Libero, 12 ottobre 2017
Anche la Svizzera ha scheletri nell’armadio. Però sono ben tenuti
Domenica scorsa su richiesta della Polizia Federale svizzera sono stati arrestati dagli agenti della Polizia Cantonale del Canton Ticino due cittadini tunisini. I fermati sono Anaour Hannachi già noto all’intelligence e fratello di quel Ahmed Hannachi che a Marsiglia alla stazione ferroviaria di Saint-Charles il 1° ottobre scorso ha ucciso al grido di «Allah u Akbar», due giovani donne – e la moglie. I due, che sono stati espulsi, erano arrivati pochi giorni fa nel Centro di registrazione e procedura della città di confine sperando di riuscire a ottenere lo status di rifugiato. L’addetta stampa di FedPol, la polizia federale, Cathy Maret ha confermato che i due «sono sospettati di aver legami con delle attività terroristiche svolte all’estero». Un secondo fratello di Ahmed Hannachi, Anis, era stato arrestato il 7 ottobre in Italia mentre un altro suo fratello e una sorella sono stati fermati e subito scarcerati in Tunisia in quanto non coinvolti nella vicenda.
COLTELLO NEL BURRO
Che in Svizzera soffi forte il vento del «jihad» è provato dalle numerose vicende che dimostrano come gli islamisti abbiano affondato il loro coltello «nel burro svizzero». Il Paese è in ritardo a livello legislativo, scarse le risorse a favore dell’intelligence e il «politicamente corretto» imperante nei palazzi del potere di Berna e non solo non aiuta. Nonostante le scarse volontà politiche i numeri del fenomeno sono preoccupanti: le inchieste sul terrorismo di matrice islamista trattate dall’ufficio federale di polizia sono 70 mentre 60 sono le procedure penali aperte dal “Ministero Pubblico della Confederazione” (MPC). Il pericolo corre veloce anche sul web viste le 497 persone scoperte dai servizi segreti svizzeri (dati 30.12.2016) diffondere in patria e all’estero il credo salafita-jihadista. Importante anche il numero dei «soldati di Allah» partiti dalla Svizzera diretti nei teatri di guerra dal 2001 ad oggi 81 «foreign fighters» dei quali 30 erano cittadini rossocrociati. Di molti di loro si ignora la sorte e i decessi confermati sono 15. Cifre di tutto rispetto visto che i musulmani nel Paese sono 350.000-400.000 (il 5% della popolazione-12% con passaporto svizzero), con l’80% di loro che viene che dai Balcani oppure dalla Turchia. Per loro oltre 400 tra moschee e centri culturali dove imperversa il radicalismo, non ci credete? In Svizzera i sauditi controllano almeno trenta moschee dove promuovono l’islam wahabita-salafita che favorisce la radicalizzazione senza contare quelle che fanno riferimento alla Turchia attiva in Svizzera attraverso il Ministero del culto di Ankara «Diyanet». Luoghi che finiscono poi sotto il controllo della potente associazione «Milli Görüs» – (Punto di vista nazionale) fondata negli anni settanta dal nazionalista islamico Necmettin Erbakan. Diverse le vicende che si snodano tra la Svizzera e l’Italia ad esempio quella di Abderrahim Moutaharrik, il marocchino campione di kickboxing che per un lungo periodo si allenò in Canton Ticino è stato condannato dal Tribunale di Milano a sei anni di carcere per terrorismo internazionale.
LEGAMI CON L’ITALIA
Nella stessa inchiesta finirono il marocchino Abderrahmane Khachia (condannato 6 anni) residente in provincia di Varese, fratello di Oussama (che per qualche tempo visse in Ticino e morì da «martire» in Siria), arrestato assieme alla coppia: Wafa Koraichi (condanna a 3 anni e 4 mesi), sorella di Mohamed Koraichi, pure lui marocchino che con la moglie italiana, e Alice Brignoli partiti da un piccolo paese nel Lecchese, per unirsi all’Isis portandosi anche i tre bambini piccoli. Oppure la vicenda di Umit Yuce recentemente giudicato dal Tribunale penale federale dove era imputato per «violazione della legge federale che vieta i gruppi al-Qaeda e Isis». L’uomo con passaporto svizzero ma di origini turche, è stato giudicato con la formula del rito abbreviato (anche se nessuno ha capito il perché) se l’è cavata con una mini-condanna a due anni e mezzo di carcere, di cui però 6 mesi da scontare. L’uomo che ha ammesso di aver fatto proselitismo per l’islam radicale anche con cittadini italiani come emerso nelle carte processuali, e di essersi adoperato come reclutatore di combattenti, facilitò anche il viaggio di due persone andate a combattere. «Io volevo farli andare in Siria a combattere Assad, e non per l’Isis» ha dichiarato al processo.
LIBERO SUBITO
Pentimento? Ma quando mai, non una sola parola di abiura verso l’islam radicale. Siccome sei mesi li aveva già scontati qualche giorno dopo la sentenza ha salutato ed è tornato a casa con in tasca la fattura delle spese processuali superiori ai centomila euro che dovrà rimborsare, a meno di non trovare sulla propria strada qualche ong o magari un mecenate che alcuni fortunati incontrano, specie nel mondo islamico. Nonostante questo il Consiglio Federale boccia ogni volta qualsiasi proposta di intervento sui finanziamenti che arrivano dall’estero a moschee, associazioni islamiche e agli imam dei quali nessuno sa nulla. Sonori no da parte del governo federale anche alle molte azioni parlamentari che chiedono la messa fuori legge dei pericolosissimi gruppi salafiti di predicazione come «LIES!» del predicatore palestinese-tedesco Ibrahim Abou Nagie, messo al bando in Austria e Germania oppure al suo «spin-off» «We Love Muhammad» diretto dell’ex galeotto tedesco-turco Bilal Gümüs particolarmente attivo nelle carceri nelle quali consegna copie del Corano e converte gli «infedeli» dietro le sbarre. Il Canton Ticino sembra essere quello che recepisce meglio i segnali di pericolo vista la recente decisione assunta dal Dipartimento delle Istituzioni che con una lettera inviata a tutti i comuni, vieta le manifestazioni di tutti i gruppi che distribuiscono il Corano e fanno proselitismo, la cosiddetta «dawa street». Basterà a proteggere l’intera Svizzera? riproduzione riservata