Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2017  ottobre 12 Giovedì calendario

Non servono test per scoprire l’obesità

Se non lo sapevate, meglio: ma ieri era l’Obesity Day, la “giornata nazionale di sensibilizzazione per la prevenzione dell’obesità e del sovrappeso”, molto pubblicizzata da Repubblica e promossa da un sacco di gente intenta a spiegarvi che vivete male, mangiate male, siete probabilmente grassi (ormai si dice obesi, come se fosse lo stesso) e costate allo Stato l’1,8 per cento della spesa sanitaria nazionale. Naturalmente sono calcoli folli, statistici, molto più che approssimativi: ma è pieno di specialisti e dietologi e dietisti e nutrizionisti (non conoscete la differenza?) che oltrepassano ogni apprezzabile raccomandazione per nutrirsi e campare meglio e tendono a medicalizzare ogni cosa, soprattutto a convincervi che l’obesità è invisibile: in Italia, infatti, secondo stime tantopiù discutibili, ci sarebbero circa venti milioni di obesi. Non li vedete? Un italiano su quattro, nell’ultimo anno, è stato a dieta per dimagrire, e poco importa se gli stessi italiani risultano ai vertici delle classifiche dei paesi più sani e in salute: un bambino su tre è grasso – dicono – e i responsabili dell’Adi (Associazione italiana di dietetica e nutrizione clinica) si sono incaricati di farci sapere che l’obesità, in termini di costi collettivi, occupa il terzo posto dopo il fumo di sigaretta e le guerre e il terrorismo. Un modo sereno di condurre una campagna di sensibilizzazione, non c’è che dire.
E voi direte: ma per sapere se uno è grasso, non basta guardarlo? Non basta guardarsi allo specchio la mattina? Macché, l’obesità è diventata invisibile, si deve calcolare l’indice di massa corporea. Dettaglio: il modo di calcolarlo, periodicamente, cambia. Ergo: gli obesi mondiali diventano milioni o miliardi secondo le varie tabelle. Sino a poco tempo fa, l’Organizzazione Mondiale della Sanità determinava soglie differenziate secondo la “razza”, sicché gli orientali, per esempio, da un giorno all’altro si ritrovarono un numero di obesi che passò da un miliardo a un miliardo e settecentomila. Tutto in una notte: il calcolo della massa corporea fu cambiato nel 1998 al punto che negli Stati Uniti, altro esempio, risultarono obesi anche Tom Cruise, Mel Gibson e Michael Jordan, mentre George Bush risultava solamente in sovrappeso. I criteri per calcolare l’indice di massa corporea (Imc, o Bmi per dirla all’inglese) facevano una certa fatica a tener conto che le donne hanno più grasso degli uomini, che i neri hanno meno grasso dei bianchi, gli asiatici invece più dei bianchi, che l’età incide (gli anziani tendono ad avere più grasso) e si limitavano perlopiù a dar conto del rapporto tra peso e altezza, sicché una persona con grande massa muscolare (tipo un atleta) veniva catalogato sovrappeso pur non essendolo, e lo stesso accadeva alle persone basse, ai bambini, o ancora alle persone molto alte. Ora il criterio di calcolo è stato ri-cambiato – proprio in questi mesi – ma pare sia complicatissimo. Prima di arrivare al l’Obesity Day, comunque, in Italia s’era cominciato a parlicchiare dell’argomento quando l’ex ministro della Salute Girolamo Sirchia aveva proposto razioni più modeste nei piatti dei ristoranti, coi panini e i tramezzini a non dover superare i cinquanta grammi: ci fu una mezza sollevazione popolare, ma era solo l’inizio di una americanizzazione di singole campagne terrorizzanti e di attacchi alle singole abitudini. Dopo la carne rossa, l’autorità sanitaria britannica (meglio, il Chief Medical officer) è giunta ad annunciare che fa male anche il vino rosso: sempre, anche in modica quantità. In Inghilterra, da anni, si discute di negare la mutua agli obesi e di mettere etichette terrorizzanti per cibi e vini (come per le sigarette) mentre in alcuni stati Usa il peso dei bambini è diventato un voto sulla pagella. La proliferazione di diete e dietisti e dietologi (per non parlare dei programmi di cucina) favorisce la diffusione di miriadi di studi epimediologico-statistici con cui le varie autorità stabiliscono il prossimo nemico della nostra salute: anche se non mancano esiti paradossali, e di segno contrario, dove risulta che un po’ di grasso fa pure bene. Da una parte i moniti classici (sovrappeso e colesterolo portano ipertensione, diabete, patologie cardiache, ictus e malattie renali) e dall’altra ci sono altre ricerche secondo le quali l’obesità può portare a prognosi migliori e addirittura a tassi di mortalità inferiori. Insomma, obesità e sedentarietà sono certamente un danno, ma di certezze ce ne sono poche: e forse, per ricordarle, basta uno specchio assai più che un malaugurante Obesity Day. Anche perché i paradossi sono sempre dietro l’angolo. I seguenti titoli di giornali inglesi sono tutti autentici. Times: «Gli uomini che effettuano intensa attività fisica hanno livelli ormonali più bassi»; Daily Telegraph: «Fatale caduta dal tapisroulant»; Ancora Times: «Chi corre incontra un maggior rischio di sindromi di affaticamento virale dopo le malattie». Ovviamente sono altri paradossi, perché lo sport fa bene e va bene: è compreso tra gli stili di vita incoraggiati dall’Oms. Anche se intasa i reparti di ortopedia e chirurgia più una guerra. Insomma, non se ne esce.