grande rassegna organizzata a Roma nel 1933.
Ma i precursori Fontana e Basaldella non ebbero proseliti fino alla fine degli anni 70 e 80, tranne sporadiche eccezioni come Zavagno e Licata. È con questi, secondo la ricostruzione storico critica proposta in mostra, che la ricerca si indirizza anche verso l’impiego di materiali «non tradizionali» fino a connotare la scultura a mosaico come un genere specifico. Dalla fine degli anni 70, artisti quali Antonio Trotta, Athos Ongaro, Sandro Chia e Mimmo Paladino (è la tesi di Alfonso Panzetta) «faranno della scultura mosaicata una ricerca non episodica, soprattutto grazie alle innovazioni tecniche e tecnologiche date dai nuovi materiali di origine sintetica, che hanno permesso il superamento dei limiti tradizionali delle malte cementizie rendendo più agevole l’esecuzione musiva sulla tridimensionalità». Da qui al design il passo è breve. Fra gli incursori più originali ci sono Mendini e Sottsass. Ma la metamorfosi e l’evoluzione della tessera portano a compiere un ampio giro che conduce al pop. In molti approdano a questa meta attraverso le strade infinite delle sperimentazioni tra cui l’utilizzo di cristalli Swarovski, graffette, viti, perline. Il concetto di mosaico si allarga a quello di assemblage e accrochage. Ma arrivati a questo campo vertiginosamente aperto si corre di nuovo il rischio di staccare un biglietto di ritorno dall’arte all’artigianato.